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Colombia. “Non ci sarà pace senza giustizia”. Il nodo dei prigionieri nelle trattative

“Il fatto che si parli di pace non significa pacificazione”. E’ stato molto chiaro Jorge Freytter in un passaggio della conferenza pubblica tenuta ieri a Roma sulla situazione in Colombia e lo status dei prigionieri e degli esiliati politici colombiani. Jorge Freytter è il figlio di un sindacalista ucciso ed è da anni costretto all’esilio fuori dal paese. Attualmente risiede nei Paesi Baschi dove ha animato recentemente a Bilbao la “Costituente degli esiliati politici” per portare il contributo di chi è stato costretto a fuggire dalla Colombia ai negoziati di pace tra le Farc e il regime colombiano in corso da tempo a L’Avana.

Introdotto da un compagno dell’Associazione Nuova Colombia, che ha organizzato la conferenza in collaborazione con la Rete dei Comunisti e la Red de Intellectuales en Defensa de la Humanidad, Jorge Reytter ha spiegato lo stato dei negoziati e del conflitto politico in Colombia.

La sua relazione è stata preceduta da un videomessaggio alla solidarietà internazionale da parte di due prigionieri politici colombiani uscito clandestinamente dalla carceri colombiane. “In Colombia ci sono più di novemila prigionieri politici tra prigionieri di guerra e prigionieri di coscienza” e uno dei punti delle “Dieci proposte minime per garantire la fine del conflitto, la riconciliazione nazionale e la costruzione di una pace stabile e duratura” presentate il 7 novembre scorso dalle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito Popolare all’Avana nel quadro delle trattative di pace, riguarda proprio il tema dell’amnistia per i prigionieri politici e della riforma del sistema giudiziario. Per sostenere questa proposta i prigionieri politici colombiani, dispersi in 115 carceri in tutto il paese, hanno attuato anche uno sciopero della fame.

“I negoziati di pace dimostrano che lo stato colombiano in questi anni non è riuscito a sconfiggere la guerriglia e che la guerriglia non è riuscita a sconfiggere lo stato colombiano” afferma Jorge Reytter. La soluzione al conflitto non può essere la smobilitazione della guerriglia senza un vero cambiamento della situazione politico-sociale della Colombia. Innanzitutto c’è la riforma agraria, in un paese dove 5 famiglie possiedono gran parte della terra e la stanno vendendo alle multinazionali (statunitensi ma anche europee, soprattutto spagnole). C’è poi il passaggio inevitabile di una nuova Assemblea Costituente e la cessazione di una esclusione delle forze della sinistra dalla possibilità di governare realizzata attraverso i ripetuti massacri di dirigenti, sindacalisti, leader contadini e attivisti sociali che lo hanno sistematicamente impedito. “La situazione in Colombia ha ripercussioni su tutta la geopolitica dell’America Latina, in Colombia ci sono ben sette basi militari statunitensi” (poste tra l’altro a ridosso dei confini con Venezuela e Bolivia). Le autorità colombiane stanno usando il processo di pace per offrire incentivi agli investimenti delle multinazionali (soprattutto nel settore estrattivo-minerario) nelle zone controllate dalla guerriglia e che quindi non sono state sfruttare fino ad oggi. Non hanno capito però che non funziona così.

Le Farc- Ep credono nel negoziato di pace con lo stato colombiano e il contesto delle trattative ha visto crescere il protagonismo dei movimenti popolari e dei movimenti sociali, molti dei quali animati da Marcha Patriottica, un vasto fronte di organizzazioni di tutti i tipi. Tra i temi sollecitati nel negoziato di pace non c’è solo quello del ritorno a casa di tutti i prigionieri politici ma anche quello dell’impatto che il conflitto ha avuto ad esempio sulle donne, che ne hanno pagato un prezzo altissimo.

Jorge Reytter ha poi risposto alle numerose domande poste dal pubblico su diversi aspetti de negoziato di pace, incluso quello del ruolo “smobilizzante” della mobilitazione popolare svolto da alcune ong europee, altre invece aiutano il processo di pace ma senza incentivare paternalismo o depotenziare la resistenza.

Luciano Vasapollo ha tirato le conclusioni lanciando l’allarme sulla situazione in Colombia e nel vicino Venezuela dove il 6 dicembre ci saranno le elezioni parlamentari in un clima di tensione e guerra economica dichiarata (in cui le reti del narcotraffico frontaliero della Colombia hanno un ruolo centrale) che minaccia da tempo la stabilità del governo bolivariano del Venezuela.

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