Primo maggio a Portella: una memoria, due prospettive
Dicono gli storici che si occupano di storia orale – quella che raccoglie le testimonianze di chi era presente a un evento storico – che sui fatti di Portella della Ginestra la memoria della popolazione locale è divisa. C’è chi pensa che Giuliano fosse un “signore” protettore della povera gente e chi sostiene che fosse semplicemente un mafioso. E non c’è distinzione di classe. Ancora oggi Portella continua a dividere.
A Portella della Ginestra si è festeggiato il primo maggio ricordando, come da anni avviene, l’eccidio di 11 dei 2000 manifestanti presenti in quel 1947. Altri tempi, tempi in cui le lotte dei contadini erano lotte di classe contro i latifondisti e non semplici caroselli politici in prossimità di elezioni amministrative. Duole dirlo, ma quello che oggi è avvenuto è proprio questo. Almeno in parte.
E infatti, alla sede locale del PD di Piana degli Albanesi, Bersani – venuto in sostegno dei candidati locali – è stato contestato dai militanti (giovani e meno giovani) dei centri sociali e dai collettivi studenteschi venuti da Palermo (“Assemblea autonoma palermitana”, Ex-Carcere “Anomalia”, “Fuori Controllo”, e altri). Al grido di “lavoro, lavoro” o “vergogna, vergogna”, il segretario del Pd ha ricevuto il suo primo benvenuto da chi non può accettare le politiche di classe di questo governo e dei partiti che lo sostengono.
Il corteo che doveva partire da Piana per arrivare a Portella (un paio di chilometri a piedi) si scinde e i “contestatori” iniziano prima che Bersani finisca di parlare, come a dire: “non ti seguiamo e non ti aspettiamo”. A metà strada si uniscono altri compagni provenienti da altre parti della Sicilia (Avola, Caltanissetta, Catania). Il corteo si infoltisce e un centinaio di persone lancia slogan contro il governo Monti, contro il ministro Fornero, e la sanguinaria triade Alfano-Bersani-Casini. Si invoca lo sciopero generale. Ci si richiama all’internazionalismo e al comunismo. Cose normali fino a qualche tempo fa durante le feste del Primo maggio. Ci sono tante bandiere rosse di partiti (Rifondazione, Sinistra Popolare), e sindacati di base (Usb), ma anche quelle bianche dei NoTav e quelle nere degli anarchici. E ovviamente gli striscioni, in testa del corteo, portati dai giovani dei centri sociali e dei vari movimenti anticapitalisti (“Contro Governo Monti, banchieri e capitale/Sciopero generale) e dai Giovani comunisti (“I morti di Portella/incompatibili con Monti e Lombardo”, alludendo alla collusione del Pd col governo nazionale e regionale). Probabilmente i “contestatori” dalla Sicilia sarebbero stati di più. Ma molti erano impegnati in un’iniziativa di tre giorni contro il Muos a Niscemi.
All’arrivo a Portella, un gruppo di compagni, già sul luogo, accoglie il primo corteo ricordando Peppino Impastato: “Peppino è vivo e lotta insieme a noi/Le nostre idee non moriranno mai”. Il corteo risponde con pugni alzati. Un’altra storia, un’altra lotta, un’altra memoria.
I lavoratori organizzati della Cgil, che intanto sono giunti dopo la fine del piccolo comizio di Piana, vengono fatti passare avanti, per stare sotto i microfoni. Altre bandiere, rosse, del sindacato – promotore della manifestazione – una del Pd, una di Sel e una del duro a morire Partito socialista.
I “contestatori” si dispongono dietro e sul lato sinistro (v. foto). La commemorazione inizia: vengono ricordati i nomi delle vittime della prima strage di Stato, come si dice dal palco. Silenzi e applausi.
Si susseguono al microfono il segretario della Cgil di Palermo; il presidente del “Centro Studi Pio La Torre”; Mario Nicosia, uno dei superstiti all’eccidio; chiude la giornata celebrativa il segretario regionale della Fillea Cgil, il sindacato degli edili.
Gli interventi sono celebrativi, sentiti e commossi. Si disegna un’altra storia della Sicilia, una storia che sembra continuare ancora l’idea dei Fronti Popolari e che non esistono più. Già, perché alla fine si capiva che di tutta questa eredità storica (da Portella a Pio La Torre), il vero e unico portato storico era il sindacato di oggi (quello promotore, ovviamente) che difende i lavoratori come ha sempre fatto, nello spirito di Portella e della Resistenza. Un po’ di perplessità si disegna sui volti di qualcuno, anche tra i più anziani. E ancora: si accusa l’Europa e si avanza l’ipotesi che questo governo somigli troppo ai “signori” che governano l’Unione europea, si conferma la necessità di sostenere la spesa pubblica, ci si rivolge ai “compagni poliziotti” (che in quel momento, ancora non si sa, a Torino stanno caricando i manifestanti), perché capiscano anche loro che i tagli al comparto difesa sono incompatibili in Sicilia con la lotta alla mafia – eh già – e si dice che la repressione del fenomeno mafioso ne è un momento importante.
Qualcuno dopo ricorda, però, che anche la “prevenzione” è importante e forse lo è di più: dare lavoro, creare sviluppo, creare le condizioni per fare emergere le aziende pulite, ecc. Sì, sono le proposte di chi crede che ancora siamo nel ‘47 e l’Italia è ancora da rifare e sono in arrivo i soldi della Ricostruzione… Infine, il desiderio di riscatto si manifesta ricordando le prossime elezioni locali, nella speranza che ci sia un rinnovamento generale. E la vittoria delle elezioni sembra diventare la soluzione a tutti i mali.
A comizio chiuso si ringraziano le personalità politiche intervenute, non nominate, ma chiari a tutti: Bersani e i candidati a sindaco a Palermo, Firrandello e Leoluca Orlando. Partono i fischi, Bersani se ne va e inizia un po’ di agitazione al grido di “vergogna, vergogna” all’indirizzo del segretario del Pd. Sono i contestatori, che fino a quel momento erano stati in silenzio. I poliziotti si preparano in assetto antisommossa, ma alla fine non hanno motivo di intervenire. “Siete come Lombardo, siete come Cuffaro” si grida. I militanti del Pd e i lavoratori della Cgil non ci stanno. Rispondono a loro volta. La piazza si spacca, compagni contro compagni. Portella non unisce, divide. E vengono in mente le parole di Franco Fortini a un comizio sul Vietnam nel ‘67: “Compagni, sul Vietnam ci si divide, non ci si unisce”.
Di tutta questa giornata, questo è il momento più vero perché è il più drammatico e segna un conflitto non mascherabile. Ci sono i giovani lavoratori precari e gli studenti che urlano, ricambiati, e dibattono animatamente con i lavoratori della Cgil. È un dialogo tra sordi. Volano i fischi contro i contestatori e quelli dei sindacati di base. Vengono chiamati “fascisti”. È un copione già letto, soprattutto nei momenti di crisi politica ed economica.
Qualcuno degli anziani Cgil dice: “andiamocene, volevano solo un po’ di visibilità, perché non li considera nessuno”. Tra un “giovane” (quarantenne) e un altro militante scoppia un diverbio. Il giovane ringrazia per il “fascista”, l’altro dice “tu non hai mai lavorato un giorno e non sai cosa vuol dire lavorare”… Qualcuno li divide, anche se erano già separati da una staccionata.
Iniziamo a chiedere a questo “giovane”, come ad altri presenti, che lavoro fa. È un precario della scuola (“ho iniziato a lavorare a 9 anni come cameriere e l’ho fatto fino a tutta l’università”); poi c’è chi è precario della ricerca, chi ha un piccolo negozio dopo la laurea in biologia, chi vive con contratti da tre e sei mesi.
Ecco i contestatori che non hanno mai lavorato: giovani – e meno giovani – che vivono nella precarietà e non hanno quel futuro, minimo ma certo, che altri hanno avuto. Sono il ceto intellettuale subalterno ridotto alla condizione di sottoproletariato. I contestatori sono, insomma, i figli di quei padri iscritti al grande sindacato e al grande partito che da vent’anni sostengono la destrutturazione del mondo del lavoro in nome dello “sviluppo”. I vecchi dicono “è colpa vostra se Berlusconi ha vinto fino ad ora”… E verrebbe da dire “hai ragione”, perché ancora una volta si è creduto alla favola del fronte popolare contro il grande mostro B. o della Ricostruzione, mentre era destrutturazione dei diritti dei lavoratori.
Piano piano se ne vanno tutti, chi a prendere una panino, chi una birra, chi a prendere il pullman per tornare a casa. Le bandiere vengono riavvolte. Qualcuno legge le notizie Ansa su ciò che è avvenuto a Torino. Ecco la festa ai lavoratori…
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa