Dicono – lo racconta il Direttore di una testata importante, di quelle che possono permettersi scoop anche in materia mortuaria – che il boia sia finito sepolto in un cimiterino di montagna. Interno a un penitenziario. Un’operazione meditata a lungo, che ha creato non pochi imbarazzi politici e diplomatici, nazionali e internazionali, all’attuale governo della Repubblica nata dalla Resistenza. Il no dell’Argentina e della Germania ad accettare la salma del capitano Priebke, la cui triste vita ed egualmente mesta memoria restano in eterno legate al massacro ardeatino, creavano una gigantesca impasse a un esecutivo che vivacchia sui rattoppi di forzose alleanze politiche. Però le norme, locali e straniere, imponevano una sepoltura proprio sul suolo offeso dalla barbarie di quell’ex militare tardivamente condannato e di per sé mai pentito delle efferatezze commesse. Un negazionista, un nostalgico di quell’ideologia abbracciata in gioventù ed esibita senza imbarazzo sino alla soglia della dipartita. Il resto l’abbiamo visto e sentito: i sindaci non concedevano i cimiteri, addirittura la chiesa glissava i funerali, e una sorta di benedizione impartita da una confraternita eterodossa, scatenava le proteste della comunità che in quei luoghi aveva vissuto lutti per le operazioni del capitano.
C’era poi l’intento di evitare il sacrario, la Predappio nazista fuori tempo massimo, impedendo ai fanatici della svastica (purtroppo tuttora tollerati e protetti in troppi casi: stadi e palasport, amministrazioni locali e anche strutture dell’ordine) di scorrazzare con saluti romani e lugubre armamentario di morte ereditato da nonni sanguinari come fu Erich. Una necessità, visto che la penisola che va da Caiazzo in su è stata ovunque martoriata da Wehrmacht, SS, Gestapo e dalla truppaglia della Repubblica Sociale che millantando “onore patrio” spiava, rastrellava, torturava e assassinava con loro. Il governo Letta sceglieva una via che lasciasse il minor strascico possibile, così da “far compiere alla democrazia italiana il suo atto di civiltà e umanità, senza perdere la memoria”. Lo sostiene quel Direttore. E sia, perché non certo dell’ostracismo al cadavere del boia si può nutrire una società che vuole perpetuare princìpi di libertà. Ma sulla segretezza del sito, che potrebbe non rimanere tale se si permetteranno visite dei parenti (per ora i figli) alle cui calcagna qualsiasi reporter potrebbe collocarsi, scoprendo la prigione e rivelandola, già si scatenano i pruriti. Pur protetto dall’anonimato di un’inumazione priva di lapide in una casa circondariale i cui “ospiti”, ci dicono, sono prevalentemente giovani extracomunitari che di Priebke nulla sanno, in molti iniziano a domandarsi dove sia.
Lo zelante avvocato Giachini, che al Priebke imputato e condannato ha prestato vicinanza legale ed extralegale, lancia il guanto di sfida alla rivelazione del quotidiano. Il cimitero non sarebbe quello delle foto e poi chissà… Un cadavere celato può egualmente diventare feticcio. Ci si può sbagliare, ma un posto appropriato a serbare viva la memoria degli scempi compiuti, da cui generazioni future possono immunizzarsi e tenersi lontane, sono le aree stesse del supplizio. Si dirà: i caduti alle Ardeatine, alla Risiera di San Saba, a Fossoli si rivolterebbero nella tomba nel vedersi affiancati ai propri boia. Vero. Eppure in quei luoghi, venerati da molti, dimenticati dai più, cui sfugge che le convinzioni si rafforzano ricordando non rimuovendo, nessun fanatico nazifascista potrebbe venerare il camerata berlinese. Glielo impedirebbero l’al di qua dei vivi che coscientemente onorano il sacrificio di coloro che donarono un domani alla nazione, lo impedirebbe l’al di là degli spiriti liberi che aleggiano in quei luoghi. Lì nessun Priebke, vivo o morto, né i suoi miserabili epigoni avrebbero spazio per rinfocolare ideologiche nostalgie di morte.
Enrico Campofreda, 8 novembre 2013
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it
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