Che concerto sarà di quello di sabato 21 febbraio a Roma?
Fondamentalmente per poter organizzare la seconda carovana antifascista nel Donbass occorrono dei fondi – per pagare biglietti aerei, visti, materiali da portare alla popolazione – che tentiamo di raccogliere anche organizzando concerti ad hoc.
E’ stato riconosciuto da molti che il voglio primo viaggio in quei territori ha reso di pubblico dominio temi e questioni che fino a quel momento era apppanaggio di alcuni ristretti ambiti politicizzati e militanti. Secondo voi perchè fino a quel momento, e anche oltre in parte, la solidarietà alle popolazioni del Donbass e alla loro lotta contro il regime di Kiev era stata così limitata?
In buona parte la scarsa sensibilità al tema era ed è dovuta alla scarsa informazione o alla aperta disinformazione che su quella lotta esiste fin dall’inizio. Se uno non ha a disposizione le opportune informazioni è nozioni è abbastanza logico che non sviluppi sensibilità e solidarietà. Quando noi della Banda e insieme a noi parecchie decine di attivisti e compagni italiani ma anche baschi, spagnoli e greci abbiamo potuto osservare direttamente la situazione e al nostro ritorno abbiamo diffuso un punto di vista che si basava già su una nostra posizione precedente ma che aveva avuto il riscontro diretto della situazione. Tutti i componenti della prima carovana hanno potuto constatare che in quei territori la popolazione combatte per difendersi da una aggressione militare fascista e nazista e da un più complessivo attacco imperialista in primo luogo da parte degli Stati Uniti ma anche dell’Unione europea. Hanno visto le distruzioni, i massacri, i morti, i feriti.
Abbiamo saputo nei giorni scorsi dell’annullamento di un vostro concerto a Manchester da parte degli organizzatori di un tradizionale festival antifascista. Che è successo? Si tratta di un episodio isolato oppure è indicativo di una tendenza più diffusa?
Anche prima della partenza della Prima Carovana avevano constatato che esiste un’area, in molti casi anche vicina a noi, che però non la pensa come noi in merito alla necessità di una solidarietà militante nei confronti del Donbass antifascista. Già all’epoca ci fu una presa di posizione in questo senso da parte di un certo numero di band musicali di punk o skin di diversi paesi di cultura spesso anarchica, libertaria, in cui sostanzialmente si descriveva ciò che sta accadendo in Donbass come il frutto di uno scontro tra due imperialismi, quello occidentale e quello russo. Noi però non siamo d’accordo, ci riteniamo antifascisti e riteniamo che sia in corso un’aggressione imperialista nei confronti di un popolo attaccato in casa propria. Vengono definiti filo-russi ma gli abitanti del Donbass non sono filo-russi, sono russi che difendono le loro case, le loro famiglie, le loro risorse e la loro libertà. Parliamo di gente i cui nonni hanno liberato mezza Europea nella Seconda guerra mondiale combattendo contro i nazisti e i fascisti a costo di un enorme sacrificio umano. Ci sentiamo figli di una storia in cui il ruolo dell’Unione Sovietica nella liberazione dall’occupazione nazista è stato preponderante e sappiamo che in Donbass attualmente buona parte di chi lotta ha un’identità antifascista. Non si può essere neutrali di fronte a ciò che accade, di fronte ad esempio al massacro di Odessa dove la stampa parla di 48 persone, per la maggior parte compagni, sindacalisti, giovani comunisti – e quindi noi diamo per scontato che le vittime siano state assai più numerose – sono state assassinate, bruciate vive, stuprate, torturate. Come si fa a rimanere alla finestra mentre in Ucraina i comunisti vengono messi fuorilegge e perseguitati. Quello che è successo al concerto di Manchester è espressione di una sinistra che spesso si limita a stare alla finestra, a giudicare e cose che fanno gli altri. Noi a queste aree diciamo di venire con noi, in Dobass, dove la battaglia è in corso, per osservare direttamente la situazione con i loro occhi, in modo da poter verificare il proprio giudizio a partire da elementi reali e non da informazioni diffuse dai media o pregiudizi slegati spesso dalla situazione reale. Non pretendiamo di convincere nessuno ma la carovana rappresenta un’occasione aperta a tutti affinché possano verificare la fondatezza dei propri punti di vista. Speriamo che la carovana sia molto nutrita anche con delegazioni da altri paesi europei. Ognuno porterà indietro ciò che avrà visto, che avrà capito, che avrà sentito.
Quando vedi uccidere dei ragazzi come Vadim, assassinato nella Casa dei Sindacati di Odessa, subentrano rabbia e frustrazione. Ma al di là della nostra risposta emotiva occorre chiarire di cosa stiamo parlando quando affrontiamo la questione del Donbass. Che poi è la conseguenza di uno degli ennesimi attacchi – non è il primo e non sarà certo l’ultimo – di un imperialismo che si fa sempre più aggressivo e scatena conflitti, guerre, sofferenze. Spesso per attaccare chi come noi solidarizza con le popolazioni dl Donbass si tirano fuori accuse che non stanno né in cielo né in terra: “gli amici di Putin”, lo “stalinismo” e quant’altro. Tutti sanno che la Banda Bassotti è formata da persone che su molte questioni la pensano in maniera differente, che hanno culture e sensibilità politiche differenti, ma negli anni abbiamo imparato il valore dell’unità anche tra chi la pensa diversamente, che poi dovrebbe essere il compito di un Partito Comunista di cui si sente l’oggettiva mancanza ormai da molto tempo. Noi pensiamo che ad un certo punto del proprio percorso politico ognuno debba assumersi le proprie responsabilità e schierarsi, noi lo stiamo facendo da tempo anche su alcune questioni internazionale – basti ricordare la vicenda del Nicaragua – e non ci siamo mai tirati indietro rispetto al contributo che potevamo e possiamo dare alle lotte di liberazione e alla solidarietà internazionalista. In Donbass abbiamo incontrato tanti comunisti, gente che magari prima del golpe non aveva neanche in tasca una tessera di partito ma che si è schierata ed è entrata in campo per difendere le proprie comunità dall’aggressione militare dell’esercito di Kiev e dei nazisti. E se anche i combattenti che non sono comunisti sono persone che si sono assunte le proprie responsabilità, che meritano rispetto e riconoscimento. Durante la Seconda Guerra Mondiale i milioni di soldati o partigiani sovietici o di tutti i paesi invasi occupati dai nazi-fascisti che combattevano contro gli occupanti non erano certo tutti comunisti, anzi per la maggior parte potremmo dire che non lo erano affatto, ma erano patrioti e il loro contributo è stato fondamentale nella liberazione dell’Europa da quel cancro grazie all’unità. Questo la sinistra dovrebbe ricordarlo sempre.
Manchester è una città di tradizione operaia, lì hanno studiato Marx ed Engels, e abbiamo ricevuto molto messaggi di solidarietà che sostenevano che la cancellazione del nostro concerto fosse dovuta a una incomprensione, a un fraintendimento. Una band spagnola tra l’altro in segno di solidarietà con noi ha deciso di non suonare a Manchester durante il festival. Quello che vorremmo sottolineare è che noi ci mettiamo in gioco per toccare con mano le conseguenze delle aggressioni degli Usa e degli Ue e ce ne assumiamo anche tutti i rischi, chiediamo a chi ci critica di fare altrettanto e di non limitarsi a esprimersi attraverso una tastiera e un computer senza avere i necessari elementi a disposizione.
Noi mica lanciamo il sasso e nascondiamo la mano, scendiamo in campo direttamente in un territorio dove c’è una guerra, dove ci sono i bombardamenti. Chiediamo che tutti facciano altrettanto e a quel punto potremo discutere tutti con cognizione di causa.
Ad esempio riconoscendo che le conseguenze del conflitto in Donbass hanno ripercussioni non solo locali, ma di carattere globale, così come è stato in episodi che hanno preceduto e contribuito a scatenare il primo e poi il secondo conflitto mondiale. Chi oggi si concede il lusso di non scegliere compie a nostro avviso un errore madornale.
Quali sono le differenze tra la seconda e la prima carovana?
Durante il primo viaggio abbiamo potuto toccare con mano la sofferenza, la disperazione, la tragedia di persone vittima di una guerra. In tutti qua è viva una immagine romantica e pulita di Che Guevara, dimenticando che ogni lotta di resistenza, ogni guerra di popolo ha comunque degli aspetti tragici, deve fare i conti con sofferenze e morte. A Cuba e in Bolivia all’epoca come oggi in Donbass e ovunque le popolazioni stiano resistendo armi alla mano per difendersi e affermare i propri diritti. Avere la possibilità di parlare con chi subisce l’aggressione, di vederlo in volto, di esprimergli personalmente la propria solidarietà ha un valore incommensurabile, che nessun messaggio scritto, che nessuna conversazione su skype possono eguagliare.
Mentre durante la prima spedizione c’erano enormi difficoltà di tipo logistico dovute alla novità dell’iniziativa e a una conoscenza parziale del territorio, della situazione sicuramente l’esperienza e i contatti accumulati durante il primo viaggio renderanno la seconda carovana più agevole. Il nostro obiettivo è portato il numero più alto possibile di attivisti, di compagni di più paesi possibile, anche – lo ripetiamo – compagni e rappresentanti di organizzazioni e gruppi che sul Donbass hanno un giudizio diverso dal nostro ma che potranno approfittare del viaggio per confrontarsi direttamente con la situazione reale e gli attori in campo ed eventualmente rettificare il tiro. Vogliamo sottolineare un aspetto della prima carovana, alla quale hanno partecipato molti italiani naturalmente ma anche delegazioni dalla Grecia, dal Paese Basco e dalla Spagna. E’ significativo che la solidarietà attiva nei confronti di un popolo in lotta si sia espressa in quell’occasione a partire dai paesi che più di altri sono discriminati, maltrattati, puniti dall’Unione Europea. Nella seconda carovana vorremmo che ai paesi mediterranei già rappresentanti se ne aggiungessero altri del resto del continente. Ad esempio abbiamo incontrato e discusso con dei compagni tedeschi e pare che anche in quel paese si stia smuovendo qualcosa.
Fatecelo comunque dire che ci sembra abbastanza paradossale e anche deprimente che debbano essere delle band musicali per quanto con una forte identità politica e militante – non solo la Banda Bassotti e i 99 posse, ma anche alcune altre anche se non moltissime – a coprire un vuoto politico e organizzativo su questioni di estrema importanza come la solidarietà internazionalista o la lotta antifascista.
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