A sentire Renzi che gongola per l’aumento dei posti “a tempo indeterminato” vien voglia di menare le mani. Se poi “la notizia” arriva da una nota stampa dell’Inps, allora vien voglia di scatenare una bella rissa. Conviene ricordare infatti che il presidente dell’Inps è quel Tito Boeri – de LaVoce.info e altro – messo lì da Renzi grazie alle “proposte” elaborate proprio da Boeri per distruggere il sistema pensionistico per come lo conosciamo.
Uno porge all’altro l’assist per giustificare l’orrore che entrambi hanno in mente da anni, e l’un l’altro si fanno i complimenti per l’ottimo lavoro svolto. Al confronto, Berlusconi e Dell’Utri eranodue campioni di imparzialità…
Vediamo prima i dati dell’Inps, resi noti stamattina. Nei primi sei mesi del 2015, i nuovi contratti a tempo indeterminato sono cresciuti del 36% (+252.177), quelli a tempo determinato sono rimasti stabili e quelli di apprendistato si sono ridotti (-11.500). Le trasformazioni di vecchi contratti precari in contratti a tempo indeterminato sono aumentate del 30,6%.
I numeri vanno spiegati, altrimenti non significano niente. Per Renzi e la sua banda questo significa che “siamo sulla strada giusta”, che il Jobs Act funziona, ecc. Bastano due calcoli e mezzo ragionamento per smentirlo.
1) E’ forse aumentata l’occupazione? Niente affatto, come spiega spesso l’Istat: «a oggi gli effetti del Jobs Act sembrano esserci soprattutto sulle stabilizzazioni dei contratti precari». Traduzione semplice: molti contratti a tempo determinato sono stati trasformati in “indeterminati”. Una buona cosa, potremmo ammettere anche noi, se ci fosse ancora l’art. 18, se esistessero ancora tutele serie contro i licenziamenti senza giusta causa, ovvero decisi dalle aziende per togliersi dai piedi lavoratori non sufficientemente obbedienti. Se uno è licenziabile in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo viene meno anche ogni differenza tra un contratto precario e uno “a tempo indeterminato”. Di fatto.
2) Perché le imprese trasformano i posti precari in posti (per niente) stabili? Per un motivo semplice: per tre anni non pagano più i contributi previdenziali (all’Inps) per i “nuovi assunti” a tempo indeterinato. Un risparmio medio di 8.000 euro a persona, per tre anni, concesso anche se la persona non cambia. Ovvero: hai un lavoratore con contratto a termine? Aspetti che arrivi a scadenza, oppure lo licenzi subito, e poi lo riassumi con la nuofa formula. Smetti immediatamente di versare i contributi all’Inps e tra tre anni – secondo tutte le interpretazioni legali correnti – potrai ripetere il giochetto con lo stesso lavoratore.
3) Chi paga i contributi previdenziali all’Inps? La fiscalità generale dello Stato. Quindi si peggiorano i conti pubblici (e infatti per prorogare questa norma anche al 2016 si prevede che servano 2 miliardi) e anche quelli dell’Inps, perché i “nuovi assunti” prendono sempre anche un salario più basso, quindi con livelli contributivi minori. In altri termini, ci rimettiamo tutti noi contribuenti (quel buco viene coperto con altre tasse, o tagli dispesa, che significano meno servizi o più cari) e tutti questi “nuovi assunti”, che si vedono confezionare una carriera contributiva più povera e quindi – se ancora ci saranno,al momento in cui diventeranno vecchi – anche pensioni più “magre”. Chi ci guadagna? Solo le imprese.
Se trovate un renziano che gioisce in pubblico citando questi dati “miracolosi”… procedete come meglio credete.
Vedi anche https://contropiano.org/politica/item/32299-la-truffa-renziana-2-il-boom-dei-vaucher
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Paolo De Marco
Si tratta di uno costoso gioco di sedie. Nel 2005 (mio Livre III in sezione Livres-Books di http://www.la-commune.paraclet.com) ho mostrato che i veri numeri della disoccupazione non possono essere limitati alle statistiche tipo quelle dell’OIL, bisogna aggiungere tutte le tipologie, i sotto-impieghi, i scoraggiati ed il tasso di povertà – crescente con salari più bassi indotti dall’equilibrio marginaliste globale ricercato al livello cosiddetto fisiologico! Per paesi allo sfascio come l’Italia dobbiamo ancora aggiungere gli espatriati. Ogni anno, ci sono in media 60 000 giovani « under 40 » che scappano d’Italia, numero che non appare nelle statistiche neanche quelle della partecipazione alla forza di lavoro, comunque già bassa. Vedi http://www.emigrazione-notizie.org/news.asp?id=9649 .
Paolo De Marco