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Il “codice Minniti” mette fine alle Ong

Il “codice di condotta” imposto dal governo italiano alle Ong che prestano soccorso in mare è un mostro partorito dal ministero dell’Interno, con la fattiva collaborazione dell’Unione Europea («Chi firma il codice avrà l’assicurazione di poter accedere ai porti italiani, chi non firma non potrà beneficiare delle stesse rassicurazioni», ammette Natasha Bertaud, portavoce del commissario per l’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos).

Gli unici effetti pratici saranno la riduzione dei salvataggi, dunque l’aumento dei morti in mare. Non siamo noi a dirlo, ma Medici Senza Frontiere, una Ong internazionale che non ha firmato il codice e ha inviato al ministro Minniti la lettera che più sotto riproduciamo.

Nel testo si critica nel merito, senza alcuno svolazzo “ideologico”. Il divieto di trasbordo da nave a nave, per esempio, colpisce soprattutto le navi più piccole; ossia quelle che hanno massa e potenza sufficiente per “stabilizzare” un barcone e gommone, sottraendo alla deriva o all’affondamento, ma non la possibilità di ospitare a bordo tutte le persone soccorse. Se queste navi dovessero invece far questo e poi dirigersi verso il porto italiano più vicino, dovrebbero lasciare un po’ di gente in mezzo al mare e comunque ridurre la loro presenza nelle zone critiche (facendo la spola con i vari porti).

Anche per quanto riguarda la presenza obbligatoria di soldati o poliziotti armati a bordo delle navi, Msf fa notare che questo contravviene – sì – al principio no weapons che caratterizza l’organizzazione; ma anche che questo principio ha motivazioni estremamente pratiche, operative. Se dovesse essere accettato con lo Stato italiano, tutti gli Stati in cui Msf opera si sentirebbero autorizzati a fare lo stesso, compromettendo la stessa funzione dei medici impegnati. Non a caso, nel “codice” si prevede espressamente che il personale delle Ong “contribuisca attivamente alla raccolta di elementi utili ad attività di polizia e investigative”. Trasformando così volontari del salvataggio di vite umani in organi sussidiari delle polizie. Cosa potrebbe accadere in zone dove c’è una guerra? Chiunque comandi in un certo territorio si sentirebbe autorizzato a chiedere ai medici di Msf di “collaborare” nell’identificazione di nemici tra i feriti, mettendo così fine alla neutralità di quella e ditutte le altre organizzazioni similari (da Emergency in giù).

Bigona dire che nella posizione di Msf non c’è nulla di sorprendente. Anche nella legislazione italiana, per esempio, gli agenti di polizia sono presenti all’ingresso dei pronto soccorso (con l’ovvia funzione di verificare se un ferimento o un malore sia o no conseguenza di un reato), ma ogni medico ha il potere di impedire loro di assistere alle visite, agli esami diagnostici o alle operazioni.

Da parte nostra possiamo solo aggiungere che il “codice Minniti” contribuisce definitivamente a chiarire la natura e funzione delle varie Ong. Proprio la lettera di Msf, infatti, mette a punto il criterio oggettivo di questa distinzione tra chi è davvero “non governativo” e chi semplicemente fa finta di non esserlo, ma si mette a disposizione dei poteri di qualsiasi Stato nel cui territorio si trovi ad operare. Di fatto, con la filosofia di questo codice non potranno più esistere ed operare organizzazioni umanitarie indipendenti. (A chi oppone l’esempio di “Save the children”, che invece ha firmato, suggeriamo di leggersi la composizione del consiglio di amministrazione di questa presunta Ong, che potere vedere qui)

E’ una distinzione che avevamo ben chiara anche prima, naturalmente, ma ora diventa “oggettiva”, universale, lampante per tutti. Ed è una distinzione che ripercorre la storia ultraventennale del cosiddetto “terzo settore”, apparentemente (o parzialmente) indipendente e sussidiario rispetto all’apparato pubblico, in eraltà “privato sociale” sussidiato per facilitare lo smantellamento del welfare. Una critica esagerata? Beh, dopo Buzzi e Carminati…

Gent.mo – Marco Minniti – Ministro dell’Interno

Gentile Ministro,

Le scriviamo per comunicarle la risposta di Medici Senza Frontiere (MSF) al suo invito a firmare il Codice di Condotta predisposto dal Ministero dell’Interno in consultazione con la Commissione Europea.

Ancor prima di entrare nel merito, ci preme innanzitutto ribadire l’apprezzamento della nostra organizzazione per l’esemplare ruolo svolto dall’Italia nel salvare centinaia di migliaia di vite lungo la pericolosa rotta del Mediterraneo centrale. In questi anni complicati, il disfunzionale sistema di asilo dell’Unione Europea e una risposta insufficiente da parte degli altri Stati membri hanno fatto ricadere sulle sole autorità italiane sfide importanti, che avrebbero meritato ben altra attenzione da parte della comunità europea e internazionale.

Anche a partire da queste considerazioni, MSF ha scelto di partecipare alla discussione sul Codice di Condotta con un approccio assolutamente aperto e costruttivo. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di garantire il miglior coordinamento possibile tra tutti gli attori coinvolti, contribuendo al tempo stesso a rimuovere ogni elemento di dubbio e sospetto sugli obiettivi e le modalità di lavoro delle organizzazioni umanitarie impegnate nel soccorso in mare.

Nel corso delle ultime settimane, abbiamo condiviso con il suo Ministero una serie di preoccupazioni sul Codice di Condotta, richiedendo chiarimenti su temi specifici e sollecitando emendamenti sostanziali che ci avrebbero messo nelle condizioni di poter firmare il documento. Dopo un’attenta valutazione della versione conclusiva del Codice, riconosciamo che sono stati fatti sforzi significativi per rispondere ad alcune delle osservazioni presentate da MSF e dalle altre organizzazioni. Tuttavia alcune delle preoccupazioni e richieste che abbiamo indicato nella lettera del 27 luglio scorso sono state lasciate senza risposta. Le linee di riferimento e l’impianto generale del Codice – dobbiamo dirlo con chiarezza – sono rimasti sostanzialmente immutati. Per questa ragione, con dispiacere e dopo attenta considerazione, riteniamo che allo stato attuale non sussistano le condizioni perché MSF possa sottoscrivere il Codice di Condotta proposto dalle autorità italiane.

Ben consapevoli del rilievo e delle possibili conseguenze di questa nostra decisione, vorremmo cogliere questa opportunità per spiegare apertamente e con maggiore dettaglio alcune delle motivazioni che ne sono alla base.

Abbiamo sempre sottolineato che l’attività di ricerca e soccorso (SAR) in mare ha il solo obiettivo di salvare vite in pericolo e che la responsabilità di organizzare e condurre questa attività risiede innanzitutto nelle istituzioni statali. L’impegno di MSF e delle altre organizzazioni umanitarie nelle attività SAR mira anzitutto a colmare un vuoto di responsabilità lasciato dai governi: auspichiamo che questo vuoto sia solo temporaneo e da tempo chiediamo agli Stati membri UE di creare un meccanismo dedicato e proattivo diricerca e soccorso che integri gli sforzi compiuti dalle autorità italiane. Dal nostro punto di vista, il Codice di Condotta non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio in mare, non riconosce il ruolo di supplenza svolto dalle organizzazioni umanitarie e soprattutto non si propone di introdurre misure specifiche orientate in primo luogo a rafforzare il sistema di ricerca e soccorso.

Al contrario, riteniamo che per la formulazione ancora poco chiara di alcune parti, il Codice rischi nella sua attuazione pratica di contribuire a ridurre l’efficienza e la capacità di quel sistema. Ci riferiamo in modo specifico all’impegno richiesto alle navi di soccorso di concludere la loro operazione provvedendo allo sbarco dei naufraghi nel porto sicuro di destinazione, invece che attraverso il loro trasbordo su altre navi. Fatte salve le circostanze straordinarie indicate nel Codice, questa modalità di organizzazione delle operazioni riduce la presenza di assetti navali nell’area SAR e comporta aggravi non necessari alle navi di soccorso non predisposte per operare regolarmente i trasferimenti a terra delle persone. Nell’esperienza degli ultimi due anni, le navi più piccole hanno spesso fornito un contributo essenziale alle operazioni SAR, stabilizzando i barconi in difficoltà in attesa che navi più grandi provvedessero al soccorso e all’imbarco dei naufraghi. Le nostre unità navali sono molto spesso sopraffatte dall’elevato numero di barconi che si trovano contemporaneamente in stato di difficoltà, e la vita e la morte in mare è una questione di minuti. Il Codice di Condotta mette a rischio questa fragile equazione di collaborazione tra diverse navi con diverse capacità, comportando il rischio effettivo che le navi più piccole siano costrette ad abbandonare frequentemente la zona di ricerca e soccorso e, nel medio periodo, addirittura a cessare di operare.

Il Codice sembra poi ricercare il coinvolgimento di altri governi nel meccanismo di soccorso in mare, in particolare per l’impegno a informare immediatamente le autorità dello Stato di bandiera e a coinvolgere l’MRCC più vicino alla zona in cui si verifica un evento SAR. Fino ad oggi abbiamo lavorato sotto l’esclusivo coordinamento dell’MRCC di Roma, riconoscendo in ogni circostanza la più assoluta efficienza e dedizione. Abbiamo richiesto garanzie che l’obbligo di coinvolgere altri MRCC non avrebbe comportato rallentamenti nelle operazioni di soccorso e nella determinazione del luogo sicuro in base agli accordi internazionali. I cambiamenti apportati a questo impegno nella versione definitiva del Codice non rispondono sufficientemente a questa richiesta e poiché la non chiara assegnazione delle responsabilità tra gli MRCC attivi nell’area ha in passato provocato tragedie, questa rimane per MSF una preoccupazione cruciale.

Abbiamo infine esaminato le disposizioni del Codice alla luce dei nostri principi umanitari di indipendenza, imparzialità e neutralità. La presenza a bordo di funzionari di polizia armati è contraria alla politica “no- weapons” che applichiamo rigorosamente in tutti i nostri progetti nel mondo. È per noi anche una questione di sicurezza e per questa ragione ne richiediamo il rispetto sia agli eserciti e alle forze di polizia che ai gruppi armati e alle milizie di ogni tipo. Mentre la nuova versione del Codice garantisce che le attività umanitarie non saranno ostacolate dalla presenza di funzionari di polizia a bordo delle nostre navi, si richiede ancora alle nostre équipe di contribuire attivamente alla raccolta di elementi utili ad attività di polizia e investigative, e questo costituisce una distorsione sostanziale della nostra missione. Il Codice non fa poi alcun riferimento ai principi umanitari e alla necessità di mantenere la più assoluta distinzione tra le attività di polizia e repressione delle organizzazioni criminali e l’azione umanitaria, che non può essere che autonoma e indipendente.

Il rigoroso rispetto dei principi umanitari riconosciuti a livello internazionale è per noi un presupposto irrinunciabile. Essi rappresentano la sola garanzia di poter accedere, quasi ovunque nel mondo, alle popolazioni in stato di maggiore necessità, assicurando allo stesso tempo ai nostri operatori un sufficiente livello di sicurezza. Ogni compromesso su questi principi è potenzialmente in grado di ridurre la percezione di MSF come organizzazione medico‐umanitaria effettivamente indipendente e imparziale.

Siamo più che convinti che di fronte a queste motivazioni, così vitali per un’organizzazione come la nostra, anche lei comprenderà la responsabilità della posizione netta e rigorosa che abbiamo scelto di assumere, in una circostanza in cui è elevato il rischio che venga fraintesa o male interpretata dalle autorità e dall’opinione pubblica. Non è la prima volta che ci accade, temiamo non sarà l’ultima.

A queste osservazioni si aggiungono le preoccupazioni che già abbiamo condiviso con lei sulla drammatica situazione in Libia. Le persone di cui ci prendiamo cura nei centri di detenzione intorno a Tripoli e quelle che soccorriamo in mare condividono le stesse vicende di violenza e trattamenti disumani. Le strategie messe in atto dalle autorità italiane ed europee per contenere le partenze dalle coste libiche sono, nelle circostanze attuali, estremamente preoccupanti. La Libia non è un posto sicuro dove riportare le persone in fuga, né dal territorio europeo né dal mare. Ovviamente le attività di ricerca e soccorso non costituiscono la soluzione per affrontare i problemi causati dai viaggi sui barconi e le morti in mare, ma sono necessarie in assenza di qualunque altra alternativa sicura perché le persone possano trovare sicurezza. Contenere l’ultima e unica via di fuga dallo sfruttamento e dalla violenza non è dal nostro punto di vista accettabile. Anche per questa ragione, il recente annuncio dell’operazione militare italiana nelle acque libiche costituisce un elemento di ulteriore preoccupazione che ci ha confermato la necessità di segnare l’assoluta indipendenza delle nostre attività di soccorso in mare dagli obiettivi militari e di sicurezza.

Nel comunicare la nostra impossibilità a sottoscrivere il Codice di Condotta nell’attuale formulazione, intendiamo confermare pubblicamente che tutte le operazioni di MSF in mare si sono sempre svolte sotto il coordinamento dell’MRCC e in piena conformità alle norme vigenti, nazionali e internazionali. Allo stesso tempo comunichiamo la nostra intenzione di continuare a rispettare quelle disposizioni del Codice che non sono contrarie ai punti sopra illustrati, tra cui quelle relative alle capacità tecniche, alla trasparenza finanziaria, all’uso dei trasponder e dei segnali luminosi. Confermiamo inoltre l’impegno a coordinare ogni nostra iniziativa con l’MRCC e anche a garantire l’accesso a bordo di funzionari di polizia giudiziaria, secondo quanto sopra espresso, così come la collaborazione costruttiva con le autorità italiane, nel pieno rispetto degli obblighi di legge.

Nel restare a completa disposizione per discutere con maggiore dettaglio la nostra decisione, le confermo la volontà di MSF di proseguire la collaborazione con il suo Ministero per contribuire a migliorare il coordinamento e l’efficacia delle operazioni di ricerca e soccorso in mare.

In fede,

Gabriele Eminente

Direttore Generale Medici Senza Frontiere Italia

31 Luglio 2017

 

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