A volte ci dispiace avere ragione. Quando abbiamo adottato lo slogan “dovete morire prima” per indicare tutte quelle politiche partono dal pareggio di bilancio per decidere cosa fare della popolazione – insomma “l’austerità” – speravamo sinceramente di esagerare. Al contrario, la realtà e le scelte dell’Unione Europea, con i governi italiani recenti tra i più entusiasti, stanno mettendoci di fronte al fatto compiuto: a forza di tagliare la spesa su sanità, pensioni, istruzione, servizi sociali et similia, i risultati si vedono, si sentono, si toccano (ferro o equivalenti)!
Riportiamo qui sotto un articolo tratto da un quotidiano insospettabile di simpatie per i poveri e/o per i lavoratori dipendenti, ovvero La Stampa di Torino, organo della Fiat, quindi sotto il controllo diretto della famiglia Agnelli (o come si chiama adesso) e di Sergio Marchionne.
Vi rimandiamo alla sua lettura per quanto riguarda i dati, elaborati dal Crea sanità dell’Università Tor Vergata. Di nostro, qui, ci limitiamo ad aggiungere poche considerazioni. A partire innanzitutto da questo grafico
Appare evidente che il benchmark – il punto di riferimento – è la Germania. La quale ha smesso di far progredire la qualità della vita dei propria anziani (la linea si appiattisce a partire dal 2011), mentre Italia, Francia e media europea tendono a scendere verso il livello tedesco.
Ci sembra dunque evidente come non ci sia alcuna “autonoma scelta” da parte dei singoli governi nazionali, ma ci si muova in modo coordinato per limitare la difesa della salute di tutti i cittadini europei. In modo “compatibile” con i livelli di spesa considerati “appropriati” (la definizione è del nostro ministero della sanità, che ha segato per questo 208 prestazioni diagnostiche), e non con le necessità delle persone.
Di suo l’Italia ci mette un “federalismo macabro”, per cui i livelli di cura sono profondamente diseguali – sia per costo che per efficacia – da regione a regione, scontando pratiche clientelari e strutture sociali coltivate con attenzione nel corso dei decenni.
Ovviamente La Stampa non può sintetizzare alla nostra maniera la conseguenza diretta del progressivo e programmato peggioramento delle condizioni di salute dell’intera popolazione (gli anziani sono l’unica classe di età considerata nella ricerca del Crea, ma non è che i più giovani possano stare mediamente meglio, se il sistema è lo stesso per tutti). Perciò, se “gli over 75 con problemi di salute aumentano dell’8%, e il 32% delle medicine innovative non arriva nelle farmacie italiane”, a noi sembra ovvio che dai piani alti ci stiano dicendo “dovete morire prima”.
Non siamo per niente d’accordo. Si tratta di farlglielo capire.
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“Sempre più anziani malati, colpa dei tagli alla Sanità”
Lo studio: gli over 75 con problemi di salute aumentano dell’8%. E il 32% delle medicine innovative non arriva nelle farmacie italiane
Paolo Russo
Eccolo qui l’effetto tagli sulla nostra sanità: avevamo nonni tra i più in salute d’Europa ed ora stiamo perdendo terreno; oltre il 30% dei farmaci innovativi non arriva sui banchi delle farmacie; la spesa privata per curarsi sale del 14% e 2,7milioni di italiani rinunciano a visite e analisi; crescono le diseguaglianze da una regione all’altra per l’accesso alle prestazioni; per vaccinare i nostri figli spendiamo meno che nel resto dell’Unione europea.
Quanto siano state poco indolori gli ultimi anni di manovre sanitarie lo dice l’undicesimo Rapporto del Crea sanità dell’Università Tor Vergata, presentato ieri a Roma con il titolo non casuale «L’universalismo diseguale».
IL GAP CON L’EUROPA
La nostra spesa è oramai inferiore del 28,7% a quella dei Paesi Ue. E gli effetti iniziano a vedersi. Solo 10 anni fa i nostri ultrasettantacinquenni con problemi di salute erano meno del 55%. Un record europeo, visto che la media era quasi di 10 punti superiore. Ora quella forbice si è ridotta a soli 4 punti con noi al 63%. «Il peggioramento della performance italiana non è distribuito equamente», sottolinea il rapporto, che indica nella classe media quella più a rischio di “razionamento” delle cure. Questo probabilmente perché i più ricchi possono comunque ricorrere al privato, mentre i più poveri sono almeno esenti dai super-ticket. I fenomeni di impoverimento per le spese socio-sanitarie si sono ridotti (100mila famiglie in meno avrebbero varcato la soglia di povertà), ma resta il fatto che 2,7 milioni di italiani ha rinunciato a curarsi per motivi economici. La cura dimagrante ha riguardato anche l’offerta dei farmaci. Il consumo di quelli innovativi approvati dall’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, è inferiore del 38,4% rispetto a quelli medi di Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Siamo più bravi nel contrastare il fenomeno del consumismo farmaceutico si dirà. Ma un’altra tabella del rapporto mostra il contrario: dal 2009 al 2014 oltre il 32% dei medicinali approvati dall’Ema non ha varcato i confini italici. Neanche in fatto di vaccinazioni stiamo messi bene. Ci lamentiamo di avere indici di copertura sotto la soglia di sicurezza del 95%, ma poi per immunizzare i nostri bimbi spendiamo appena 4,79 euro a testa contro i 10 della Francia, gli 11,3 della Germania e i 19 della Svezia.
Lo stato di salute della nostra sanità varia però da regione a regione. Tra differenti modi di applicare i ticket, maggiori o minori liste d’attesa, mini prontuari farmaceutici regionali, l’indice di equità per l’accesso alle prestazioni sanitarie stilato dal Crea mostra differenze abissali. Fatto cento l’indice nazionale si va dalla maglia nera Campania con indice 206 all’equo Trentino Alto Adige con indice 33. Ma con l’aggiunta delle Marche tutte le regioni meridionali sono sotto la media nazionale.
CITTADINI PENALIZZATI
Stesse iniquità si ritrovano sul piano fiscale, con i cittadini delle regioni in piano di rientro dal deficit penalizzati dalle super-addizionali Irap ed Irpef. Basti pensare che nel Lazio l’addizionale della tassa sul reddito da lavoro è superiore dell’88% a quella versata in Basilicata. Come si esce da questo impasse lo spiega Federico Spandonaro, Presidente del Crea: «Occorre una moratoria che mantenga invariata la spesa sul Pil. Con la certezza delle risorse disponibili sarà poi possibile rivedere la lista delle priorità d’intervento». Magari senza continuare a spacciare il razionamento delle cure con il falso universalismo del tutto gratis a tutti.
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