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Referendum pro-art. 18. Lo schieramento si allarga

Nello schieramento “pro” referendum ci sono come sempre persone per bene, forze politiche più o meno credibili, e masse sterminate di soggetti in cerca di un luogo in cui riciclare per l’ennesima volta la propria dannosa presenza.
Il panorama è vasto, le contradizioni tante, il bestiario a volte insoportabile. Ma il problema di come riprendere l’iniziativa esiste. A voi le riflessioni.
Curiosa la scelta del “manifesto”, che dopo aver sponsorizzato in prima persona e in prima pagina l’iniziativa, il giorno dopo mette sullo stesso piano un articolo a favore di Loris Campetti (che qui sotto vi proponiamo) e uno totalmente contro, con la l’ultrà piddina Daniela Preziosi che intervista per la seicentesima volta Stefano Fassina.

Sì dell’ex segretario Cgil ma Camusso prende tempo
ARTICOLO

 

È giusto «Serve una mobilitazione ampia. Se l’Europa chiede di cancellare i diritti va combattuta»

Loris Campetti

E se invece di partire dagli schieramenti si partisse dai contenuti? La differenza è fondamentale e può avviare un cammino in controtendenza rispetto a quello che ha contribuito ad allargare il divario tra la politica e i cittadini e ad approfondire la crisi della rappresentanza. È questa la ragione delle molte reazioni positive alla decisione di Antonio Di Pietro di trasformare i referendum sul lavoro dell’Idv in una battaglia unitaria di tutte le forze che si oppongono al neoliberismo. La scommessa è ambiziosa: riempire di contenuti politici veri la campagna elettorale che si sta aprendo su un terreno arretrato e autoreferenziale, basato sulle alleanze quasi a prescindere dai programmi, che inesorabilmente finiscono per perdere di significato nel momento in cui non prefigurano un’autonomia dagli ordini della finanza.

Quando si pensa all’art.18 non possono non tornare alla mente i tre milioni di persone al circo Massimo che impedirono a Berlusconi di realizzare un sogno, concretizzato invece da Monti grazie al voto dei partiti che lo sostengono, Pd in primis. Oggi che è europarlamentare del Pd, Sergio Cofferati, artefice della mobilitazione vincente di 10 anni fa quando era segretario della Cgil, non ha cambiato idea: «E’ giusto fare il referendum, l’apertura dell’Idv è positiva e ora è necessario un comitato ampio, rappresentativo di diverse culture, per ripristinare un diritto democratico. La cancellazione dei diritti di chi lavora per uscire dalla crisi – dice Cofferati al manifesto – è una strada che l’Europa sta percorrendo. È sbagliata e va combattuta». Un punto di vista, questo, che potrà pesare nel Pd e nella Cgil.La Cgil come si rapporterà alla battaglia referendaria? La prossima settimana in corso d’Italia si terrà il direttivo nazionale, e in quella sede si capiranno meglio gli orientamenti. Certo la Cgil ha sofferto molte scelte disastrose del governo Monti, dalle pensioni al mercato del lavoro, ma non ha trattato il governo dei tecnici con la stessa convinzione con cui si era opposta al governo Berlusconi. In ogni caso, nella Cgil non c’è solo il Pd e l’adesione di Vendola ai referendum avrà la sua influenza, così come la posizione di una parte della maggioranza, Lavoro e società, schierata in difesa dell’art.18 dello Statuto. Per non parlare della Fiom e della minoranza «La Cgil che vogliamo».

Innanzitutto è la Fiom ad assumere i referendum per l’abrogazione dell’art.8 voluto da Berlusconi e assunto da Monti per liberare il padronato dal contratto nazionale e per cancellare le modifiche all’art.18 che lo sterilizzano. Del resto, la Fiom è oggi il più riconosciuto referente sociale e sindacale di tutte le associazioni e i movimenti che difendono, insieme al territorio, all’ambiente e ai diritti, la democrazia in quanto tale. Ma allora la Fiom fa politica? Se far politica vuol dire costringere le forze democratiche a pronunciarsi sui temi del lavoro, da cui la sinistra politica aveva mosso i suoi primi passi prima di perdersi tra i cespugli del politicismo, allora la Fiom fa politica. Fare sindacato in piena autonomia da governi, partiti e padroni, dalla parte di chi lavora o ha lavorato una vita o di chi rischia di non trovarlo mai un lavoro, vuol dire fare politica. E la Fiom aveva convocato solo pochi mesi fa tutte le forze che si dicono di sinistra perché dicessero da che parte stanno: con Marchionne, Riva e i padroni americani dell’Alcoa, oppure con di chi difende il lavoro e chiede una redistribuzione della ricchezza? Con chi cancella i diritti in fabbrica offrendo un piede di porco a chi vuole scardinarli nell’intera società, oppure con chi vuole estendere questi diritti a chi oggi ne è privo, o riconquistarli qualora ne sia stato privato?

La risposta non può essere fatta di parole al vento, di ma, forse, dipende, di chi privilegia invece la politica delle alleanze per battere le destre e attuare un programma “diversamente” di destra.

Il segretario del Prc Paolo Ferrero legge nella prossima battaglia referendaria un segno di discontinuità che potrebbe interrompere la coazione a dividersi delle forze a sinistra del Pd. Apprezza l’apertura dell’Idv, plaude all’adesione di Vendola e di Sel e considera questa mossa in continuità della scelta unitaria della sinistra e dell’Idv di sostenere in Sicilia la candidatura di Fava. Ferrero prova addirittura a rilanciare con un eventuale nuovo referendum, presentato con lo stesso metodo unitario, per cancellare l’ultima, mefitica legge sulle pensioni. Anche il secondo braccio della Federazione della sinistra, il Pdci, annuncia l’adesione ai referendum sul lavoro.
Un plauso al merito e al metodo arriva dai Verdi. Angelo Bonelli interpreta questa battaglia comune come un passo avanti nel contrasto a chi pensa di riformare il mercato del lavoro con i licenziamenti e la riduzione dei diritti e invoca un «green new deal» per creare nuovi posti di lavoro con il risanamento del territorio, una nuova politica della mobilità e un piano energetico basato sulle rinnovabili.
Massimiliano Smeriglio, di Sel, si augura che «i referendum diventino una battaglia comune per tutto il centro-sinistra e si realizzi la massima sinergia per raccogliere le 500mila firme necessarie e dare un segnale preciso: in un paese civile e moderno non si può sfregiare lo Statuto dei lavoratori e non si possono stracciare i contratti nazionali».

da “il manifesto”

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