In uno scambio di battute tra il presidente del Consiglio, Mario Monti, e il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria, durante il convegno di presentazione del Rapporto Ocse. Angel Gurria aveva parlato della necessita’ di ”abbattere le diseguaglianze” sottolineando come “diseguaglianza” sia una parola difficile da pronunciare”. La chiosa di Monti è stata che abbattere le disuguaglianze è ”anche difficile da fare”. Se ne comprende bene il motivo. Ad esempio, secondo Monti per uscire dalla crisi non basta guardare alla competitivita’ del sistema paese, “bisogna guardare anche alla competitivita’ delle imprese e all’aumento della produttivita. Il dialogo con le parti sociali serve per incoraggiarle a mettere questo tema, la produttivita’, al centro dei loro negoziati sui rinnovi contrattuali e usare pienamente le opportunita’ offerte dagli accordi esistenti sulla contrattazione al livello aziendale”. La sostanza del ragionamento è quindi la fine del contratto nazionale – quello che rende uguali i parametri contrattuali generali in tutte le regioni e in tutte le aziende per le varie categorie – e la primazia dei contratti aziendali che rendono obiettivamente i lavoratori disuguali tra loro in termini di salari, diritti, orari di lavoro.
Non solo. Secondo il rapporto dell’Ocse, nel 2008 in Italia il reddito medio del 10% di popolazione piu’ ricca era 10 volte superiore a quello del 10% di popolazione piu’ povera (49.300 euro contro 4.877 euro), segnando un aumento della disuguaglianza rispetto alla meta’ degli anni’90, quando il rapporto era 8 a 1.
Negli ultimi trent’anni, inoltre, si e’ assistito ad un aumento della proporzione del reddito dell’1% degli italiani piu’ ricchi, che e’ passato da un aumento del 7% nel 1980 fino quasi al +10% nel 2008.
Inoltre, e’ diminuita la redistribuzione attraverso i servizi pubblici – sanita’ e istruzione – che, se nel 2000 contribuivano per un quarto a ridurre la disuguaglianza, oggi sono scesi a circa un quinto. Parallelamente, e’ aumentata la capacita’ di stabilizzare la disuguaglianza da parte del sistema impositivo e dei sussidi, che compensano quasi interamente l’aumento della disuguaglianza del reddito da lavoro e da capitale. Dunque l’Italia è un paese fortemente disuguale e le misure adottate dal governo sulla base dei diktat della Bce e dell’Unione Europea non possono che accentuare le disuguagiualianze. E’ sufficente verificare come le imposte sui ricchi e i patrimoni siano risibili (vedi quella sugli yacht), non quantificabili mai con certezza o addirittura impensabili (la patrimoniale? Ma quando mai!). Quelle sul lavoro e le pensioni invece sono implacabili, anche a costo di eliminare le poche detrazioni fiscali sul lavoro dipendente o di recuperare soldi perfino dai pensionati al minimo.
Monti ne è perfettamente consapevole e non nasconde di ritenere che questa sia la strada da perseguire nonostante che i “morti e feriti” sul piano sociale stiano aumentando vertiginosamente. “In Italia sono state avviate riforme che creano ”costi nel breve periodo ma benefici nel lungo periodo” finalizzate ad avere ”piu’ crescita, equita’ e stabilita”’ ha affermato Monti durante il convegno con l’Ocse. ”Gli italiani – prosegue il premier – stanno dimostrando di non essere particolarmente ostili nei confronti di coloro che le hanno fatte”. ‘I sacrifici li stiamo affrontando insieme con le forze politiche, alle quali devo rendere omaggio perche” non e’ che sostenendo con il voto le proposte del governo non abbiano partecipato ad accollarsi una buona dose di impopolarita”’.
Aumentare le disuguaglianze sociali può essere quindi un virtuosismo, l’importante è lo sharing sui costi dell’impopolarità.
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