Berlusconi svolta verso il passato e Renzi coglie l’attimo per schierarsi contro una prosecuzione troppo lunga delle “larghe intese”. Il piatto sa di stantio, ammettiamolo pure, ma a questo è ridotta la politica in Italia. Bisogna occuparsene giusto quel tanto che serve per fare pulizia, sgombrare gli equivoci, chiarire i (pochi) punti oscuri.
A destra i giochi sono quelli classici della decomposizione. Il Cavaliere epura il Pdl dai “governisti” o “colombe” e cerca di ricostruire una macchina da guerra elettorale ai suoi ordini. È l’unico che può coagulare ancora un consenso importante (il suo blocco sociale non ha mai trovato un’alternativa vera), ma è praticamente certo che – se anche il governo Letta cadesse oggi – Berlusconi non sarebbe più candidabile al momento in cui Napolitano dovesse sciogliere le Camere e convocare i comizi elettorali. Quindi il suo “compattare le file” può avere come risultato solo l’alzare il prezzo della sua uscita dall’agone politico. In carcere no, le aziende lasciatemele in pace, per il resto fate come vi pare…
Del resto, insieme alla “rinascita di Forza Italia”, promette ancora sostegno al governo. Ma solo fino al momento del voto del Senato sulla sua decadenza. Poi, anticipa già adesso per terrorizzzare i governisti del Pd, casca tutto. Può anche darsi che riesca nell’intento, ma i due anni di interdizione dai pubblici uffici – fissati dalla Corte d’Appello di Milano – arriveranno in Cassazione prima di qualsiasi scadenza elettorale. Ed è dificile immaginare che questo Parlamento duri tutta la legislatura. In ogni caso, Berlusconi tra cinque anni ne avrà 83; e nel frattempo andranno in meta altri processi, a partire da quello detto “Ruby”, per cui l’interdizione richiesta è addirittura “perpetua”.
Più interessante, in prospettiva, il posizionamento renziano. Di cui è impossibile non vedere sia l’inconsistenza nei contenuti e al tempo stesso la disposizione a praticare qualsiasi politica dettata dalla Troika. Più e meglio di Letta, “troppo condiscendente” con gli interessi del blocco sociale berlusconiano (ed ex democristiano), che va invece castigato secondo le indicazioni europee.
La soluzione “grosse koalition”, normale in Germania e persino in Inghilterra, ormai, sbatte qui da noi con le conseguenze di venti anni buttati a cercare di costruire un “bipolarismo” inesistente nel paese reale. L’unico risultato positivo per la classe dirigente è stata in questo frattempo la distruzione della “sinistra radicale”, a sua volta guidata dalla meno radicale delle direzioni politiche mai esistite.
A meno di non voler insomma “governare l’Italia” con una classe politica estranea al paese reale (“collaborazionisti tecnici”), bisognerà tornare a una “contendibilità apparente” del governo; un qualcosa che giustifichi il mantenimento del rito elettorale come qualcosa di (molto relativamente) importante. Il Berlusconi (o i figli) chiuso in un angolo e impossibilitato a rimetter piede a palazzo Chigi (“lo vuole l’Europa”!) può dunque tornare utilissimo per creare delle “larghe intese” centriste, democristiane nelle movenze parlamentari o nella retorica pubblica, ma assolutamente fedeli alla Troika sul piano programmatico.
Molto rumore per nulla, come si vede. L’Unione Europea non ha nulla da temere da queste micro-fibrillazioni. Le quali, anzi, vanno delineando il quadro politico più adatto a praticare le amputazioni previste da venti anni di Fiscal Compact.
L’unica preoccupazione viene dal blocco sociale che si è fatto vedere nelle giornate del 18 e 19 ottobre. Qualcosa si è rotto, sotto la soglia della rassegnazione; ed ora può soltanto crescere. Unendo le passioni, i bisogni, la disperazione e la rabbia con il freddo calcolo delle contraddizioni. E dei rapporti di forza.
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