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Produttività in calo, ma più ore di lavoro: questo è il modello italiano

Le ultime statistiche pubblicate dall’Istat sulla produttività italiana confermano che il nodo, nella nostra economia, non è che “non c’è voglia di lavorare“, come troppo spesso si sente dire, ma che i capitalisti italiani non sanno o non vogliono investire.

Il modello del nostro paese è fondato sostanzialmente sullo sfruttamento intensivo, come in un paese che deve ancora trovare la via dello sviluppo.

L’analisi diffusa il 9 gennaio non considera attività quali locazione di beni immobili, del personale domestico, delle amministrazioni pubbliche e delle organizzazioni internazionali. Quello che rimane è il 71% del valore aggiunto complessivo e l’83% delle ore lavorate: la maggior parte dell’economia, in sostanza quella affidata all’iniziativa privata.

Il lasso di tempo considerato va dal 1995 al 2023, con i dati di quest’ultimo anno ancora preliminari, in quanto studiato a partire da fonti parziali. Ma le stime attuali parlano di una riduzione della produttività del lavoro del 2,5%, e la causa è nell’aumento delle ore lavorate maggiore rispetto a quello del valore aggiunto.

Le prime hanno segnato, infatti, un +2,7%, mentre il secondo solo un +0,2%, misurato in volume. A livello di settore, ciò ha portato a contributi negativi alla produttività del lavoro soprattutto da parte delle attività del commercio, trasporti, alberghi e pubblici esercizi; dell’industria in senso stretto; delle attività finanziarie e assicurative, e di quelle professionali.

Nel quasi ventennio considerato dall’Istat, la produttività del lavoro è aumentata a una media annua dello 0,4%, di gran lunga inferiore a quella della “UE a 27” (1,5%). Francia e Germania hanno registrato incrementi rispettivamente dell’1% e dell’1,3%, e seppur anch’esse oggi in crisi, ciò è indicatore di una gerarchia evidente nelle filiere continentali.

Infatti, a completare l’analisi c’è anche la valutazione della produttività del capitale. Viene specificato che gli “investimenti in tecnologie dell’informazione e della comunicazione […] permettono di innovare i processi produttivi e sono considerati un importante fattore di crescita della produttività, al pari degli investimenti in prodotti della proprietà intellettuale, come la Ricerca e sviluppo”.

Parliamo, insomma, della capacità del capitale nostrano di posizionarsi nei settori più avanzati delle filiere di oggi, quelle che guidano lo sviluppo. Nel 2023 la produttività del capitale si è ridotta dello 0,9%, dinamica che ha impattato sulla Produttività Totale dei Fattori (PTF), cioè l’efficienza con cui lavoro e capitale sono utilizzati nel processo produttivo.

Il dato per il 2023 indica una riduzione della PTF del 2,5%, ma anche osservando le serie dal 1995 l’andamento è rimasto sostanzialmente immobile (+0,1%).

L’incremento del valore aggiunto, nello stesso periodo, è da attribuirsi quasi esclusivamente all’impiego di capitale e di lavoro, mentre è stato piuttosto trascurabile l’efficientamento della produzione.

Per concludere, è rimasto fermo il progresso tecnico espresso nella PTF, intaccando anche la dinamica della produttività del lavoro.

E quel che viene fuori da quest’ultimo rapporto dell’Istat è che il valore aggiunto aumenta solo perché si lavora di più (e si è costretti a lavorare di più perché i salari sono bassi, quindi aumenta l’estrazione del plusvalore assoluto, ma non c’è “progresso”).

Del resto, stando a un rapporto OCSE pubblicato ad inizio dell’anno scorso, con riferimento ai dati del 2022, le ore lavorate annualmente in media in Italia sono 1.694, ovvero rispetto a Germania e Olanda rispettivamente circa 350 e 270 in più.

Una realtà che si adatta male alla narrazione sugli “scansafatiche del Sud Europa”, e che parla semmai delle gerarchie continentali e del fallimento dei “prenditori” nostrani.

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1 Commento


  • Sergio Binazzi

    qui nel sud Europa esistono solo gli scansafatiche forzati visto e considerato che di nuovi posti di lavoro non se ne parla e non si fa altro che licenziare coloro che un lavoro lo avevano già.

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