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Libia. Sfuma pista degli “scafisti” nel sequestro dei quattro tecnici italiani

Il sottosegretario con delega ai servizi Marco Minniti, nel corso di una audizione al Comitato parlamentare sull’attività dei servizi segreti (Copasir)  ha scartato nettamente l’ipotesi che i rapitori dei quattro tecnici italiani in Libia siano legati in qualche modo ai trafficanti di uomini arrestati nelle settimane scorse in Italia e che il sequestro possa essere utilizzato come “merce di scambio” per ottenere dall’Italia il rilascio degli scafisti detenuti.  Minniti, nel corso dell’audizione, ha detto che siamo di fronte a un sequestro a scopo estorsivo e quindi, pur nella difficoltà della situazione, la vicenda è più facilmente gestibile. La pista che aveva eccitato molti mass media e molti commenti da bar dello sport, sembra così perdersi nella assai più complicata partita libica.

I quattro tecnici italiani lavorano per la Bonatti, una società che opera negli impianti dell’Eni della strategica area di Sabratah, sono stati sequestrati domenica sera a Mellitah. Il sequestro è diventato una occasione per uno scambio di accuse tra i due governi che si sono divisi il potere in Libia. Secondo il governo libico di Tobruk, alleato dell’Occidente la zona dove è avvenuto il sequestro “è controllata dalle milizie che fanno capo a Fajr Libya”, ossia Alba libica, una coalizione legata ai Fratelli Musulmani, che controlla l’Ovest della Libia. Ma il portavoce di Fajr Libya e ieri sera il Primo Ministro del governo di Tripoli in una intervista alla “7” hanno affermato che la loro organizzazione “non è dietro il rapimento degli italiani” aggiungendo però di sapere che gli italiani si trovano nel sud-ovest e che entro 10 giorni saranno liberi. Il primo ministro di Tripoli ha poi aggiunto, sibillinamente, che l’Eni non sta aiutando la soluzione dei problemi in Libia.  A sua volta governo libico di Tripoli, ha puntato il dito contro una formazione alleata del generale Khalifa Haftar, – l’uomo forte del governo libico di Tobruk –  cioè il Jaish al Qabail, “l’esercito delle tribù”.

Secondo altre fonti, il sequestro dei quattro tecnici italiani sarebbe invece un aspetto dello scontro tra le milizie libiche alle quali l’Eni si affida per la protezione dei suoi impianti pagandole profumatamente. Fino a poco tempo fa erano le milizie di Zintan a proteggere gli impianti, poi due anni fa sono entrate in scena le milizie di Zwara che le hanno soppiantate. Ma il cambio di “appalto” da parte dell’Eni è stato contrassegnato da scontri sanguinosi tra i miliziani dei due gruppi.

 

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