Per allarmare persino Repubblica era necessario che il dato foss proprio eclatante, superiore a qualsiasi attesa.
Si parla di basi militari Usa, che nel mondo – causa anche la crisi economica e i problemi di bilancio federale, diminuiscono in modo abbastanza consistente in tutto il mondo; in obbedienza anche a un modello di controllo miltare che si basa più sulle tecnologie (radar, droni, satelliti, forze speciali, ecc) che non sulla presenza massiccia di truppe di terra o flotte stanziali.
La notizia è semplice: diminuiscono dappertutto, ma non in Italia. Anche qui la ragione è semplice: lo Stivale è una piattaforma naturale di lancio per l’iniziativa militare nel Medio Oriente. Più sicura di qualsiasi paese arabo, per quanto servile alleato sia (più facile comunque le infiltrazioni qaediste o comunque “combattenti antiamericane”), più controllata e controllabile.
Sono le dimensioni, però, che preoccupano anche filoamericani di lunga fedeltà come quelli del gruppo L’Espresso. Anche perché questa “sovraesposizione militare” del paese rischia di attirare la “vendetta” di chi viene o verrà colpito dagli attacchi Usa. Una compagnia pericolosa, insomma.
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Italia “base di lancio” delle guerre Usa. Solo da noi le truppe non diminuiscono
Oggi le truppe americane in Italia sono il 15% di quelle in Europa, rispetto al 5% del 1991. In aumento gli investimenti del Pentagono: dalla fine della guerra fredda spesi 2 miliardi di dollari nel Belpaese. Aviano e Sigonella sempre più strategiche.
Mentre in Europa ed in particolare in Germania – la prima linea di difesa durante la Guerra Fredda – gli Usa hanno ridotto dell’80% le proprie truppe (da 250.000 del 1989 alle 50.000 di oggi) c’è un Paese dove gli investimenti del Pentagono sono aumentati e le forze non sono affatto diminuite.
E’ l’Italia che progressivamente gli Usa hanno trasformato nella loro “base di lancio” per operazioni militari nel Mediterraneo e in Medio Oriente e dove stazionano 13.000 soldati americani con 16.000 familiari. Lo stesso ammontare del 1991 ma percentualmente cifra triplicata: 22 anni fa i soldati americani in Italia rappresentavano solo il 5% delle truppe in Europa, mentre ora sono il 15%.
E’ quanto riferisce in un lunga analisi la rivista americana ‘Mother Jones’, autrice di numerosi scoop come quello che lo scorso anno mise al tappeto lo sfidante repubblicano di Barack Obama, Mitt Romney. Mother Jones diffuse un video in cui Romney ammise candidamente che non si sarebbe mai occupato del 47% degli americani, perchè non elettori repubblicani.
In Italia il Pentagono ha speso dalla fine della Guerra Fredda oltre 2 miliardi di dollari per ammodernare – per citarne solo alcune – le basi di Napoli, Aviano (in Firuli), Sigonella in Sicilia, a Pisa (l’enorme arsenale di Camp Darby) e a Vicenza (Caserma Ederle) tra le altre. Somma che si limita a quelle stanziate ufficialmente nel bilancio della Difesa Usa e che non include quelle impiegate in investimenti segreti.
Il tutto mentre ufficialmente l’attenzione strategica di Casa Bianca e Pentagono si è spostata sul Pacifico, relegando il quadrante europeo-mediterraneo al secondo posto – nella migliore delle ipotesi – tra le priorità.
In Italia sono in funzione 59 installazioni militari ‘americane’. Sono meno solo delle 179 in Germania (ma in rapide declino), le 103 in Giappone (in linea con la nuova dottrina della ‘progressione’ militare nel Pacifico), le 100 in Afghanistan (che si ridurrano quasi a zero entro la fine del 2014 quando i G.I. Si ritireranno dal Paese) e le 89 della Corea del Sud, dove le truppe Usa sono schierate lungo il 38mo Parallelo per tenere testa al bellicoso e potenza ‘atomica’ Nord.
Disaggregando parte degli investimenti a partire dal 1992 sono stati spesi 610 milioni di dollari (metà sul conto della Nato) nella base dell’aeronautica di Aviano dove hanno sede diverse squadriglie di caccia-bombardieri F-16, cui se ne sono aggiunti altri 115 milioni solo nel 2004.
A partire dal 1996 la Us Navy ha speso 300 milioni per una base all’aeroporto di Capodichino a Napoli, sede del comando, tra l’altro, della VI Flotta che opera nel Mediterraneo. Nelle vicinanza ha affittato per 30 anni una base logistica per 400 milioni di dollari.
Nella sua analisi Mother Jones si sposta in Sicilia concentrandosi su Sigonella, definita “il cuore della lotta al terrore” e delle operazioni militari Usa in Africa. Dal 2001 per la ‘Sigonella Naval Air Station’ sono stati spesi quasi 300 milioni.
Dal 2002 è stata usata per lanciare i droni a lungo raggio Global Hawk e dal 2008 “è stato firmato un accordo segreto” tra Roma e Washington per trasformarla nella base dei droni Usa. Dal 2003, sempre a Sigonella, sono schierati aerei da spionaggio elettronico P-3 per “monitorare i gruppi di insorti in Africa settentrionale ed occidentale”. Dal 2011 l’Africom (comando Usa pr l’Africa) “ha schierato una task force di circa 180 marine e due aerei da trasporto per addestrare alle operazioni anti-terrorismo personale in Botswana, Libia, Gibuti, Bururndi, Uganda, Tanzania, Kenya, Tunisia e Senegal”.
Sempre a Sigonella sono state spostate altre truppe e diversi aerei da trasporto CV-22 Osprey (convertiplani, che decollano come elicotteri ma le cui due eliche effettuano una transizione da verticale ad orizzontale per spingere il velivolo come un aereo normale) per eventuali interventi in Libia (dopo l’attacco dell’11 settembre 2012 al consolato Usa di Bengasi in cui venne ucciso l’ambasciatore Chris Stevens).
Da ultimo viene citata la base di comunicazione Muos in corso di costruzione a Niscemi. Installazione temuta dalla popolazione ma che l’Istituto Superiore di Sanità ha stabilito non essere pericolosa per la salute di quanti vivono nelle vicinanze.
da Repubblica
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