In prima fila associazioni, movimenti e cittadini. Strada facendo si è sentita anche una forte istanza pacifista, con molta gente che gridava «No alla nuova guerra del petrolio».
«I cittadini – spiega Ciro Pesacane, del Comitato – si sono autotassati e hanno affittato i pullman a loro spese. Vogliono l’acqua e il sole, mica la luna».
In testa al corteo numerosi gonfaloni di diversi comuni e provincie d’Italia, da Capannori, in provincia di Lucca, a Cagliari, passando per Aprilia, vicino Latina, diventato il comune simbolo di cosa accade con la “privatizzazione”. Bandiere di tutti i colori: azzurre del comitato, ma numerosissime quelle arcobaleno, di Legambiente, Arci, Emergency, Wwf e di diversi sindacati.
«No alla guerra per l’acqua, per il petrolio e per l’uranio», recita il cartellone esposto da alcuni ragazzi «pacifisti» di Belluno. «Abbiamo fatto un lungo viaggio per sostenere questa piazza – racconta Marco, un ingegnere – Sono venuto con mia moglie e con i miei due figli, perchè questa battaglia è soprattutto per loro. Per il loro futuro».
«Per la prima volta nasce, dal basso, un progetto politico riconosciuto dalla Costituzione – spiega padre Alex Zanotelli – La speranza non può venire dalla politica».
Ciò nonostante, qualche faccia di politico in cerca di voti si è fatta vedere. In piazza della Repubblica, con bandiere verdi c’erano anche studenti libici e alcune delle hostess che incontrarono Gheddafi durante le visite in Italia. «No alle bombe umanitarie, sì al dialogo», urlano, «l’Occidente vuole solo il petrolio libico».
Agli studenti si sono unite alcune hostess italiane. «Sono stata tre volte in Libia, lì non c’è tanta miseria, il popolo vive in una condizione normale. Dove è stata finora la Nato nei riguardi degli eventi della Striscia di Gaza», osserva Clio, una delle ragazze che incontrarono il colonnello a Roma e che oggi si è vestita di nero «essendo in lutto per le vittime in Libia»
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Qui di seguito l’articolo di Andrea Palladino, valido giornalista “d’inchiesta” e protagonista delle battaglie per l’acqua “bene comune”, apparso su “il manifesto” del 27 marzo 2011
Marcia per la vittoria
Andrea Palladino
ROMA
A ben pensarci c’è qualcosa di curioso nel vedere decine e decine di migliaia di persone sfilare, a Roma, per l’acqua. Non è la Bolivia delle rivolte di qualche anno fa, o il Maghreb infiammato dai costi dei beni essenziali. È un paese pigro e cupo, l’Italia che ci mostrano quotidianamente, che nulla dovrebbe avere a che fare con un movimento così forte, capillare, anticonformista e orgoglioso come quello che chiede – da almeno cinque anni – di cambiare la politica partendo dal concetto di beni comuni. Eppure ieri a Roma centinaia di comitati cittadini, associazioni più o meno informali, parti di una rete cresciuta nel silenzio allineato dell’informazione e della politica – almeno quella parlamentare – hanno riaffermato la centralità del movimento per i beni comuni nel nostro paese. Con volontà e creatività, prendendo in mano per qualche ora la capitale, puntando al raggiungere il quorum dopo sedici anni di referendum falliti, un obiettivo che potrebbe rivoluzionare la politica italiana, soprattutto a sinistra.
Un milione e quattrocentomila firme raccolte in tre mesi non avrebbero senso senza tenere a mente questo volto della società italiana dell’era di Berlusconi, che è la vera spina dorsale di quello che i media chiamano – semplificando – il popolo dell’acqua.
Elencare le città comporebbe una lista immensa e senza senso. Conviene allora citare una parte importante e unica del movimento, il gruppo degli enti locali per l’acqua pubblica che ieri aprivano il corteo con i gonfaloni storici delle città. Un’intera regione, le Marche, le province di Cagliari e Campobasso e tantissimi comuni, con i sindaci, le delegazioni, le fasce tricolori. Uno fra tutti, quello di Aprilia, che con determinazione ha presentato il foglio di via al gestore privato Acqualatina, dopo avere visto le pattuglie con vigilantes armati andare a staccare l’acqua a chi contestava gli aumenti a tre cifre.
Il ricordo della prima manifestazione nazionale – che ha percorso le vie di Roma nel 2009 – sembra già affondare nella preistoria. Allora i manifestanti erano meno di quarantamila e il punto di arrivo era la piccola piazza Farnese, con un piccolo camion come palco. Lo scorso anno il centro storico venne letteralmente invaso dalle centinaia – oggi forse migliaia – di comitati cittadini, Sembrava l’apice di un movimento, un punto di non ritorno. Non era che l’inizio.
Ieri i movimenti per l’acqua non hanno temuto di accogliere le altre parti della società civile, quella antinuclearista e l’anima pacifista. E non era solo la cronaca ad imporre un ritmo differente, una suddivisione del corteo, sostanzialmente aperto e coinvolgente. Qualcosa sta cambiando, a ben guardare i trecentomila volti sfilati da piazza della Repubblica fino a San Giovanni, sfidando i grandi numeri. Ci sono segnali chiari e oggettivi, che rendono misurabile il movimento: «Lo scorso anno avevamo si e no riempito un pullman – spiegano i gruppi venuti dalla Calabria – quest’anno ne abbiamo organizzati quattro, e saremmo andati oltre se non c’era un problema di costo». Stessi numeri e stesso balzo in avanti per un’altra regione, il Piemonte. E poi la presenza forte delle zone storiche del Pd – che sul tema dell’acqua mostra ancora molte ambiguità – come la Toscana e l’Emilia Romagna. E poi la Puglia alle prese con la prima grande ripubblicizzazione in Italia, la Campania, dove i comitati si trovano di fronte all’eterna emergenza dei rifiuti, la Sicilia, che grazie al movimento per l’acqua ha raggiunto il primo obiettivo di una legge regionale che potrebbe togliere le risorse idriche ai privati. E la Calabria, dove la rete che oggi si riunisce attorno alla difesa dei beni comuni era nata nell’ottobre del 2009, con la manifestazione di Amantea per la verità sulle navi dei veleni.
Il quorum da raggiungere per i referendum su acqua e nucleare sembra non spaventare i comitati che ieri hanno colorato una Roma un po’ sonnacchiosa e primaverile. Un segno importante è stato la partecipazione del gruppo ecodem – l’area ecologista del Pd – al corteo, con uno striscione sorretto, tra gli altri, da Roberto Della Seta. In questi mesi la posizione dei democratici non era stata particolarmente netta, soprattutto sul secondo quesito che prevede l’eliminazione del profitto garantito per i gestori privati dell’acqua. E proprio gli ecodem fin dall’inizio avevano agitato lo spettro del quorum ritenuto impossibile da raggiungere. Con il disastro di Fukushima le cose sono ovviamente cambiate. Ma forse è cambiata anche la percezione che viene dai territori, dove il Pd vede crescere in maniera esponenziale il movimento per l’acqua. Un confronto che guadagna sempre più consenso e coscienza critica.
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