Il 20 agosto, a Dresda, c’erano sia von der Leyen sia Scholz all’inaugurazione dei lavori per il nuovo stabilimento di produzione di microchip European Semiconductor Manufacturing Company (ESMC). L’inizio della produzione è previsto per il 2027.
Il sito è il frutto di una joint venture tra TSMC, colosso taiwanese dei semiconduttori, le tedesche Bosch e Infineon, e l’olandese NXP. Esso lavorerà come una open foundry, ovvero come produttore per conti di altre società, come già fa proprio TSMC.
Von der Leyen ha commentato: “si tratta di un riconoscimento per l’Europa, come centro di innovazione globale. Il più grande produttore di chip viene nel nostro continente e unisce le forze con tre campioni europei”.
“Le aziende europee di chip avranno accesso a nuove tecnologie e capacità produttive”, ha poi sottolineato. “Le industrie europee beneficeranno di catene di approvvigionamento locali più affidabili e di nuovi prodotti su misura per le loro esigenze”.
La presidente della Commissione Europea fa sapere che a guadagnarne non sarà solo Dresda e il distretto industriale che fa capo alla Silicon Saxony. Si prevede che lo stabilimento e il suo indotto porteranno 11 mila nuovi posti di lavoro in tutto il Vecchio Continente.
La politica tedesca ha evidenziato anche il guadagno di Taiwan: “In un periodo di crescenti tensioni geopolitiche, TSMC beneficerà anche della diversificazione geografica in Europa, di un migliore accesso ai nostri punti di forza europei, come l’industria automobilistica, e del nostro unico mercato unico”.
Insomma, un accordo che fa contenti tutti gli attori in gioco, ma Bruxelles e Berlino in particolare. Nel primo caso, lo stabilimento risponde agli obiettivi di una maggiore autonomia nel settore, scritti nero su bianco nel Chips Act, mentre nel secondo caso rilancia il ruolo centrale della manifattura tedesca.
E ancora una volta, nella prospettiva di un salto di qualità imperialistico della UE, le sue regole, ferree quando si tratta di tagli alla spesa sociale, sono state interpretate in maniera flessibile. Il nuovo impianto sarà finanziato anche attraverso un aiuto di stato tedesco di ben 5 miliardi.
Margrethe Vestager, Commissaria europea alla concorrenza, ha scritto su X: “[l’open foundry] garantirà un accesso diffuso a chip a basso consumo energetico, anche da parte di piccole aziende e startup, limitando al contempo qualsiasi potenziale distorsione della concorrenza”.
Non proprio una motivazione solidissima. Del resto, per colossi come TSMC e gli altri coinvolti, la concorrenza è già un lontano miraggio, e tutti insieme fanno parte di un cartello dei chip che, nei prossimi anni, prevede una crescita esponenziale.
Le motivazioni politiche dietro queste scelte le ha rese esplicite ancora von der Leyen, ricordando che il rafforzamento della competitività industriale del sistema europeo inteso nella sua totalità è uno dei punti centrali del programma del suo rinnovato mandato.
Dalla sua approvazione, nella cornice del Chips Act sono stati effettuati investimenti nell’ordine dei 115 miliardi per 68 differenti progetti in 19 paesi. Quello di Dresda è il più ricco, ma ve ne sono alcuni sostanziosi anche in Italia, a Catania per la precisione.
Per il Commissario al mercato unico Thierry Breton, già con queste iniziative l’Europa dovrebbe recuperare il terreno perso nei confronti dell’Asia nell’ultimo trentennio. Lo ha fatto presente in un’intervista radiofonica con l’emittente francese RTL.
Breton ha detto anche qualcosa in più, e di significativo. A suo avviso, le regole sulla concorrenza nella UE sono “troppo ingenue”. Bisogna muoversi in maniera diversa dal passato perché “siamo in competizione con l’Asia e gli Stati Uniti”: anche con i nostri ‘alleati’, non solo con la Cina.
La presidente della Commissione, a Dresda, ha annunciato: “proporrò un nuovo Fondo europeo per la competitività come parte del nostro nuovo bilancio”. Esso “investirà in tecnologie strategiche e contribuirà ai nostri importanti progetti di comune interesse europeo”.
Ha inoltre affermato: “nei primi 100 giorni del nuovo mandato proporrò un nuovo Clean Industrial Deal. Uno dei suoi obiettivi centrali sarà garantire l’accesso a energia e materie prime a basso costo. E in terzo luogo, istituiremo un’Unione delle competenze”.
Bisogna dirlo chiaro e tondo: Bruxelles è molto indietro rispetto a Pechino e Washington nella corsa tra potenze globali, che passa dal peso nelle catene del valore del futuro, oltre che da quello militare. Ma ce la sta mettendo tutta per contare qualcosa, a scapito dei suoi settori popolari.
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