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La finanziarizzazione del risparmio italiano porta all’aumento delle disuguaglianze

Abbiamo già commentato le parole con cui Fabio Panetta ha accompagnato la relazione 2024 di Banca d’Italia, cioè dell’istituto di cui si trova alla guida. Ma è il caso di tornare su alcuni dei dati diffusi, perché sono di fondamentale importanza per capire fino a che punto il Belpaese potrà segnalare una certa tenuta sociale, mentre è sempre più invischiato in una crisi senza fine.

Nello studio della banca, infatti, viene registrata la crescita della ricchezza nazionale complessiva, ma con la forbice tra poveri e ricchi che va aumentando. Inoltre, anche se i patrimoni familiari hanno raggiunto livelli record, il quadro economico di incertezza in cui viviamo sta favorendo la finanziarizzazione dei risparmi, con tutti i rischi annessi.

Nel 2024 la ricchezza netta degli italiani ha raggiunto gli 11 mila e 700 miliardi di euro, ovvero ben 8,3 volte il reddito disponibile, in un rapporto rimasto stabile rispetto all’anno precedente. Questi dati inseriscono l’Italia tra i paesi con il maggior patrimonio privato al mondo, ma allo stesso tempo con una distribuzione e gestione di esso che sta accumulando problematiche.

C’è però una trappola nascosta nei dati che riguardano la ricchezza nazionale. L’alta soglia oggi raggiunta deve essere ricondotta al buon risultato dei mercati azionari, che nel corso del 2024 hanno permesso un aumento del valore degli investimenti finanziari intorno al 4,3% in termini nominali, portando dunque la ricchezza finanziaria italiana a 6 mila e 30 miliardi di euro.

Si tratta di un incremento del 57% in relazione al 2010, con le attività finanziarie che oggi valgono 4,3 volte il reddito disponibile (15 anni fa lo superavano di 3,4 volte), posizionandosi a un livello superiore rispetto alla media dell’eurozona. Si sta assistendo perciò a una netta finanziarizzazione del risparmio italiano, che lo sottopone ai rischi delle bolle e delle speculazioni.

Il cambio di passo è avvenuto col rialzo dei tassi BCE. Infatti, se dal 2010 al 2021 gli investimenti diretti in titoli obbligazionari erano crollati dal 19,3% al 4,3%, dal 2022 c’è stata un’evidente inversione di tendenza, con un ritorno della riallocazione della ricchezza verso forme di investimento che garantiscono un flusso reddittuale costante maggiore, ma anche più rischioso.

Non serve qui ricordare come, inoltre, la UE stia spingendo affinché i risparmi vengano messi a disposizione della finanza di guerra. Qui basta sottolineare come la finanziarizzazione crea significativi pericoli per la coesione sociale del paese. Gli strumenti della finanza vanno centralizzando sempre di più in poche mani la gestione della ricchezza, mentre la capacità del risparmio diminuisce col diminuire del reddito.

I redditi familiari sono cresciuti solo del 2,7% nel 2024, un valore appena sopra la metà di quello segnato nel 2023 (+5%). Un così grande rallentamento è dovuto per lo più al calo dei redditi netti da proprietà e dei redditi da lavoro autonomo, che sono aumentati solo dell’1% rispetto al +4,5% l’anno scorso. Per Bankitalia, ciò è dovuto all’indebolimento dei settori in cui sono impegnati tali lavoratori.

Le incertezze dell’economia sono tali che la propensione al risparmio è salita al 9% del reddito lordo disponibile, dall’8,2% del 2023. Si tratta di una percentuale superiore a quella che veniva registrata prima della pandemia. Le basse aspettative per il futuro hanno portato ad aumentare il risparmio precauzionale, soprattutto tra le famiglie a basso reddito.

L’immagine data dalla Banca d’Italia è quella di un paese ricco sulla carta, ma in cui molta di questa ricchezza è fittizia, come si addice a un paese a capitalismo fin troppo maturo, in cui però esiste ancora un paracadute che impedisce il radicalizzarsi dell’insofferenza sociale di fronte alla crisi. Le contraddizioni, però, non fanno che aumentare…

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