Altro che “odio atavico”, come provano a metterla giù i media mainstream… Le tensioni tra Pakista e India hanno solide ragioni fatte di interessi, “condite” con le spezie della rivalità religiosa e dell’indeterminatezza dei confini nel Kashmir…
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Sullo sfondo c’è il problema del riequilibrio delle relazioni commerciali tra India e Stati Uniti, in cui l’attivo strutturale della prima è ragguagliabile per entità a quello dell’Italia
La tendenza al riposizionamento dell’India nei confronti degli Usa è stata dirompente per gli equilibri del sub-continente, precari da decenni per via degli interessi contrapposti rispetto a quelli del Pakistan e della Cina che competono a loro volta strumentalmente per il controllo del Kashmir, una regione che si trova al crocevia di questi tre Paesi.
Mentre il Pakistan ha la necessità di un ampio confine diretto con la Cina, rispetto a cui è fondamentale in vista di uno sbocco diretto sull’Oceano Indiano al fine di superare un eventuale blocco navale dello Stretto di Malacca, così l’India cerca a tutti i costi di interrompere questo canale di traffico commerciale e rappresenta per gli Usa un’alternativa rispetto alla Cina come futura fabbrica del mondo, in grado com’è di coniugare il basso costo del lavoro con la capacità di padroneggiare a pieno le tecnologie informatiche.
L’incontro del 12 febbraio scorso a Washington tra il premier indiano Narendra Modi e il presidente Donald Trump, e la successiva visita di quattro giorni a New Delhi del vicepresidente JD Vance, iniziata il 22 aprile, per approfondire i temi di comune interesse commerciale e strategico, hanno suscitato la volontà di sabotare questo riavvicinamento che in prospettiva rafforzerebbe notevolmente l’India ai danni del Pakistan: non è dunque casuale la coincidenza delle date.
Gli attacchi terroristici
È stata portata a termine lo stesso 22 aprile l’operazione terroristica compiuta a Pahalgam, una località del Kashmir sotto amministrazione indiana e in cui agisce il Fronte della resistenza, che fa parte del gruppo islamista Lashkar-e-Taiba: sono stati infatti uccisi a sangue freddo ben 26 uomini di religione induista, riconosciuti come tali nell’ambito di un più numeroso gruppo di turisti per non essere circoncisi e per non aver saputo recitare a memoria alcuni versetti del Corano. Un’azione studiata in ogni dettaglio per obbligare l’India a rispondere con durezza e far deflagrare nuovamente il conflitto con il Pakistan.
All’immediata reazione del governo Modi, che non ha creduto alle dichiarazioni di estraneità rese da Islamabad dando il via al bombardamento di supposte infrastrutture terroristiche in territorio pakistano e determinando otto vittime e 35 feriti tra i civili, è seguito un confronto tra le due aviazioni militari nel corso del quale sarebbero stati abbattuti ben cinque caccia indiani: tre Rafale francesi e due vecchi aerei russi, un Mig e un Sukoi. Sarebbe stato tutto merito dei caccia forniti al Pakistan dalla Cina: un’umiliazione cocente per Delhi, che ha continuato il fuoco di artiglieria a Poonch nel Kashmir, e a Bahawalpur nel Punjab.
La reazione della comunità internazionale
Il conflitto ad alta intensità che si prospetta tra India e Pakistan viene considerato con viva apprensione dalla comunità internazionale. La preoccupazione delle cancellerie è stata corale: il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot ha ricordato l’«immediata e dura condanna espresso nei confronti dell’atto terroristico di Pahalgam e la necessità che le parti evitino l’escalation»; il ministero degli Esteri russo ha dichiarato di essere «profondamente preoccupato per l’escalation del confronto militare», esortando «le parti a esercitare moderazione per evitare un ulteriore deterioramento» della situazione e ha detto di sperare che le tensioni possano «essere risolte con mezzi pacifici e diplomatici», il ministro del Commercio britannico Jonathan Reynolds ha affermato che il suo governo «è pronto ed in grado di intervenire in ogni modo per favorire una de-escalation», mentre il portavoce del ministero degli Esteri cinese Lin Jian ha confermato che il suo Paese «è pronto a lavorare con la comunità internazionale e continuiamo a svolgere un ruolo costruttivo nell’allentare le attuali tensioni».
Ancora più preoccupata è stata la reazione di Trump, che ha espresso la speranza che gli scontri si concludano rapidamente, sottolineando che si tratta di una questione che si trascina da numerosi decenni, se non da secoli: con questa precisazione ha voluto allontanare ogni sospetto circa la coincidenza tra l’azione terroristica e la visita del suo vice a Delhi.
Sullo sfondo c’è il problema del riequilibrio delle relazioni commerciali tra India e Stati Uniti, in cui l’attivo strutturale della prima è ragguagliabile per entità a quello dell’Italia, cifrandosi attorno ai 40 miliardi di dollari annui: un obiettivo statunitense che sarebbe particolarmente penalizzante per l’India se dovessero essere abbattute le barriere tariffarie eccezionalmente elevate che vengono praticate per proteggerne il mercato e che sono state duramente stigmatizzate da Trump.
Il problema dei dazi
In mancanza dell’accordo su cui gli Usa premono con impazienza, non solo le esportazioni indiane sarebbero colpite dai dazi compensativi del 27% che sono stati sospesi per tre mesi, ma sarebbero fortemente penalizzate dalla tariffa del 100% anche le produzioni cinematografiche e televisive che minacciano Hollywood.
E se le conseguenze dei dazi compensativi sui prezzi dei farmaci generici sarebbero insostenibili per il consumatore americano e imporrebbero di converso una delocalizzazione delle produzioni dall’India, lo stesso accadrebbe per i prodotti siderurgici e le componenti automobilistiche: i dazi reciproci allo 0% che sono stati appena proposti per queste tre componenti commerciali da Delhi non sarebbero di nessuna utilità per Washington che punta infatti a pattuire la fornitura a pareggio di prodotti petroliferi e di armamenti.
Se quest’ultima è un’eventualità fortemente temuta dal Pakistan, l’amministrazione Usa vede come fumo negli occhi un suo coinvolgimento diretto in un conflitto regionale: su questo conta il terrorismo per soffiare sul fuoco e lasciare Modi sulla graticola del riequilibrio commerciale voluto da Trump.
* da Milano Finanza
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Gianni Sartori
IL BJP ACCONSENTE ALLA RILEVAZIONE CASTALE MENTRE SI E’ CONCLUSA L’OPERAZIONE ANTIGUERRIGLIA SANKALP
Gianni Sartori
Visto da qui potrebbe apparire come un’iperbole. Ma forse in loco acquista un’altra valenza.
Mi riferisco all’aver definito in passato – oltre che “divisiva” e “antinazionale” – nientemeno che “naxalità” la richiesta di una rilevazione castale (delle caste) avanzata da anni sia dall’opposizione (in particolare dal Congress) che dai movimenti sociali indiani. Proposta che si inseriva in un disegno complessivo di maggior giustizia economico-sociale.
Invece, a sorpresa, il 30 aprile il governo di Narendra Modi (del Bharatiya Janata Party) ha annunciato che verrà condotta in coincidenza con il prossimo censimento della popolazione.
Una notizia del tutto inaspettata dato che finora il BJP si era sistematicamente rifiutato di prenderla in considerazione. Tanto da aver accusato nel 2023 di “voler dividere il Paese e disgregare la società” il primo ministro del Bihar Nitish Kumaril responsabile di aver condotto un censimento delle caste di propria iniziativa.
Probabilmente su questa questione il BJP doveva fare i conti con la pressione esercitata da un suo alleato storico, l’organizzazione paramilitare di estrema destra Rashtriya Swayamsevak Sangh, secondo cui il censimento delle caste avrebbe incrinato l’unità dell’induismo.
In realtà un censimento delle caste era stato condotto ancora nel 2011, ma senza che i risultati venissero mai resi pubblici. Temendo probabilmente che la loro diffusione potesse scuotere gli equilibri sociali e politici dell’India. Soprattutto in materia di sussidi per le classi “arretrate” e svantaggiate: Scheduled Castes, Other Backward Castes e Scheduled Tribes (ossia dalit, adivasi, contadini poveri…).
Questa nuova presa di posizione di Modi appare come una astuta mossa elettorale per accaparrarsi parte dei voti delle classi emarginate in vista delle prossime scadenze elettorali (v. In Bihar nell’ottobre di quest’anno).
Nel frattempo, il 14 maggio, dopo tre settimane di rastrellamenti e combattimenti, si è ufficialmente conclusa l’operazione contro-insurrezionale Sankalp. Avviata il 21 aprile, aveva messo in campo oltre 25mila poliziotti e paramilitari (con ampio utilizzo di elicotteri e droni dell’aviazione indiana).
Innescata, pare, da un’informativa dei servizi segreti secondo cui un numero consistente di dirigenti e comandanti maoisti (tra cui il ricercatissimo Hidma Madvi) si erano riuniti tra le colline di Karregutta sotto la protezione del Primo battaglione dell’Esercito popolare di liberazione (APLG).
Nel corso dei rastrellamenti alla frontiera tra Chhattisgarh e Telangana sono stati uccisi una trentina di maoisti (veri o presunti, a volte si contano anche gli adivasi incappati nelle operazioni militari). Almeno tre membri del corpo di élite Greyhounds (commandos antiguerriglia) sono stati uccisi e altri sei feriti l’8 maggio (per l’esplosione di un IED a cui è seguito uno scontro a fuoco) nella foresta di Veerabhadrapuram-Perur (colline di Karregutta nel distretto di Mulugu). Quasi una ritorsione dei guerriglieri comunisti per quanto era avvenuto il giorno prima, quando 22 maoisti (sempre presunti) erano stati uccisi nelle foreste del distretto di Bijapur per mano delle unità Cobra, Bastar Fighters e STF, dei paramilitari della CRPF, della District Reserve Guard (DRG), della Chhattisgarh Armed Force (CAF) nell’ambito dell’operazione Sankalp.
E comunque alla fine sembrava che tutti i dirigenti maoisti ricercati fossero riusciti a fuoriuscire dalle maglie dell’area sottoposta a rastrellamento.
Questa la situazione almeno fino al 16 e 17 maggio quando una ventina di esponenti del Partito comunista indiano (maoista) venivano intercettati e arrestati ai numerosi posti di blocco prontamente installati nel distretto di Mulugu. Tra loro ci sarebbero anche un membro del comitato di divisione e cinque del comitato di zona.
Posti di controllo e di perquisizione (sia delle persone che dei mezzi di trasporto) prontamente istituiti dalla polizia prevedendo che molti naxaliti, per sfuggire ai rastrellamenti nelle zone frontaliere Chhattisgarh-Telangana, avrebbero tentato di disperdersi in diversi angoli del distretto.
Tra gli arrestati, militanti ricercati da tempo in quanto sospettati di essere tra i responsabili delle imbonate contro i paramilitari della CRPF. Rinvenute e sequestrate numerose armi /(fucili INSAS di 5,56 mm, fucili SLR di 7,62 mm, fucili 303, altri fucili di 8mm, granate e munizioni.
Gianni Sartori