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Dentro e fuori il Parlamento volano i “vaff…”

Che palle, ‘sto avanti e indietro di “nominati” (la legge elettorale, com’è noto, assicura ai padroni di un partito di poter far eleggere chi garba a loro, mica agli elettori…).

E quindi, viva! Un po’ di movimento per favore!

La gazzarra è partita con il “processo breve”. In pratica, la maggioranza berlusconiana, approfittando del fatto che “il capo” si era portato a Lampedusa metà dei giornalisti italiani, ha ribaltato un ordine del giorno che stabiliva le “priorità” tra leggi da mandare al voto. Invece di una “legge comunitaria” di cui nessuno ha saputo spiegare il contenuto, ecco qui una bella norma per accorciare i processi.

Si sparge la voce, tra portaborse e iscritti ai partiti: fuori dal Palazzo qualche centinaio di persone, spintesi davanti al portone, lanciano insulti e qualche monetina. Accadde anche con Craxi, davanti all’hotel Rafael. Fu l’inizio della sua fine. Non sappiamo se tanto basti a ripetere la storia, la farsa è sempre dietro l’angolo.

La convocazione dei manifestanti viene attribuita al Pd, che sarebbe così passato – forse senza troppa consapevolezza – dall’opposizione parlamentare a quella di piazza (logiche diverse, diversi fronteggiamenti; qualche rischio in più che la cosa scappi di mano). Viene escluso all’ultimo momento l’Aventino (non proprio una pagina eroica della storia parlamentare italiana), che diviene oggetto anche di un diverbio in aula tra la “pasionaria” Rosy Bindi e il più moderato Massimo D’Alema (i veri ultrà erano democristiani, l’avevamo sospettato).

 

Avviene l’indicibile. La folla, qualche centinaio di persone, tenuta di solito oltre le transenne, riesce a raggiungere il portone di Montecitorio, gridando “vergogna, vergogna, mafiosi”. Lecito sospettare che le “forze dell’ordine” ne abbiano anche loro piene le tasche del “grande promettitore”. Si canta addirittura “bella ciao”. I decibel aumentano, insieme ai fischi e al lancio di qualche moneta. Bersaglio: quell’anima candida di Ignazio La Russa, casualmente anche ministro della guerra. Pardon, della difesa. Che prova ad uscire, è costretto a rientrare dai fischi (e pure dalle monetine, che fanno male al morale, se non hai tempo di raccoglierle).

Rientra precipitosamente e non troppo gloriosamente. Il capogruppo Pd, Dario Franceschini, dando libero sfogo all’anima “dietrologica” del partito, chiede chiarimenti sul fatto che i manifestanti si siano spinti fino al portone; e soprattutto «come mai il ministro La Russa, volto molto televisivo, abbia deciso di uscire proprio dal portone principale». Un vero provocatore (è vero: è un provocatore).

La Russa impazzisce e torna quello che era decine di anni (e poltrone) fa. «Voi – dice rivolto ai banchi del Pd – siete complici dei manifestanti, più violenti di loro. Vi dò un’ulteriore notizia: mi è venuta di fronte una persona in modo minaccioso, l’ho riconosciuta, si tratta dell’organizzatore di fischi contro Berlusconi il giorno delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia». Un contestatore seriale, quasi un candidato ministro…

Fini lo invita più volte ad un «atteggiamento rispettoso», ma il ministro, levando il braccio in aula, esclama: «ma vaffa…». «Non le consento di offendere la presidenza della Camera», afferma Fini prima di sospendere la seduta. Poi, lasciando l’Aula, sibila: «Curatelo». Lo conosce bene, ma dà consigli soltanto adesso che se lo ritrova contro.

La Russa prova a chiarire che l’insulto non era rivolto al presidente della Camera, ma a Franceschini. Troppo facile per Fini rispedirle al mittente: «non è stata una offesa alla persona ma all’istituzione».

Claudio Scajola attacca apertamente La Russa, mentre il deputato Osvaldo Napoli commenta con i giornalisti che un’uscita del genere «ci fa perdere 5 punti nei sondaggi».

Intanto Fini ha incaricato i questori della Camera di preparare una relazione su quanto accaduto dentro e fuori dall’Aula.

That’s all, folks! Questa è la classe politica che ci meritiamo…

Sarà ora di cominciare a voltar pagina, no?

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