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Sugli extraprofitti il governo si piega alle banche e alla BCE

La montagna ha partorito il classico topolino. I partiti di governo hanno fatto marcia indietro trovando un accordo sulle modifiche da applicare alla tassa sugli extraprofitti bancari attraverso un emendamento approvato dalla Ragioneria Generale dello Stato.

L’emendamento della tassa sugli extraprofitti  è in obbedienza alle richieste della Bce, “che aveva evidenziato il rischio di indebolimento della posizione di capitale delle banche”.

Il governo  ha così riscritto il provvedimento teso a reperire un po’ di risorse dagli extraprofitti che le banche hanno accumulato con i continui aumenti dei tassi di interessi. Come pannicello caldo sulla vergognosa ritirata, il governo afferma che attiverà l’Antitrust per vigilare affinché gli istituti non scarichino sui clienti il peso dell’imposta che dovranno pagare da quest’anno.

L’emendamento approvato dal governo ricalibra il prelievo sul biennio 2021-23 e fissa allo 0,26% (invece dello 0,1%) il tetto massimo dell’imposta. Ma cambia la base imponibile: non più il totale dell’attivo ma l’importo complessivo dell’esposizione al rischio, una precisazione che quindi esclude i titoli di Stato.

Il tetto massimo della tassa che dovrà essere versata da ogni istituto bancario è definito come lo 0,26% degli RWA (asset ponderati per il rischio) invece dello 0,1% degli attivi.

Agli istituti bancari viene data inoltre la possibilità di destinare a una riserva non distribuibile un importo non inferiore a 2,5 volte l’ammontare dell’imposta, andando quindi a rafforzare la posizione del coefficiente di solidità patrimoniale, il Cet1 ratio. Qualora la riserva venga successivamente utilizzata per la distribuzione di utili, la banca dovrà pagare l’imposta maggiorata per la quota di interessi maturata al tasso di interesse sui depositi Bce. 

Viene inoltre espressamente fatto divieto alle banche di trasferire gli oneri derivanti dall’imposta sui costi dei servizi erogati nei confronti dei clienti. 

Secondo i calcoli, aggiungendo i conti anche di Poste Italiane e dei gestori del risparmio a quelli delle banche, gli utili del secondo trimestre 2023 potranno arrivare a 4,89 miliardi di euro. Nel solo primo trimestre 2023 erano pari a 2,83 miliardi di euro.

Secondo quest’ultima formulazione, il gettito previsto dovrebbe oscillare tra 2,5 e 2,7 miliardi ma non è detto. Perché considerati i sostanziosi utili 2023 attesi da quasi tutte le banche italiane – visibili nei risultati semestrali esposti nella tabella tratta dal Sole 24 Ore  – e il modesto ammontare della sovraimposta rispetto a tale importo, per le banche sarà per relativamente facile mantenere gli obiettivi di remunerazione degli azionisti, riuscendo a destinare a riserva quanto basta per non versare la sovraimposta.

Il gettito dell’imposta viene stimato dal governo in poco meno di 3 miliardi. Troppo poco per le risorse necessarie ad una manovra che si aggira sui 20-25 miliardi. E’ bene rammentare che invece degli 11 miliardi stimati, la tassa decisa dal governo Draghi sugli extraprofitti delle società energetiche ha fruttato allo Stato solo 2,8 miliardi.  Insomma, quando si tratta di banche o multinazionali dell’energia i governi vanno con i guanti bianchi. Sul reddito di cittadinanza o la sanità ci vanno invece con lo spadone.

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