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Ferito un neofascista a Tivoli

La vittima, che non è in pericolo di vita ed è stata trasportata all’ospedale di Tivoli, è stata ferita a un braccio e alle gambe da due persone a bordo di uno scooter.

Francesco Bianco era vicino agli ambienti dei Nar ed è stato coinvolto in passato nella vicenda di parentopoli dell’Atac. Bianco è stato processato per rapina, omicidio e tentato omicidio insieme ai fratelli Fioravanti. Nel 1978 partecipò, guidando l’auto, alla rapina all’armeria Centofanti durante la quale rimane ucciso l’esponente dei Nar Franco Anselmi ed era anche l’autista del commando fascista che uccise sempre nel 1978, il giovane di sinistra Roberto Scialabba.

Gli investigatori, che stanno indagando sull’agguato, non escludono la pista politica e neppure quella del movente di carattere personale. La vittima, vicina agli ambienti dei Nar, era conosciuta anche per essere stata coinvolta in passato in una bufera mediatica per alcuni insulti al presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, ed era stato sospeso dall’azienda ma poi reintegrato nel marzo del 2011. Bianco era stato anche accusato di aver fatto commenti, “postati” su facebook contro gli studenti che contestavano l’allora ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini. Bianco è anche uno degli organizzatori del sito”Nessuno resti indietro nel lavoro” una idea sponsorizzata anche dal leader teorico di Casa Pound Adinolfi. In pratica è un “mutuo soccorso tra camerati”.

Francesco Bianco era l’autista di una delle macchine del commando neofascista che uccise il giovane di sinistra Roberto Scialabba a Cinecittà, il 28 febbraio del ‘78. Il 28 febbraio tre auto di neofascisti lasciano il Fungo all’Eur e si dirigono a Cinecittà. Una è guidata da Francesco Bianco. Lo ricorda lui stesso a Nicola Rao, autore del libro “Il sangue e la celtica”: “Io guidavo una delle auto…”. Tutta la dinamica è stata poi riferita definitivamente nel 1982 da Cristiano Fioravanti, ormai collaboratore di giustizia. “Sulla 132 – ha spiegato Cristiano Fioravanti – prendemmo posto io, Valerio, Alibrandi, Anselmi e il Bianco…”. Insomma il nucleo più duro. Sulle altre due ci sono, tra gli altri, Pedretti, Massimo Rodolfo, Paolo Cordaro. Obiettivo, Cinecittà. Le tre auto avevano puntato  su una palazzina occupata di via Calpurnio Fiamma, ma la polizia ha appena sgomberato l’edificio.  Allora gli otto fascisti ripiegano su Don Bosco, a poche centinaia di metri. Sapevano che lì si ritrovavano la sera militanti di sinistra. “Parcheggiai a un centinaio di metri da un gruppo di ragazzi, seduti su una panchina – ha riferito Bianco a Rao -. Gli altri sono scesi e hanno cominciato a sparare. Mi ricordo che a Franco (Anselmi, ndr) si inceppò una pistola, così tornò di corsa alla macchina, io gli diedi la mia, lui tornò là e riprese a sparare…”. Racconta Cristiano Fioravanti: “Il Bianco rimase al volante della sua autovettura e ugualmente rimase a bordo della stessa come copertura Alibrandi. Dalla macchina scendemmo io, Valerio e Anselmi. Io ero armato di una pistola Flobert calibro 6 modificata in modo da sparare colpi calibro 22. Valerio aveva una 38 franchi 6 pollici e Anselmi una Beretta calibro 7,65. Scesi dalla macchina abbiamo percorso alcuni metri a piedi andando di fronte al gruppo di persone che avevamo visto. Mi sembra che abbiamo fatto subito fuoco. Io sono sicuro di aver colpito una delle persone verso la quale avevo sparato uno o due colpi e non potei spararne altri perché la pistola s’inceppò. Anselmi scaricò tutto il caricatore della sua pistola, non so dire se abbia colpito qualcuno, perché fra di noi aveva stima di essere un pessimo tiratore e lo soprannominavamo “il cieco di Urbino”. Valerio colpì uno dei giovani che cadde a terra. Visto ciò, Valerio gli salì a cavalcioni sul corpo, sempre rimanendo in pedi e gli sparò in testa un colpo o due. Quindi si girò verso un ragazzo che fuggiva urlando, e sparò anche contro questo ma senza colpirlo…Alibrandi era armato di una Beretta calibro 9 corto, mentre il Bianco aveva una calibro 22 datagli da Massimo Rodolfo…” In questo modo è morto dunque Roberto Scialabba. E così fu ferito suo fratello. Il Messaggero il giorno dopo scriverà: “Le indagini sono indirizzate verso un regolamento di conti nell’ambiente dei drogati e degli spacciatori. L’ipotesi del movente politico per la polizia per ora è da escludere”. I fatti dimostrarono esattamente il contrario.

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