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I forchettoni neri (quinta e ultima puntata)

Nell’agosto del 2009, sul Corriere della Sera esce un articolo di Romano Pietro che tratteggia in termini piuttosto lusinghieri la figura dell’ingegnere di Alemanno, un certo Riccardo Mancini che, a parte un fugace accenno alla sua lontana militanza nel Fronte della Gioventù, viene presentato come un imprenditore di successo, a soli 24 anni amministratore delegato di Agip servizi Piemonte, poi lanciatosi nella bonifica e smaltimento di rifiuti di idrocarburi e nella bonifica di siti contaminati da amianto e da rifiuti speciali. En passant, l’ingegnere si è occupato anche di multimedialità, società petrolifere e dismissione di immobili pubblici. Un ritratto ideale per l’uomo chiamato a rivestire la carica di amministratore delegato di EUR S.p.A., holding romana che dispone di un ingente patrimonio immobiliare nel quartiere voluto da Benito Mussolini quando lo sviluppo di Roma era proiettato verso il mare.

Per la verità, leggendo meglio lo stesso articolo, si scopre che la laurea in ingegneria meccanica Mancini l’ha avuta honoris causa da un’università privata, la Pro Deo, ma è sufficiente ricorrere ad altre fonti per rendersi conto che il nuovo ad di EUR S.p.A. non è soltanto il solido imprenditore descritto dal Corriere della Sera.

Mancini era uno dei fedelissimi del camerata Peppe Dimitri e si ritroverà imputato con lui nel processo per la ricostituzione di Avanguardia Nazionale, insieme ai leader Stefano Delle Chiaie e Adriano Tilgher (che oggi lavora alla Regione Lazio con il camerata Buontempo: non ci facciamo mancare proprio nulla). Condannato ad un anno e nove mesi per violazione della legge sulle armi, come osserva Emiliano Fittipaldi sull’Espresso, grazie ad Alemanno il buon Mancini si trova in mano “le chiavi di un quartiere che conosce bene, quello del mitico bar Fungo, dove un tempo si ritrovavano quelli di Terza Posizione, i ragazzi di Massimo Morsello e il gruppo di Giusva Fioravanti”. Mancini non nasconde la sua perdurante amicizia con Massimo Carminati, il “Nero” della Banda della Magliana, ma neanche questo sembra turbare minimamente il sindaco Alemanno, il quale, del resto, ha piazzato come capoufficio del decoro urbano del suo gabinetto Mirko Giannotta, che l’Espresso ricorda essere stato “arrestato nel 2003 insieme al fratello perché accusato di rapine ai danni di banche e gioiellerie”. Uno che di decoro se ne intende, insomma, più o meno come quell’Orsi, ex carabiniere, a sua volta delegato da Alemanno al decoro urbano, che – secondo le solite toghe rosse – avrebbe un debole per i festini a base di donnine e cocaina, nonché per le fatturazioni fasulle.

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Un nome che ricorre spesso nelle frequentazioni dei nostri Forchettoni Neri è quello di Massimo Carminati, ex militante del Movimento Sociale Italiano, sezione EUR, poi di Avanguardia Nazionale e, infine, cofondatore dei NAR. Non c’è molto da aggiungere alla biografia di Carminati che si trova su Wikipedia: “Frequentando lo stesso bar dei malviventi Franco Giuseppucci e Danilo Abbruciati Carminati nel 1977 entrò in contatto con la Banda della Magliana. Dal 1977/1978 si associò a questo gruppo criminale, del quale divenne “esattore”. Esperto nella fabbricazione di bombe artigianali, Carminati istruiva i malviventi della Magliana all’uso degli esplosivi. Maurizio Abbatino, uno dei pentiti della Banda della Magliana, rivelò in seguito che tutti gli esplosivi a disposizione della banda erano stati procurati da Carminati. Durante il suo periodo di associazione alla Banda, Carminati ottenne il controllo congiunto per conto dei NAR del deposito di armi della Banda nascosto negli scantinati del Ministero della Sanità, in Via Liszt, all’EUR.

Il 27 novembre 1979 fu, con Valerio Fioravanti, uno degli autori della rapina alla filiale della Chase Manhattan Bank dell’EUR. Il 5 agosto 1980 fu autore, assieme a Fioravanti e a Francesca Mambro, della rapina all’armeria romana Fambrini.

Secondo le rivelazioni del pentito Walter Sordi, nell’aprile del 1980 Carminati avrebbe ucciso per ordine della Banda il tabaccaio Teodoro Pugliese (Carminati sarà però assolto da questa accusa). Nel febbraio 1981 Carminati confidò a Cristiano Fioravanti di aver ucciso due persone (una di esse fu “cementata”, l’altra fu uccisa in una sala scommesse sulle corse dei cavalli)”. Questo galantuomo, non estraneo a rapporti con i servizi segreti di allora, è stato accusato anche dell’assassinio di Fausto e Iaio, i due ragazzi del centro sociale Leoncavallo di Milano uccisi nel 1978. Il giudice Salvini, però, non ritenendo sufficienti le prove contro Carminati, non ne chiese il rinvio a giudizio.

Rimane il fatto, incontestabile, che l’ascesa al Campidoglio di Gianni Alemanno ha avuto come conseguenza l’insediamento in alcuni centri vitali della Capitale di uomini legati all’estremismo neofascista, al terrorismo dei NAR, alla criminalità organizzata della Banda della Magliana ed ai servizi deviati, uomini dal presente luminoso ma con un passato che definire oscuro è un eufemismo.

Qualcuno avrebbe potuto dire molte cose su queste vicende, molte di più di quelle che sono state pubblicate dal Corriere della Sera, da Repubblica, dall’Espresso e da molti siti di informazione alternativa, fra i quali vale la pena di citare quello della controinchiesta sull’assassinio di Fausto e Iaio, www.faustoeiaio.org. Peccato che la voce di quell’uomo sia stata spenta nell’ottobre scorso, proprio quando – ma è sicuramente una coincidenza – i rumors sulla natura della nuova classe dirigente romana si facevano sempre più forti. Quell’uomo si chiamava Sergio Calore, era un fascista coinvolto in quasi tutte le avventure dell’estremismo nero, diventato collaboratore di giustizia (ma lui ha sempre rifiutato di essere inquadrato in quella categoria). Insomma, uno che sapeva veramente tante cose, fino al momento in cui qualcuno lo ha sgozzato come un capretto, nella sua casa di Guidonia, alle porte di Roma.

Non è detto che il feroce assassinio di Calore sia da mettere in relazione con il verminaio nero che si è installato ai piani alti del potere romano, ma non è detto nemmeno il contrario, ed è molto strano che l’omicidio di un tale personaggio sia rapidamente scomparso dalle cronache giornalistiche e che dell’inchiesta in corso – ammesso che ci sia – non parli nessuno.

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Abbiamo visto come gli ex avanguardisti degli anni 70 si siano riciclati in veste neodemocristiana, grazie allo sdoganamento promosso nei loro confronti da Silvio Berlusconi nell’ormai lontano 1993, quando invitò a votare come sindaco di Roma l’allora segretario del Movimento Sociale Italiano, Gianfranco Fini. Sono passati molti anni, e la lunga marcia dei balilla dall’emarginazione politica ai centri di comando può dirsi ormai compiuta, e non solo a Roma, che ne costituisce, tuttavia, l’esempio più evidente e disgustoso.

Roma è ormai una città per la gran parte in mano a vecchi malavitosi e neonazisti, peraltro in ottimi rapporti con i vertici della Comunità Ebraica, a partire da quel Riccardo Pacifici, ottimo amico di Alemanno, che risulta surreale quando, costretto dall’evidenza, invita il sindaco a non dare spazio ai neofascisti: ma perché, il suo amico Alemanno cos’è? Possibile che Pacifici, implacabile fustigatore della sinistra “antisemita”, ignori i trascorsi dei vari Dimitri, Andrini, Lucarelli, Mottironi, Mancini, Giannotta, nonché dei loro amici della Banda della Magliana come Nero e Fornaretto?

Chiudiamo il nostro breve viaggio di conoscenza della “nuova” classe dirigente romana con un’osservazione amara, ma necessaria. L’informazione, questa volta, ha fatto il suo mestiere: le notizie e gli approfondimenti sui Forchettoni Neri sono state ampiamente diffuse anche dalle testate più importanti, e non solo dai soliti blog alternativi. Quel che è mancato, e continua a mancare, è la politica, cioè la sinistra nelle sue varie declinazioni, moderate o radicali. Lo scandalo delle migliaia di assunzioni clientelari e la presenza ai vertici di importanti istituzioni di personaggi impresentabili ha suscitato reazioni blande, tardive e inefficaci. Addirittura, spesso si è scelto di tacere, se è vero che già nel febbraio 2010 l’Unità dava la notizia che il delegato di Alemanno al decoro urbano, il già citato Orsi, era coinvolto nella vicenda Mokbel, senza che vi sia stata alcuna iniziativa in Campidoglio per chiederne le dimissioni: dovremo attendere un anno per vedere l’ex carabiniere, grande finanziatore – come Riccardo Mancini – della campagna elettorale di Alemanno, messo sotto i riflettori, ma dagli investigatori, non certo da un’opposizione singolarmente dormiente.

La realtà è che il tessuto democratico di Roma ha subito colpi durissimi proprio negli anni delle giunte di Rutelli e di Veltroni, anni che hanno visto la sinistra sedicente radicale giocare un ruolo molto sporco. Invece di utilizzare il consenso raggiunto per imporre politiche progressiste sul terreno del lavoro, dei servizi pubblici, della partecipazione, i rappresentanti di quella sinistra hanno fatto a gara nel subordinarsi alle scelte regressive e liberiste delle giunte di centrosinistra. Grazie a quelle giunte, a Roma sono stati regalati – in tutto o in parte – ai privati la Centrale del Latte, l’Azienda per l’acqua e l’energia (ACEA), il trasporto pubblico ed altro ancora, mentre veniva approvato un nuovo Piano Regolatore che vomitava sulla città decine di milioni di metri cubi di cemento, a maggior gloria dei palazzinari. Quegli stessi palazzinari che ringrazieranno con migliaia di euro di donazioni i “comunisti” di averli aiutati a poter fare nuovamente scempio della città.

Mentre, grazie a queste scelte scellerate, qualche arrivista scalava i gradini del potere nelle assemblee elettive e nei consigli di amministrazione, il corpo vivo della sinistra romana, i suoi militanti, entravano in crisi: la maggior parte si allontanava dalla partecipazione, qualcuno cercava nuove forme di aggregazione, qualcun altro si ostinava oltre ogni ragionevolezza a cercare di cambiare le cose “dall’interno”. Il risultato – per tutti – è stato il progressivo ed inesorabile allontanamento dal sentire comune del proprio insediamento sociale, la chiusura in ambiti sempre più angusti, marginali ed autoreferenziali, impotenti di fronte all’aggressiva penetrazione della destra nella società civile. Il resto è storia di oggi, in piccola parte narrata in queste righe.

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Nonostante tutto, sarebbe sbagliato credere che la storia dei prossimi anni sia già stata scritta, tanto a Roma, quanto in tutto il Paese. I Forchettoni Neri non sono invincibili, come non lo è il blocco di potere coagulatosi intorno a loro, all’ombra del senescente Caimano. E’ vero che questo è il Paese dove il fascismo è nato ed ha spadroneggiato per un ventennio, ma è anche il Paese che il fondatore del fascismo lo ha appeso a Piazzale Loreto.

Diceva qualcuno che non è serio dare sempre la colpa dei propri insuccessi al destino cinico e baro. Bisogna imparare dagli errori commessi, capire quando i propri strumenti sono inadeguati, avere il coraggio di gettarsi nella mischia, anche lasciandosi alle spalle rituali e rigidità inservibili: oggi è possibile liberare Roma dai Forchettoni Neri e ricacciarli nelle fogne da cui sono sgusciati fuori. La condizione per cui questo possa avvenire è che si riscopra il valore del conflitto, del protagonismo democratico e del rifiuto di ogni logica di scambio. Sembra poco, ma è tutto quello che è mancato in questi anni.

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