La Libia rischia di esplodere. E in tempi brevi, anzi brevissimi. Il neo costituito ‘governo della Cirenaica’ composto da 24 ministri freschi freschi di nomina ha infatti annunciato ieri la creazione di una propria compagnia di gestione del gas e del petrolio che avrà come sede temporanea la citta di Tobruk. E come se non bastasse i separatisti hanno deciso di fondare anche una Banca federale per la Cirenaica, una sorta di Banca Centrale locale. Teoricamente il distacco dalle autorità di Tripoli annunciato solo poche settimane fa avrebbe dovuto essere solo parziale, lasciando al governo centrale la responsabilità delle questioni fondamentali, ma l’annuncio di ieri da parte del “premier di Bengasi” Abd al Rabu al Barassi rende quella della Cirenaica una vera e propria separazione totale, alla quale il debole governo nazionale di Ali Zeidan non potrà non rispondere. Ma come?
Le scottanti novità sono state annunciate ieri dal capo dell’esecutivo della regione orientale della Libia nel corso di una conferenza stampa realizzata ad Ajdabiya, ad appena due settimane dalla creazione del governo locale. Qualche giorno fa Zeidan aveva denunciato alcuni “tentativi” da parte di alcune società petrolifere straniere di “stringere accordi illegittimi” per acquisire petrolio libico attraverso “canali non ufficiali”, annunciando che “in caso di azioni commerciali illegittime” il governo di Tripoli avrbbe reagito “con la forza”.
“Annuncio la creazione della Libya Oil and gas corp” ha detto al Barassi in un messaggio trasmesso alla televisione di stato, aggiungendo che “aspetteremo la risposta di Tripoli e del Fezzan, poi cominceremo a vendere il petrolio e metteremo da parte la quota regionale destinata all’ovest e al sud”.
La mossa dei ‘federalisti’ di Bengasi, come li definisce la stampa libica, giunge come una sfida aperta al governo libico già alle prese con un disperato tentativo di ristabilire il controllo sui terminal petroliferi nell’est del paese – Zueitina, Ras Lanouf e Sedra – assediati ormai da luglio da gruppi armati di vario tipo che ritardano o addirittura bloccano le esportazioni di greggio per ottenere finanziamenti e potere. Il governo di Tripoli accusa le milizie di voler mettere le mani su alcuni dei giacimenti più ricchi del paese mentre i ras locali accusano le autorità centrali di vendere il petrolio sottobanco senza redistribuire i proventi alle popolazioni locali. La Petroleum Facilities Guard, l’ex milizia separatista convertita in un’azienda con il controllo di pozzi e giacimenti della Libia orientale, ricatta da mesi Zeidan con una sequela di scioperi e blitz alle istituzioni del governo centrale.
Nel frattempo la produzione di greggio è letteralmente crollata, diminuendo dal milione e mezzo di barili al giorno di luglio agli attuali 100.000, con una perdita stimata di 10 miliardi di euro. Una tragedia per una paese che ricava ben il 95% dei suoi introiti dalla vendita del petrolio e del gas. Una tragedia anche per le ‘nuove’ autorità di Tripoli, al quale le spinte autonomiste dell’est rischiano di sottrarre la maggioranza dei giacimenti di idrocarburi, trasformando in una federazione di bantustan privi di risorse la Tripolitania e il Fezzan. Anche se è probabile che a soffiare sul fuoco delle rivendicazioni autonomiste del ‘governo’ della Cirenaica ci siano alcuni paesi stranieri e anche alcune compagnie petrolifere, da alcuni mesi è iniziata la fuga di alcune grandi major internazionali del petrolio, stanche dell’instabilità e dell’ingovernabilità del paese. Ad esempio la statunitense Marathon Oil starebbe progettando la cessione di una parte importante delle proprie proprietà in Libia. Anche l’italiana Eni, stando a quanto dichiarato dal ministro degli Esteri Emma Bonino, starebbe «pensando di chiudere dei pozzi» dopo gli attacchi al terminal di Mellitah.
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