Si aprirà all’aula bunker di Rebibbia il prossimo 5 novembre. Stiamo parlando del processo per l’inchiesta su Mafia Capitale che celebrerà così il suo primo grado di giudizio a meno di un anno dai primi arresti (dicembre 2014). E’ stata infatti accolta la richiesta presentata l’11 agosto scorso dalla Procura di Roma. A questo punto il giudice per le indagini preliminari ha dato via libera al processo con rito immediato anche per gli altri 34 imputati, tutte coinvolte nella seconda tranche dell’inchiesta. Per gli imputati del maxiprocesso le accuse vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso, alla corruzione, turbativa d’asta, estorsione, riciclaggio e usura.
Gli imputati che compariranno nell’aula bunker di Rebibbia per il primo processo su Mafia capitale saranno così in totale 59. I più noti sono l’ex terrorista nero, Massimo Carminati e il boss delle cooperative sociali romane, Salvatore Buzzi. Ma nel processo ci saranno anche esponenti politici come l’ex capogruppo di FI al consiglio regionale, Luca Gramazio, l’ex presidente del Consiglio comunale di Roma, Mirko Coratti del Pd, i consiglieri comunali Massimo Caprari e Giordano Tredicine, l’ex presidente del Municipio X (Ostia) Andrea Tassone, Guido Magrini, nella qualità di direttore del Dipartimento delle Politiche Sociali della Regione Lazio, l’ex assessore comunale Daniele Ozzimo.
Davanti ai giudici compariranno anche imprenditori e i dirigenti della cooperativa `La Cascina´ (Francesco Ferrara, Salvatore Menolascina, Carmelo Parabita e Domenico Cammisa). Ed ancora manager e faccendieri come Fabrizio Franco Testa, Cristiano Guarnera, Agostino Gaglianone, gli ex dirigenti dell’ Ama Franco Panzironi e Giovanni Fiscon, pubblici ufficiali come Luca Odevaine (componente del Tavolo di coordinamento nazionale sull’accoglienza per i richiedenti asilo). Infine compariranno anche gli “uomini d’azione” come Riccardo Brugia e Roberto Lacopo, noti per la loro storia e contiguità con i gruppi neofascisti.
Negli ultimi mesi alcuni degli imputati più importanti come Franco Panzironi, Luca Odevaine e, in ultimo, Salvatore Buzzi, hanno cominciato a rendere dichiarazioni spontanee ai pubblici ministeri che li hanno interrogati in carcere. Ma mentre le rivelazioni di Buzzi hanno trovato anche ampia eco pubblica sui mass media, su quelle di Odevaine, ad esempio, c’è stata molta ma molta più riservatezza.C’è da augurarsi che il dibattimento pubblico al processo compensi questo sospetto “doppio standard”.
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