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Un’Italia divisa, lungo faglie di classe e faglie regionali

Alla fine di gennaio l’Istat ha pubblicato due rapporti molto interessanti, quello sui conti economici territoriali per gli anni 2021-2023, e quello stilato insieme a Bankitalia che analizza la ricchezza dei settori istituzionali dal 2005, arrivando anch’esso fino al 2023.

Ciò che ne emerge è quello che andiamo analizzando da mesi, anche per smontare la retorica governativa sui presunti risultati economici del paese. A partire dalle stime preliminari per il PIL, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, che nel 2024 è aumentato solo dello 0,5%.

Tali aumenti di decimali di punto, oltre ad essere striminziti, non esprimono necessariamente un miglioramento nelle condizioni di vita della maggior parte della popolazione. Questo ci raccontano i dati dei rapporti citati all’inizio di questo articolo.

A fine 2023 la ricchezza netta delle famiglie italiane era pari a 11.286 miliardi di euro, con un aumento rispetto all’anno precedente del 4,5%. La quota in cifra assoluta è la più alta dal 2005, ma valutata a prezzi costanti (cioè la ricchezza reale nel tempo) è minore rispetto a quella del 2021 di ben sette punti percentuali.

La causa è identificata nella fiammata inflazionistica cominciata nel 2022. Ricordiamo che poco più di una settimana fa lo studio sulle retribuzioni per il 2022 parlava del 10% dei dipendenti retribuiti con meno di 9 euro l’ora, e l’Unione Nazionale dei Consumatori ha calcolato in oltre 2 mila euro l’aumento di spesa per le famiglie nel biennio 2023-2024.

L’Italia non è caratterizzata solo da evidenti “faglie” di classe, come anche l’Oxfam ha mostrato di recente, ma continuano ad approfondirsi anche quelle faglie regionali che hanno da sempre segnato la netta separazione tra Nord e Sud del paese. Anche se nel secondo il PIL in volume è cresciuto più che nel primo, nel 2023.

Infatti, sempre nel 2023, il reddito pro capite delle famiglie a prezzi correnti è aumentato a livello nazionale del 4,9%, mentre i prezzi sono cresciuti del 5,7%. Ma mentre al Nord-Ovest il dato dei redditi risulta pari a quello dell’inflazione (+5,7%), al Sud l’aumento si ferma al 4,7%.

Il reddito disponibile delle famiglie per abitante nel Mezzogiorno è inferiore del 30% rispetto a quello del Centro-Nord (17,1 mila contro 25 mila euro). Il PIL pro capite meridionale è poco più della metà di quello del Nord-Ovest (24 mila contro 44 mila euro), i consumi finali delle famiglie per abitante esprimono anch’essi la stessa asimmetria.

Viene inoltre evidenziato come al Sud i problemi siano accentuati non solo dalla maggiore diffusione dell’economia sommersa, ma anche dal fatto che il lavoro prevalente è nel terziario a basso valore aggiunto: insomma, a una economia fondata su lavori poco specializzati, spesso legati alla filiera del turismo.

La ministra del Lavoro Calderone ha comunque detto che il governo sta lavorando per il Meridione, attraverso “decontribuzione Sud e ZES“, ovvero due misure che ancora una volta significheranno regali agli imprenditori, senza nessuna garanzia sull’aumento dei salari e dei consumi collettivi.

Porprio come hanno fatto centrodestra e centrosinistra negli ultimi trent’anni a questa parte…

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