La società di consulenza internazionale Deloitte, tra le prime al mondo nel suo settore, ha organizzato ieri un evento nella sua sede milanese, dal titolo “Greenhouse Legislation: black hole or pink future per il Real Estate italiano?” Nel corso dell’evento, è stata presentata un’analisi sui costi che la direttiva sulle ‘case green’ costerà all’Italia.
Le valutazioni dell’agenzia, fatta su dati Istat, sono impietose. Riqualificare il patrimonio immobiliare del nostro paese, per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, significherà un esborso che oscilla tra gli 800 e i 1000 miliardi.
Il parco immobiliare italiano conta più di 13 milioni di edifici, di cui l’89% destinato a uso residenziale, e di questi 8 su 10 richiedono un intervento secondo la direttiva. La motivazione dell’inefficienza energetica è soprattutto la data di costruzione degli edifici: l’83% è stato costruito prima del 1990, il 57% prima del 1970.
Ogni stato UE potrà scegliere come applicare la direttiva, che entrerà in vigore il prossimo 28 maggio, purché il 55% dell’efficientamento derivi dalla ristrutturazione di edifici. Gli immobili con classe energetica F e G, che richiedono questo tipo di lavori, sono oltre il 60%, mentre in Germania sono il 45%, in Spagna il 25% e in Francia solo il 21%.
“Il parco immobiliare residenziale italiano rappresenta circa il 55% della ricchezza complessiva delle famiglie italiane“, dicono dalle Deloitte. Si capisce come questa situazione preoccupi gli operatori del settore e il governo Meloni, che dovrà capire a chi far pagare i lavori necessari.
Il presidente di Confindustria Assoimmobiliare, Davide Albertini Petroni, al momento dell’approvazione della direttiva, aveva già detto che sarebbe servita “una politica industriale di lungo periodo“. Cosa che in questo paese manca da tempo, ma che gli speculatori chiedono se serve a garantire i loro interessi.
Questa idea è stata in pratica ribadita da Claudio Scardovi, sempre di Deloitte: questa riforma può essere “un’opportunità di crescita per il Paese“, ma “serve una soluzione sistemica capace di indirizzare le criticità patrimoniali ed economiche che la direttiva potrebbe far ricadere sui cittadini e sul sistema bancario in assenza di una strategia coordinata“.
Qual è il pericolo che si affronta? Ovviamente, anche su questo giornale è stato ribadito più volte che la direttiva comporterebbe una spesa esorbitante per larghe fasce della popolazione, oppure un incremento di spesa pubblica insostenibile per le regole del nuovo Patto di Stabilità.
Ma con l’analisi di Deloitte viene sottolineato un altro problema. Le banche potrebbero trovarsi di fronte a una svalutazione degli assets a loro garanzia e a un incremento del “loan to value” dei mutui erogati, cioè il rapporto tra il valore del finanziamento e quello del bene ipotecato.
Queste incertezze potrebbero portare a un restringimento del credito, e anche della vendita dei prodotti finanziari associati. In pratica, la direttiva sulle ‘case green’ rischia di sconvolgere il mondo immobiliare e la speculazione finanziaria ad esso associata.
Proprio ieri l’Associazione Bancaria Italiana ha dichiarato, tramite il suo presidente Antonio Patuelli, che le banche devono fermarsi nel comprare i crediti del Superbonus, perché è stato ridotto l’ambito di compensazione. E quindi “bisogna trovare delle forme diverse per animare il mercato“.
Oggi approda al Consiglio dei Ministri anche il Decreto Salva Casa, un altro grande condono edilizio che mostra un esecutivo senza grandi idee su come riorganizzare il settore. Se non quello di risolvere a posteriori le irregolarità.
Chi ha le mani in pasta nelle grandi rendite di questi settori, questa volta, chiede che la politica appronti le misure necessarie per rendere la riforma e i futuri lavori un guadagno, e non un pericolo. Sarà uno dei terreni su cui la squadra di Meloni si giocherà la sua capacità di governare e accontentare ampie fette del suo elettorato.
Sempre che il governo ci arrivi a quel momento, e non subisca gli effetti del pilota automatico europeo già prima.
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