La notizia più particolare è che anche il Ruanda sta pensando di dotarsi di una criptomoneta. La notizia non deve sorprendere, perché abbiamo ben fissato nella memoria un articolo di qualche anno fa nel quale il quotidiano economico Il Sole 24 Ore decantava la “crescita” della Borsa di …Kigali.
Ma se anche il Ruanda si sta misurando con la sfida delle criptomonete, significa che questa nuova frontiera della competizione economica (e politica) globale va seguita con maggiore attenzione.
Secondo alcuni osservatori il paese più vicino a realizzare una valuta digitale potrebbe essere la Cina, che ha preso come una sfida l’annuncio della nascita nel 2020 di Libra, la criptomoneta di Facebook.
Nei giorni scorsi aveva invece fatto rumore la “provocazione” lanciata dal governatore della Bank of England alla riunione delle banche centrali a Jackson Hole, il quale ha proposto una supervaluta digitale con un ruolo centrale del Fmi, come centro di un nuovo sistema finanziario mondiale che sostituisca quello incentrato sull’egemonia del dollaro ereditato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e oggi diventato “ingombrante” ed indigesto per molti protagonisti delle nuove relazioni economiche internazionali.
Non è un mistero che il modello indicato dal governatore della banca centrale inglese sia quello di Libra. Ma su questa opzione sono in molti a mettere le mani avanti e storcere il naso (l’Antitrust dell’Unione Europea ha già aperto una indagine). Libra sarebbe una valuta privata e per di più controllata da un discutibile primus inter pares come Facebook.
Si scopre però che molte banche centrali stanno lavorando a una valuta digitale, che sia cripto o meno. Secondo il Sole 24 Ore lo stanno facendo almeno il 70% delle 63 banche centrali interpellate dalla Banca dei regolamenti internazionali (Bri) per il suo recente report in materia.
Il Fondo monetario internazionale in un rapporto reso pubblico lo scorso giugno, sostiene che il motivo principale per prendere in considerazione le criptomonete delle Banche centrali è “la riduzione dei costi, l’aumento dell’efficienza nell’implementazione della politica monetaria, il contrasto della concorrenza delle criptovalute, la contendibilità del mercato dei pagamenti e l’offerta di uno strumento di pagamento privo di rischi. Questo vale soprattutto per le economie sviluppate, dove la netta riduzione del contante «spinge alla sperimentazione di strumenti alternativi per i pagamenti”.
Ancora il Sole 24 Ore riferisce che a inizio agosto la People’s Bank of China ha detto di essere “quasi pronta” a partire con l’emissione della propria valuta digitale sovrana e sarebbe quindi la prima banca centrale al mondo a ricorrere a questo strumento. Si tratterebbe di un sistema a due livelli in cui gli emittenti abilitati sarebbero sia la Banca centrale che le istituzioni finanziarie.
Anche la Svezia sta lavorando da più di due anni a un progetto di e-krona, per fornire un sostituto digitale del contante, garantito dallo Stato. Ma anche paesi digitali come Lituania ed Estonia hanno in cantiere progetti di valute digitali, in entrambi i casi basati su blockchain. In India c’è una legge che ha messo al bando le criptovalute ma sta abilitando espressamente una rupia digitale, con corso legale. L’Uruguay ha avviato un programma pilota per un e-peso per lo sviluppo di pagamenti istantanei via mobile. Stessa finalità hanno i progetti in Thailandia ma anche in paradisi fiscali come Bahamas e Dubai.
In stato di sviluppo avanzato è anche il progetto di Singapore, dove la Monetary Authority (Mas) ha avviato una sperimentazione con la Bank of Canada per il pagamento crossborder tra due sistemi valutari nazionali basati su blockchain. Anche Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita hanno sperimentato un sistema di settlement tra i due Paesi.
Ma il ricorso a strumenti diversi dal dollaro nei pagamenti internazionali ha anche una dimensione squisitamente politica, nello scontro tra i rogues states minacciati dagli Usa ma anche per l’Europa. Dopo che gli Usa di Trump hanno ripristinato le sanzioni contro l’Iran, Teheran aveva annunciato i piani per il Crypto-Rial. Il mese scorso la Banca centrale iraniana ha detto di essere prossima all’emissione della criptovaluta nazionale, garantita dalle riserve aurifere del Paese e dunque un sistema per aggirare le sanzioni americane. Questo è un progetto che vede interessato anche il Venezuela con una moneta virtuale come il Petro garantito dal petrolio, ma le stesse Russia e Turchia ci stanno lavorando seriamente sopra. In questo caso una criptovaluta si trasforma in un sistema per bypassare il blocco alle transazioni finanziarie imposto dagli Stati Uniti.
Fonte Il Sole 24 Ore
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