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Parma. Rompere la gabbia eurocratica, al tempo della Brexit

La tempistica è stata obiettivamente azzeccata. Trovarsi a discutere di come rompere la gabbia eurocratica all’indomani del risultato della Brexit, ha portato il formidabile stimolo della realtà alla discussione. Il convegno organizzata a Parma da Ross@ aveva chiamato a confrontarsi in due panel diversi attivisti e intellettuali impegnati nel dibattito e nell’opposizione all’ Unione Europea. Il primo panel era relativo alla dialettica tra via d’uscita nazionale e internazionale, il secondo alla crisi delle èlites e alla disamina di quelli che ormai vengono liquidati come populismi ma che stanno dando la cifra ai cambiamenti politici di questa fase storica. Inevitabilmente la discussione si è incrociata continuamente.

“A Roma, a Torino, a Napoli, il voto è stato assolutamente popolare (periferie), un voto che va controtendenza, un voto di cambiamento. Napoli si caratterizza maggiormente per la partecipazione delle forze popolari: De Magistris è stato appoggiato anche dalla sinistra antagonista e da Ross@ stessa. La sinistra deve comprendere il fenomeno dei populismi, entrare in dialettica con essi. Una caratteristica trasversale che caratterizza queste forze è il fatto che il loro discorso politico ha una dimensione nazionale” ha affermato nell’introduzione Stefano Zai (Ross@).

Commentando  i risultati della Brexit Giorgio Cremaschi ha denunciato “ una gigantesca campagna razzista contro i poveri e gli operai: le élite culturali e politiche, tendenzialmente liberali di sinistra, hanno scatenato una campagna razzista contro i poveri. I poveri non dovrebbero – secondo costoro – votare sull’Unione Europea. Il nucleo di questa montagna sarebbe costituito dai nonni che avrebbero tradito i nipoti”. Di fronte a quanto avvenuto con il referendum in Gran Bretagna, se si va avanti così, “avremo sempre di più il campo del popolo occupato da forze realmente xenofobe e fasciste, semplicemente perché la sinistra le ha abbandonate”

Sergio Cararo (Rete dei Comunisti) si è voluto togliere qualche sasso dalle scarpe di fronte ai commentatori di sinistra scandalizzati per l’esito del referendum britannico. “Adesso dobbiamo lavorare pancia a terra per Italexit come abbiamo discusso due mesi fa a Napoli. L’occasione c’era già stata con l’ “oxi” della Grecia un anno fa, se fosse stato gestito fino in fondo, avrebbe portato ben altre conseguenze da quelle riscontrate. Ora, però, con la Brexit, la strada è segnata:  andiamo avanti e chi non è d’accordo dovrà farsi da parte anche nella sinistra. Non c’è più possibilità di continuare a girare dentro la ruotella dei criceti”. Si dice che l’uscita dall’Unione Europea è di destra: noi diciamo, invece, che la rottura e l’uscita dalla UE è fondamentale per la lotta di classe. La rottura avviene laddove è possibile, non si può aspettare che si possano sincronizzare tutti gli orologi. Italexit è un punto sul quale tutto il movimento popolare, di classe, deve raccogliersi. Sergio a Parma

Per Mimmo Porcaro, saggista torinese in rotta con il PRC, i fatti, i ragionamenti e la logica stanno cominciando a costruire le basi perché il lessico di chi ha rotto con la sinistra radicale, si rafforzi e prenda sempre più piede.

Primo punto: rottura definitiva con il pezzo di sinistra che è stata giustamente criticata da chi mi ha preceduto, perché quella sinistra non ha capito da sempre la posta in gioco: non l’ha capito in Grecia, figuriamoci se può capirlo con la Brexit. La sinistra ha sempre avuto difficoltà a pronunciare la parola “nazione”. Il recupero della capacità di decisione politica passa attraverso la riconquista della sovranità nazionale, per un nuovo tipo di rapporti internazionali. Si tratta di una conditio sine qua non. La nazione è il campo dello scontro di classe, e va strappato alla destra!

Più teorico e in parte più complesso è stato invece il panel pomeridiano sulla crisi delle èlites e i populismi. La discussione è stata introdotta da Diego Melegari (coautore di un libro su Laclau già nel 2012).  “Si è già parlato del popolo, della costruzione del popolo – direbbe Ernesto Laclau. Un giovane autore sul manifesto ha parlato di populismo come di un campo: può essere declinato in molti modi differenti. Vi è un populismo di destra che, forse, sarebbe meglio qualificare come etno-populismo ma che non è schiacciato sulla destra radicale. I movimenti di destra non si possono tutti apostrofare come fascisti. C’è poi la possibilità di costruire un populismo di sinistra, fondato sull’antagonismo sociale. Nell’accezione di populismo di sinistra c’è comunque un pericolo: i due termini rischiano, oggi, di essere in tensione tra di loro”.

Per Carlo Formenti il populismo in quanto conflitto alto-basso “è la forma che assume oggi la lotta di classe, spuria certo, perché spuria è oggi la composizione di classe. Non si costruisce più la classe, ma si costruisce il popolo, ovvero quel soggetto fatto di tante stratificazioni basate su domande e richieste rimaste inevase, non accolte. Può andare tanto a destra quanto a sinistra. C’è un elemento di contingenza molto elevato. Costruire un popolo vuol dire dover costruire un blocco sociale (Gramsci, vedi concetto di egemonia). È plebe costruita intorno all’operaio, all’artigiano etc. Ma questa plebe è roba nostra”.

Poi il populismo è anche definizione di un nemico. Trump si è presentato con un programma molto simile a quello di Sanders. C’è la discriminante sui fatti, non sul programma. Senza un nucleo comunista organizzato dentro questo tipo di esperienze, queste esperienze non vanno da nessuna parte. Podemos parla di egemonia ma non per fare antagonismo, bensì per fare agonismo, intensificare la democrazia, non per rompere con il sistema. Senza una forza anti-sistemica, il populismo non va da nessuna parte. Il giorno dopo essere andati al governo, sono come il PD.

Samuele Azzolini, giovane ricercatore all’università di Essex (Gran Bretagna) e che dichiara che avrebbe votato contro la Brexit, è partito da una domanda. A che cosa alludiamo quando parliamo di populismo? “Il termine ha una connotazione peggiorativa, di solito; un epiteto negativo che fino a qualche tempo fa ha retto anche nella dimensione accademica. Sul piano politico ci sono ancora pochi spostamenti. Sul piano analitico, abbiano invece pensatori come Ernesto Laclau, che prendono la categoria di populismo e provano a renderla spuria. Negli ultimi vent’anni in America Latina hanno avuto sostanzialmente populismi di sinistra. Che cosa ci lascia la categoria di populismo? Per Laclau – e io parlo da questa prospettiva – il populismo è una forma per cui una politica effettua una divisione dicotomica della società: da un parte il popolo, il ‘noi’, e dall’altra l’élite, etc. Si tratta di interpellare le forze dal basso. Si tratta poi di contrapporsi all’istituzionalismo, alla tecnocrazia. All’interno di questi due poli abbiamo la costruzione della politica. Ciò che indica il populismo è un’ampia area in grado di spiegare alcuni fenomeni anche molti diversi tra loro”.

La pensa diversamente Moreno Pasquinelli (Programma 101): “Proverò a dire quello che non mi convince di Laclau. Questi rovescia il rapporto tra struttura e sovrastruttura di cui parla Lukács (citato da Carlo Formenti). Laclau dice che la costruzione del politico è un processo fatto tutto di contingenze. Questo discorso in Italia fa fatica ad attecchire. Certo, la funzione del soggetto politico è assolutamente centrale, se tutto dipende dalla contingenza e dalla congiuntura. Laclau non ha lasciato traccia in Italia, a causa del suo linguaggio molto difficile. A differenza di quanto accaduto in Spagna, dove è stato fatto un vero e proprio laboratorio applicativo di Laclau. In Italia c’è una sinistra marxista che vede nella politica antagonista un’espressione puramente di classe”.

Ross@ parma convegno brexit

Alle relazioni si è incrociato un ricco dibattito sia tra i relatori che con i presenti nel pubblico. Segnaliamo l’intervento di Franco Ferrari (dirigente locale del Prc e della Usb) il quale avrebbe votato per il remain e contro la Brexit, che non ha condiviso l’analisi sul referendum britannico e non ritiene la questione dell’Unione Europea un elemento discriminante, anzi ne teme proprio l’effetto divisivo nella sinistra. Per Daniele Ghilarduzzi degli Amici di Beppe Grillo parmensi (in rotta con il sindaco M5S Pizzarotti) Il M5stelle nasce proprio per superare la dicotomia destra/sinistra. In Grecia la sinistra ha tradito il popolo, dopo un referendum, un atto vergognoso. Vergognoso è il comportamento di Pizzarotti che, una volta andato al potere, applica il programma del PD. “Siamo populisti, vogliamo provocare l’applicazione del concetto sublime più comunista che ci sia: il popolo deve governare. Siamo per la democrazia diretta: questo è il nostro modello. Per noi democrazia diretta è il futuro; ripoliticizzare i cittadini è l’obiettivo. La rottura con i vecchi schemi è proprio non avere un progetto politico, perché occorre ascoltare quello che vuole la gente”.

Nonostante una temperatura che avrebbe sciolto qualsiasi assembramento, il dibattito è andato avanti fino al tardo pomeriggio. Una delle conclusioni che sicuramente può essere tirata, e sulle quali Ross@ è nata e configurata,  è la dichiarazione esplicita di discontinuità, anzi della necessità di dover aprire un fossato di impostazione, contenuti, rapporti con la classe e metodo di lavoro con ciò che resta della sinistra italiana. Una sinistra talmente minoritaria, lontana dai settori popolari e assuefatta alla sconfitta da non sapere riconoscere neanche gli avvenimenti – per quanto spuri – che possono rappresentare vittorie. Le recenti elezioni comunali e la Brexit britannica possono essere considerate tali, per chi sa riconoscerne le ricadute sulla realtà.

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1 Commento


  • Giacomo Casarino

    Chiarisco in premessa che non ero presente al convegno “Il filo di Arianna” di Parma, sabato 25 giugno, ma solo alla riunione del giorno dopo del gruppo di lavoro di ROSS@ di cui faccio parte. Quindi, sia pure con beneficio d’inventario, devo dare per buono il report di cui sopra. E’ evidente che una cosa sono i convegni (anche se a volte possono indirizzare la ricerca e il lavoro politico in un certo senso piuttosto che in un altro), un’altra i documenti e le risoluzioni : per me valgono quelle di ROSS@ e di Eurostop, non altre. Mi ha stupito, devo dire, la veemenza e la perentorietà di Sergio Cararo, il quale è venuto affermando “Italexit è un punto sul quale tutto il movimento popolare, di classe, deve raccogliersi”, ma anche ” andiamo avanti e chi non è d’accordo dovrà farsi da parte anche nella sinistra”.(Che penseranno, a questo proposito, Franco Russo e Ernesto Screpanti, tanto per fare due nomi?). Il combinato disposto delle due proposizioni danno per chiuso il dibattito al riguardo (in quale sede unitaria?) e ufficializzata la posizione dell’Italexit (che non può essere, a me pare, una vaga parola d’ordine, ma un discorso che va perlomeno articolato). Sono rimasto altresì colpito dall’asserzione di Carlo Formenti secondo la quale non va ricostruita la classe, ma il popolo, che a questo punto
    equivarrebbe al “blocco sociale”. Io non mi converto a questa variante del post-marxismo, né vorrei diventare un populista di sinistra. Il populismo, aveva scritto a suo tempo lo stesso Formenti, va “attraversato”, in qualche modo fatto decantare “a sinistra”, avvalendoci, pensavo io, del nostro bagaglio culturale e politico Se questa svolta è stata assunta, mi chiedo come sia stato possibile assumere , col sistema del silenzio-assenso, gli emendamenti da me proposti al testo di Carlo, che andavano in direzione diametralmente opposta: forse per metterli in non cale, per archiviarli? Francamente non mi va di essere giubilato.

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