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“Nessuna illusione per Mario Monti”

Qui di seguito l’editoriale di Mario Monti sul Corriere della Sera dell’11 gennaio 2011

 

Meno illusioni per dare speranza

Esistono in Italia due illusionismi. Essi sono riconducibili, sia detto senza alcuna ironia, alla dottrina di Karl Marx e alla personalità di Silvio Berlusconi.

Marx ha alimentato a lungo un sogno sul futuro: la classe operaia un giorno avrebbe vinto il capitalismo e avrebbe governato come classe egemone in un sistema più equo. Fallito quel sogno, in quasi tutti i Paesi le rappresentanze della classe operaia e delle nuove fasce deboli hanno modificato le loro azioni e rivendicazioni, ispirandole all’ esigenza di tutelare al meglio e pragmaticamente tali interessi nel contesto di economie di mercato che devono affermarsi nella competizione internazionale. Solo così possono creare lo spazio per dosi maggiori di socialità (adeguati servizi sociali, sistema fiscale redistributivo, ecc.) che, per essere effettivamente conquistate, richiederanno appunto quelle azioni e rivendicazioni.

In Italia, data la maggiore influenza avuta dalla cultura marxista e la quasi assenza di una cultura liberale, si è protratta più a lungo, in una parte dell’ opinione pubblica e della classe dirigente, la priorità data alla rivendicazione ideale, su basi di istanze etiche, rispetto alla rivendicazione pragmatica, fondata su ciò che può essere ottenuto, anche con durezza ma in modo sostenibile, cioè nel vincolo della competitività.

Questo arcaico stile di rivendicazione, che finisce spesso per fare il danno degli interessi tutelati, è un grosso ostacolo alle riforme. Ma può venire superato. L’abbiamo visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po’ ridotto l’handicap dell’Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili.

Ma in molti altri casi, basta pensare alle libere professioni, il potere delle corporazioni ha impedito che le riforme andassero in porto o addirittura venissero intraprese. E lì non si tratta di tenaci fiammelle rivendicative fuori tempo (ma che almeno vorrebbero tutelare fasce deboli della società), bensì di corposi interessi privilegiati che, pur di non lasciar toccare le loro rendite, manovrano un polo contro l’altro: veri beneficiari del bipolarismo italiano!

Se Marx ha alimentato un sogno sul futuro, del quale in Italia sopravvivono tracce significative, Berlusconi ha fatto di più. Egli è riuscito ad alimentare, in moltissimi italiani, un sogno sul presente, per il quale la verifica sulla realtà dovrebbe essere più facile. Molti credono che oggi, in Italia, ci sia davvero un pericolo comunista (non solo quell’eredità di cui si è detto sopra, che ostacola le riforme). Molti credono che i governi Berlusconi abbiano davvero portato una rivoluzione liberale (come avevo sperato anch’io, incoraggiandolo da queste colonne ad un «Liberismo disciplinato e rigoroso», 8 maggio 1994).

Soprattutto, di fronte al magnetismo comunicativo del premier, molti credono che l’Italia — oltre ad avere, anche per merito del governo, riportato indubbiamente meno danni di altri Paesi dalla crisi finanziaria — davvero non abbia gravi problemi strutturali irrisolti, anche per insufficienze di questo e dei precedenti governi. Ma, come ha detto il presidente Napolitano, «non possiamo consentirci il lusso di discorsi rassicuranti, di rappresentazioni convenzionali del nostro lieto vivere collettivo».

L’illusionismo berlusconiano non fa sentire al Paese la necessità delle riforme, che comunque l’illusionismo marxiano e il cinismo delle corporazioni provvedono a rendere più difficili. Eppure, la riforma dell’università e la riforma della contrattazione indicano la strada, mostrano che è possibile percorrerla. Se si procederà così, le gravi tare dell’Italia elencate da Ernesto Galli della Loggia (Corriere, 30 dicembre) potranno essere rimosse in cinque o dieci anni, senza cedere al «disperato qualunquismo»

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E Il SOle 24 Ore di ieri ricorda i patti che hanno portato Monti a palazzo Chigi…

Niente retromarce sulla riforma Gelmini

di Dario Braga

In questi primissimi giorni di attività del nuovo governo, al neo ministro dell’Università Francesco Profumo mi sento di sottoporre una richiesta e una idea. So già che, visti i tempi che corrono, entrambe le proposte potranno sembrare stravaganti, ma si tratta di due segnali di cui il sistema universitario e della ricerca hanno – a mio avviso – molto bisogno e subito.

La richiesta è quella di accelerare nell’attuazione della legge Gelmini. Non perché sia una legge di straordinaria bellezza (la legge 240 contiene elementi positivi e negativi e lo abbiamo detto più volte) ma perché l’Università – che il ministro ben conosce – di tutto ha bisogno in questo momento tranne che di rimanere in mezzo al guado.
È una esigenza pragmatica e di economicità di processo: già troppe energie sono state spese nello sforzo di attuazione della legge in vigore da un anno vuoi che si tratti della riorganizzazione dipartimentale vuoi della stesura di nuovi statuti vuoi della riorganizzazione delle carriere e delle regole di accesso. Mancano tuttavia ancora molti decreti attuativi senza i quali il sistema rimarrà “appeso” all’incoerenza normativa tra vecchie e nuove regole appesantendo ulteriormente la già complessa macchina burocratica e facendo mancare obiettivi. Si pensi solo al dottorato di ricerca. Il terzo livello della formazione accademica.

La legge 240 prevede una riorganizzazione in coerenza con la riforma degli statuti e prevede operazioni di accreditamento presso l’Anvur e tempistiche precise. Per non perdere i nostri laureati migliori verso dottorati esteri e per poterne attrarre da fuori verso i nostri abbiamo bisogno di muoverci ora per il prossimo ciclo. E questo è solo un esempio. Gli Atenei hanno bisogno di ricominciare a operare in un quadro di stabilità normativa e con tempistiche prevedibili.
E veniamo alla proposta. Il sistema della ricerca chiede un segnale forte anche simbolico. Finanzi l’Italia tutti i progetti “Ideas starting grants” presentati da ricercatori presso istituzioni italiane e che non hanno ricevuto il finanziamento dallo European Research Council per esaurimento del fondo.

Per quanto mi è dato di sapere, nel 2011, sono state presentati 573 progetti nel programma di finanziamento riservato ai giovani. Di questi 54 sono stati valutati positivamente ma solo 28 sono stati finanziati. Sono progetti eccellenti che hanno subito un pesante vaglio da referee internazionali. Lo stesso sforzo andrebbe fatto per i progetti Firb giovani “futuro in ricerca” che hanno subito sorte analoga, e, potendo, anche per i progetti Prin 2009 che hanno raggiunto la soglia ma sono stati finanziati solo in parte.
Mi rendo perfettamente conto della “stravaganza” di una proposta di spesa a un governo nato per fare il lavoro difficile “senza se e senza ma”. Chiedere al Miur di reperire nuovi fondi in questo momento può sembrare una ingenuità se non peggio. Non me ne voglia il Ministro. Il nostro sistema della ricerca, e so di non scrivere nulla di nuovo, ha bisogno di una iniezione di ottimismo e di un forte segnale di fiducia e di supporto.

Tanto più se arriva a quanti si sono impegnati nella defatigante e molto spesso frustrante stesura di progetti di ricerca competitivi superando i vagli della valutazione. Finanziando “i bravi esclusi” non solo si attiverebbe con effetto immediato una ondata di ricerca di qualità in tutti i campi, ma si manderebbe un forte segnale di incoraggiamento ai gruppi di ricerca e ai singoli perché si impegnino ancor di più nella presentazione di progetti nella seconda parte del Fp7, ancora ben finanziato, e perché si attrezzino alla progettazione per Horizon 2020 presentata la scorsa settimana alla Accademia dei Lincei, alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, proprio nel giorno in cui nasceva il governo Monti.

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