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La Palestina mobilita poco ma fa polemica

Un articolo di Michele Giorgio su “il manifesto” resocontava dei dissensi della sinistra palestinese – il Fplp in particolare – sulla formazione del nuovo governo Fayyad alla guida dell’Anp. Un esecutivo che sembra voler mettere in naftalina il processo di riconciliazione nazionale con Hamas e che non ha colto l’opportunità unitaria che veniva dallo sciopero della fame dei prigionieri palestinese. Il rappresentante di Al Fatah in Italia, Youssef Salman, aveva scritto due lettere di protesta, una circolata in rete e una pubblicata poi da Il manifesto. Obbligata la replica di Michele Giorgio che ottiene il sostegno di molti attivisti e personalità impegnata sulla Palestina. Tra le due posizioni ci siamo riconosciuti nel diritto-dovere di Michele Giorgio di raccontare quello che vede e che sente tra i palestinesi dei Territori Occupati, senza fare sconti a nessuno, neanche all’Anp. Ciò che ci colpisce e amareggia è che sulla Palestina sia più facile mettere su polemiche che dare continuità alla capacità di mobilitazione che abbiamo visto negli anni scorsi sulla Palestina e che oggi sembra o inerte o imbrigliata dalla prevalenza delle iniziative “umanitarie” piuttosto che da quelle politiche sulla questione palestinese. Un regalo all’occupazione coloniale israeliana e alle lobby sioniste che la sostengono, anche nel nostro paese.

La lettera arrivata oggi da Yousef Salman che mette fine alle polemiche

Dove vogliamo andare e cosa vogliamo fare?

Non è mai stato facile per nessuno, fosse persona o movimento o partito, reggere le polemiche e gli scontri interni senza perdere energie e lasciare feriti sul campo.

Politicamente lo scontro interno ha sempre rappresentato un “regalo” molto gradito ai nemici della causa comune.

Non è per caso che alla sua nascita (ufficialmente 1965) Al Fatah aveva uno  slogan inequivocabile: “tutti i fucili solo contro il nemico sionista”, che era un messaggio di forte richiamo verso il pericolo che possono rappresentare in certi momenti le battaglie marginali  (anche se giuste) rispetto alla causa principale.

Erano anni in cui noi militanti di  Al Fatah subivamo in silenzio le critiche e le accuse, spesso pesanti ed ingiuste, dalle quali non era immune neanche Arafat che fino a ieri è stato più volte considerato ambiguo, di destra, dittatore corrotto … Accuse poi riversatesi su  Abu Mazen con l’aggiunta di essere definito l’uomo di Israele e dell’occidente, il Karzay palestinese, il collaborazionista e il traditore…

Oggi, e dopo tanta pazienza e sofferenza, abbiamo voluto dire basta a questo massacro mediatico e politico.  Ma con sorpresa vediamo che mentre tutti  hanno il diritto di criticare e di accusare Fatah e il presidente dell’Anp, a noi il diritto di applicare la stessa pratica democratica viene bocciato: ogni nostra critica  diventa una ingiusta accusa, se non addirittura un lavoro al servizio dei nostri nemici e contro la libertà di espressione.

Michele Giorgio ci ha rivolto delle critiche e delle accuse, è un suo diritto incontestabile, ma anche la nostra replica lo è, rientrando parimenti nella libertà delle idee e del pensiero garantiti in un paese democratico.

Ma si è sollevato un finimondo, come se la replica volesse significare il bavaglio al giornalista del Manifesto e addirittura la denigrazione dell’unico giornale che rappresenta per tutti noi un patrimonio da non perdere. E’ strana questa decisione di riconoscere il diritto di espressione ad una parte e negarlo all’altra acuendo un’immagine non di contrasto di opinioni ma di inimicizia politica.

Imboccando  la strada dello scontro interno – e non poteva essere diversamente – lo sciacallaggio delle forze nemiche sioniste, è emerso in pieno, ma è un’operazione meschina e respinta al mittente. Non mi sogno davvero di condividere neanche una parola di quanto scritto dagli sciacalli sionisti che sperano di trasformare a loro vantaggio i nostri contrasti.

Non era certo mia intenzione impedire a nessuno di esercitare  il diritto alla critica e alla espressione del pensiero, quel che ho chiesto e che seguito a rivendicare con decisione è  la non criminalizzazione collettiva, la non generalizzazione  a tutto il nostro grande movimento di fenomeni negativi e condannabili ma che non sono generalizzabili, perché questo sì che rappresenta una pratica pericolosa che porta a una lettura distorta della situazione generale e di conseguenza della nostra giusta causa.

Credo che dopo questa polemica, che da propositiva che doveva essere si è trasformata in sterile e pericolosa per tutti, è compito di tutti noi, figli e sostenitori della stessa giusta causa, fare un passo indietro e ritornare a riflettere e a trarre insegnamento dallo sciacallaggio tentato per mezzo del sionismo nostrano, guardando con la testa in alto per andare avanti INSIEME per una Palestina libera, laica e democratica. Le critiche ci saranno sempre e le diversità di valutazione pure, ma cerchiamo di renderle patrimonio comune per una correzione di rotta in senso democratico e non per una  diffamazione generalizzata che serve sempre e solo lo stesso nemico.

Dr. Yousef Salman

Segretario di Al Fatah in Italia



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1 Commento


  • francesco giordano

    queste merde collaboravano e collaborano con l’occupazione, vi è stata e vi è ancora tanta collaborazione servile con questi che sostengono l’occupazione, quotidianamente a fianco della repressione verso i palestinesi.

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