Qualche giorno fa, al 20esimo Foro di dialogo Spagna-Italia a Barcellona, il governatore di Bankitalia Fabio Panetta ha fatto una proposta molto precisa sulla ridefinizione della UE per stare al passo con la nuova fase internazionale: finanziare un quarto degli investimenti previsti dal rapporto Draghi sulla competitività con titoli di debito comune.
L’economista ha sottolineato come “il divario rispetto agli Stati Uniti si è aperto sul finire del secolo scorso con la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, per poi ampliarsi con la rivoluzione digitale e infine con l’intelligenza artificiale“. E che dunque serve “un productivity compact che mobiliti investimenti pubblici e privati in beni comuni strategici“.
Serve, insomma, un mercato dei capitali europeo capace di spingere i soldi verso i settori centrali della competizione globale, nei modi e negli ordini di grandezza necessari. Sono due, secondo Panetta, i principali problemi che oggi impediscono di muoversi in questa direzione, e su cui già fornisce soluzioni da strutturare.
Innanzitutto, l’incompletezza dell’Unione Bancaria nella UE, che porta i membri a operare prevalentemente sui mercati nazionali. “L’istituzione del Meccanismo di vigilanza unico e del Meccanismo di risoluzione unico ha rappresentato un importante passo in avanti“, ha detto, “ma non è bastata a creare un mercato bancario europeo pienamente integrato“.
Secondo Panetta, è finito il tempo dell’approccio a piccoli passi, che non è più adatto alle sfide attuali. Ora bisogna fare un grande salto, e uno strumento fondamentale per farlo sarà la creazione degli Eurobond, un titolo di debito comune a livello UE privo di rischi, che “è essenziale per il funzionamento dei mercati dei capitali sviluppati“.
Esso “costituirebbe una forma di garanzia finanziaria utilizzabile in ogni paese e in tutti i segmenti di mercato, agevolando gli scambi interbancari collateralizzati e migliorando la capacità di diversificare i rischi per gli intermediari“. Inoltre, “un titolo privo di rischio attrarrebbe anche investimenti esteri, rafforzando il ruolo internazionale dell’euro“.
Sintetizzando, la creazione degli Eurobond aiuterebbe l’Unione bancaria, lo sviluppo di un mercato integrato dei capitali, la stabilità dei titoli nazionali, e darebbe smalto all’uso dell’euro come valuta internazionale, in competizione con il dollaro. Ma questi titoli potrebbero essere usati anche per finanziare direttamente il potenziamento delle filiere europee.
“Se si decidesse di finanziare il 25% di un piano di investimenti da 800 miliardi all’anno per sei anni” – quello delineato da Draghi nel suo rapporto di settembre alla Commissione UE – “il debito comune europeo raggiungerebbe il 6% del PIL della UE nel 2030. Includendo i titoli NGEU e altri programmi gestiti dalla Commissione europea, si arriverebbe al 10% del PIL“.
Fino a oggi, ricorda Panetta, “quattro quinti degli investimenti produttivi europei sono stati finanziati da privati“, ma ora “è ragionevole attendersi un aumento della quota pubblica, poiché molti interventi – come la produzione di tecnologie innovative, la transizione digitale, la sicurezza energetica e la difesa – riguardano beni pubblici europei“.
Le voci di spesa citate sono quelle sulle quali la UE vuole assumere un ruolo di attore globale. Nelle conclusioni il governatore di Bankitalia ricorda la frase di Jean Monnet, per il quale “l’Europa si forgerà nelle crisi“, e questa a suo avviso dà l’occasione di portare a compimento il progetto imperialistico istituzionalizzato nella UE.
Panetta ha detto che ciò non implica necessariamente passare immediatamente all’unione fiscale, a cui sempre si sono opposti i falchi centro-nord europei a Bruxelles, Strasburgo e Francoforte, e che negli Eurobond ne vedevano il primo passo. Ma stavolta è stata addirittura Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea, ad affermare che “un’unione fiscale sarebbe un miglioramento“.
Lo ha fatto in audizione presso la Commissione affari economici e monetari del Parlamento Europeo. Lagarde ha detto: “il tema ha davvero a che fare con il completamento dell’unione monetaria. Ci sono diversi modi per arrivarci: gli Eurobond sono un’opzione, altrimenti, una capacità fiscale più forte, un finanziamento congiunto di beni comuni“.
Sul tema dei tassi Panetta non sempre è andato d’accordo con il Comitato esecutivo della BCE, chiedendo un taglio più deciso. Ma le parole della sua presidente sembrano questa volta nettamente in linea con le proposte fatte dal governatore di Bankitalia. Ma c’è di più.
Joachim Nagel, presidente della Bundesbank, ha dichiarato al Financial Times che sarebbe auspicabile una riforma della norma introdotta nella Costituzione tedesca nel 2009 che impone di rimanere entro un indebitamento massimo dello 0,35% del PIL. Il rapporto debito/PIL della Germania dovrebbe chiudersi quest’anno al 63,5%, 25 punti sotto la media dell’Eurozona.
Può dunque sembrare poca cosa, ma si tratta in realtà di un vero e proprio terremoto della gabbia dei vincoli di bilancio a cui ci hanno voluto abituare negli ultimi decenni. Anche il candidato alle elezioni di febbraio per l’Unione Cristiano-Democratica, Friedrich Merz, ha già anticipato che potrebbe essere aperto a riformare il freno al debito.
Del resto, la Germania vive una situazione economica critica, ed è difficile che riesca a uscirne continuando a imporre la visione di base mercantilistica che era già morta ai tempi del Covid. E lo è in maniera tanto più evidente ora, quando persino i Bund tedeschi hanno smesso di essere il bene-rifugio per eccellenza (quel che, per esempio, non viene detto dai governanti italiani è che lo spread di Btp rispetto ai Bund tedeschi è molto diminuito soprattutto perché, in termini assoluti, è aumentata la “rischiosità” dei secondi; non solo e non tanto, insomma, per la “bravura” di Giorgetti & co.).
Sempre nell’audizione di Strasburgo appena ricordata, anche Lagarde ha dato un suo primo assenso. Rimane in ambito tedesco ancora una certa contrarietà al taglio dei tassi, ma è possibile che mentre l’economia crolla, i governi di Francia e Germania sono in crisi e la situazione inflazione non sembra ancora stabilizzata, all’incrocio di questi nodi si definisca un nuovo patto europeo.
Non sarà facile trovare una mediazione tra andamento dei tassi, definizione degli Eurobond, flessibilità sui conti pubblici (per Berlino, ma non per Roma o Parigi). Concedendo però da una parte e togliendo da un’altra, ai vertici della UE potrebbe esser trovato un accordo per implementare importanti cambiamenti dell’architettura comunitaria.
Ovviamente, a fare da bussola in questo salto di qualità nella competizione globale, volenti o nolenti, sarà ancora la visione strategica delineata da Mario Draghi, che negli ultimi dieci anni si è mostrato come l’esponente più lucido della classe dirigente europea. E dunque espressione, con la sua agenda, del nemico principale delle classi popolari del Vecchio Continente.
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LORENZO MAZZUCATO
Alla Redazione: posso diffondere questo ottimo articolo in forma di link che apre questa pagina?
Redazione Roma
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