E’ in corso uno sciopero generale di tre giorni a Tripoli per protestare contro la presenza delle milizie armate nella capitale libica e per costringerle a ritirarsi dopo che nei giorni scorsi si è verificata la più grave ondata di violenza dalla caduta del regime di Gheddafi nel 2011. Negli scontri degli ultimi giorni, secondo l’ultimo bilancio diffuso dal ministero della Sanità, almeno 43 persone sono state uccise e più di 460 sono state ferite.
Gli scontri erano cominciati giovedì scorso, quando due milizie rivali si sono scontrate al centro di Tripoli, causando due morti e decine di feriti. Ma la situazione è degenerata venerdì nel quartiere di Gharghour, alla periferia sud-occidentale di Tripoli, dove una milizia proveniente da Misurata (città a 210 km dalla capitale) hanno aperto il fuoco contro un corteo pacifico di manifestanti che protestavano contro la loro presenza e le loro scorribande nella capitale. Il giorno dopo gli scontri sono continuati, causando anche ingenti danni materiali: numerosi edifici che ospitano le milizie di Misurata sono stati incendiati dai dimostranti inferociti. Fonti locali hanno riferito di “vere e proprie scene di guerra” e dell’utilizzo anche di armi pesanti.
Ieri invece è stato rapito il numero due dei servizi d’intelligence libici, Noustapha Noah, portato via da alcuni uomini armati al suo rientro a Tripoli da un viaggio all’estero. Il rapimento di Noah, originario di Misurata, è stato ricollegato dalla stampa locale alle tensioni esasperate tra milizie rivali. Un ex comandante di una milizia ribelle, Ala Abu Hafess, ha raccontato all’emittente privata Al-Naba di essere riuscito a fuggire ai sequestratori, quando questi hanno bloccato la vettura su cui stava lasciando l’aeroporto con Noah. I rapitori li hanno costretti a scendere dalla macchina per salire su un’altra, ma Abu Hafess ha detto di essere “corso via, mi hanno sparato, ma non mi hanno colpito”. Nessuno al momento ha rivendicato il sequestro. Il mese scorso uomini armati avevano rapito il premier Ali Zeidan, sempre a Tripoli.
Da alcune ore la capitale libica appare una città ‘deserta’: strade in parte vuote, scuole, università, banche e amministrazioni chiuse, check-point stabiliti nei punti nevralgici. Il consiglio locale di Tripoli ha indetto uno sciopero generale di tre giorni che tuttavia non coinvolge i settori essenziali quali benzinai, farmacie e forni. Ma la gente è rimasta a casa anche per raccogliersi e per seppellire i famigliari uccisi nei giorni scorsi.
Il primo ministro Ali Zeidan ha lanciato un appello alla calma, avvertendo che “la situazione si complicherà ulteriormente se altre milizie dovessero entrare nella capitale”. Per il momento non è ancora chiaro se il fragile governo libico decreterà lo stato di emergenza dopo i fatti di Gharghour. Anche le autorità della città orientale di Misurata hanno ordinato alle milizie di ritirarsi dalla capitale entro 72 ore da oggi, Alcune fonti di stampa hanno riferito di un principio di ritiro già in corso, ma la notizia non è stata ancora confermata ufficialmente.
Intanto un altro focolaio di tensione, che sta avendo gravi ripercussioni economiche, sembra poter rientrare. La minoranza berbera Amazigh ha interrotto il sit-in di protesta che da alcuni giorni bloccava le attività dell’impianto di Mellitah, nell’ovest della Libia, causando la chiusura del gasdotto Greenstream collegato con Gela, in Sicilia.
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