Tutta l’attenzione sulla mafia del “mondo di mezzo” (nella capitale), mentre dai giornali rapidamente scompare l’assoluzione per Calogero Mannino, ex ministro, accusato di aver innescato in qualche modo la famosa “trattativa Stato-mafia” per salvarsi la pelle.
Non conosciamo gli atti del processo, quindi non ci permettiamog giudizi di merito. Ma ci sembra che qualche perplessità esista anche tra i più attenti ossrvatori delle cronache giudiziarie. Non tanto per l’assoluzione dell’ex ministro – la sentenza dichiara che “non ha commesso il fatto”, non che “il fatto non sussiste” – quanto per la tenuta dell’intera nnarrazione-spiegazione di come sia nata e si sia sviluppata una “trattativa” che ha sfiorato (o qualcosa di più) il Quirinale e Giorgio Napolitano.
La sentenza di ieri insomma, non nega che una trattativa ci sia stata, ma che in ogni caso non l’ha innescata Mannino. I magistrati palermitani atendono di conoscere le motivazioni della sentenza per decidere se ricorrere in appello, ma appaiono abbastanza decisi a farlo («Valuteremo se impugnare la sentenza dopo averne letto le motivazioni. L’impugnazione è probabile, ma se non si leggono le motivazioni della sentenza non ha senso anticipare giudizi»).
La questione è complessa, ma Mannino rivestiva un ruolo cruciale, insieme al generale dei carabinieri Mori. E in effti un riscontro importante sembrava esserci: il pentito Giovanni Brusca ha infatti riempito pagine di verbali in cui ricorda come lui stesso fosse stato incaricato di organizzare l’omicidio di Mannino (dopo quello di Salvo Lima, referente andreottiano in Sicilia, “reo” di non aver saputo far ridurre il regime di 41 bis per i boss mafiosi, e dell’arcinemico Giovani Falcone). Ma poi era arrivato l’ordine di Riina: “lascia perdere e ammazziamo il giudice Borsellino”.
Se Mannino è innocente, viene a mancare un anello fondamentale nella catena delle relazioni tra interessi mafiosi (l’attenuazione del regime carcerario) e il governo dell’epoca (il ministro di giustizia, Giovanni Conso, ridusse effettivamente sia il numero di mafiosi sottoposti al 41bis che il numero di restrizioni previste).
Questa assoluzione, dunque, potrebbe in qualche misura invalidare tutta la vicenda della “trattativa” sul fronte giudiziario, mentre sul piano politico appare sempre più evidente che ci sia stata eccome (il 41 bis è stato attenuato, le stragi sono finite prima che ne fossero arrestati gli autori).
Chi ne verrebbe avvantaggiato? La classe politica dell’epoca, certamente (Mancino e Napolitano su tutti). Chie ne uscirebbe delegittimato: la procura di Palermo e soprattutto il pm Nino Di Matteo, per il quale – hanno scirtto più volte i giornali, “il tritolo è già pronto”.
Sarà, ma un certo odore di bruciaticcio continua a restare nell’aria…
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