La notizia, che non è notizia nuovissima, è la conferma che Finmeccanica ha concluso il contratto per la fornitura di 28 Eurofighter Typhoon al Kuwait, sulla base del memorandum intergovernativo con l’Italia siglato a settembre dello scorso anno. Le trattative sono state tirate un po’ per le lunghe (avrebbero dovuto concludersi a novembre) ma alla fine il contratto c’è stato. “Un grande successo industriale per Finmeccanica e l’intero sistema Paese” è il commento del neo-Amministratore Delegato e Direttore Generale di Finmeccanica, Mauro Moretti. È “il più grande contratto mai firmato da Finmeccanica”, dicono fonti della società riportate da Il Sole 24 Ore. Il valore economico dell’affare si aggira – solo per Finmeccanica – tra i 3 e i 4 miliardi di euro, quello complessivo tra i 7 e 8 miliardi. La ragione è semplice. L’Eurofighter (conosciuto come EFA, Euro Fighter Aircraft) è infatti un aereo militare prodotto da un consorzio europeo di cui Finmeccanica è partner. Il quotidiano della Confindustria certifica che la firma del contratto è avvenuta alla presenza del ministro della Difesa Roberta Pinotti e del ministro della Difesa kuwaitiano Khaled Al Jarrah Al Sabah. Insomma una conferma in più di come il “sistema paese” e il governo italiano stiano continuando a fare da tramite vendendo armamenti sofisticati (o compagnie aeree) alle petromonarchie del Golfo: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait,Oman.
Ma in questo caso, è l’oggetto della vendita che deve richiamare l’attenzione e farne derivare considerazioni politiche e di analisi sullo sviluppo – silenzioso ma sostanzioso – del complesso militare-industriale europeo. L’Eurofighter Typhoon è infatti il più avanzato aereo da difesa multiruolo di nuova generazione disponibile sul mercato, sottolinea il Sole 24 Ore. Per ora solo otto Stati ne hanno complessivamente ordinato ben 599 esemplari. E’ importante rammentare che al programma Eurofighter partecipano quattro stati europei (Italia, Germania, Spagna e Regno Unito) e che a gestirlo sul piano industriale è il Consorzio Eurofighter al quale partecipano Finmeccanica (con il 21% ma con una quota industriale nel programma pari al 36 per cento) insieme ad Airbus Group e Bae Systems. Le quote rispettive erano all’inizio il 33% per la British Aerospace, 33% per la DaimlerChrysler Aerospace (DASA) tedesca, 21% per Alenia Aeronautica e 13% per la CASA spagnola. Tuttavia al momento della firma dell’ultimo contratto, le quote furono ridistribuite rispettivamente al 37%, 29%, 20% e 14%.
Oggi il caccia europeo Eurofighter viene venduto sui mercati internazionali, soprattutto quelli arabi e asiatici, in competizione con velivoli americani come gli F35 o i Rafale francesi. Ma aveva un limite: l’EFA è un jet perfetto per il combattimento aria-aria, carente però di sistemi avanzati per l’attacco al suolo. Sulle modifiche per rendere l’EFA capace anche di combattimento aria-terra e attacco al suolo hanno pesati i costi, lievitati negli anni scorso. Il costo di ogni velivolo è salito, e dai 50 milioni di dollari del 1998 ai quasi 80 milioni di dollari e oltre (ad esempio, l’Austria, cliente export, ha pagato i suoi Eurofighter oltre 110 milioni di euro l’uno, pari a oltre 140 milioni di dollari). In Italia i primi velivoli di questo tipo sono entrati in servizio, nell’Aeronautica Militare, presso la base aerea di Grosseto, tra le file del 4º Stormo caccia, il 20 febbraio 2004 e successivamente negli aeroporti militari di Gioia del Colle e di Trapani Birgi. Ma negli ultimissimi anni, le occasioni per una “messa a punto” si sono presentati concretamente. Gli Eurofighter italiani infatti sono stati utilizzati nei bombardamenti a terra nell’aggressione militare contro la Libia nel 2011 (Operazioni “Unified Protector” e “Odyssey Dawn”) insieme ai Tornado e in quel contesto sono stati “testati” con risultati soddisfacenti per le industrie costruttrici. A febbraio sono stati testati sugli EFA i missili aria-aria Storm Shadow e Meteor. Adesso in aggiunta a Meteor e Storm Shadow è in corso l’integrazione sui caccia EFA anche del missile MBDA aria-terra Brimstone, previsto nel programma Phase 3 Enhancements (P3E), un missile idoneo ai bombardamenti aria-terra che configurano ormai gran parte delle missioni aeree. Si diceva che i risultati di questo prodotto del complesso militare-industriale europeo si sono rivelati soddisfacenti per chi li produce e per i governi incaricati di farne da piazzisti.
Il complesso militare-industriale ha incassato un nuovo risultato, in attesa della conferenza di Amsterdam del prossimo giugno dove l’industria tecnologica europea – paradiso del dual use civile militare – pianificherà le sue chance dentro la competizione globale, anche sul piano militare.
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