“Ci sono dei passaggi in questa vicenda che non mi convincono. Si spara a uno che va a prendere lamiere abbandonate? Probabilmente lì c’era qualcosa che non si voleva che si scoprisse”. Ad affermarlo non è la redazione di Contropiano (che questo dubbio lo ha espresso da subito), ma il procuratore di Cosenza, Mario Spagnuolo, che ha condotto l’inchiesta sulla Fornace Tranquilla, il luogo dove sabato è stato ucciso Sacko Soumayla, bracciante e attivista sindacale dell’Usb, mentre insieme ad altri due braccianti stava cercando di recuperare un po’ di lamiere per farne il tetto di una baracca nella vicina favelas di San Ferdinando.
Per il suo omicidio c’è stato un arresto, quello di Antonio Pontoriero, agricoltore della zona ma anche parente dei proprietari di quella fornace abbandonata diventata una discarica illegale di rifiuti tossici al centro di una inchiesta che rischia di finire in prescrizione.
L’inchiesta sui rifiuti tossici nascosti e stoccati dentro la Fornace Tranquilla, aveva due destinatari, “il titolare della fornace e soprattutto i vertici dell’Enel che avevano messo in piedi tutto il ‘giochetto’ dello smaltimento di quella robaccia” dice ancora il procuratore Spagnuolo in una intervista su L’Avvenire. In quella fornace abbandonata c’è il più grosso deposito di vanadio d’Europa. Il vanadio è cancerogeno, e che c’erano tante altre sostanze pericolose. Si tratta in gran parte di rifiuti delle centrali Enel della Puglia e della Sicilia. Ma chi sono i proprietari della Fornace Tranquilla che qualcuno ha pensato di difendere a fucilate ammazzando Soumayla? “Intanto precisiamo che non lo sono più perché la società è fallita” afferma il dott. Spagnuolo, “Noi non li avevamo inquadrati come mafiosi. Non erano segnalati, ma tenga presente che San Calogero è una zona ad altissima densità mafiosa. Clan Mancuso, ma non solo loro. Purtroppo ci sono più consorterie mafiose che cristiani”.
L’omicidio di Soumayla infatti non è il primo morto intorno alla vicenda della Fornace Tranquilla. Un altro elemento da chiarire è quello legato alla morte di Antonio Romeo, proprietario della fornace in questione. Romeo era stato trovato cadavere in circostanze che gli inquirenti hanno ritenuto “a dir poco misteriose” all’interno della propria macchina.
Secondo gli investigatori, il mezzo sarebbe stato fatto precipitare volutamente dalla strada provinciale per Nicotera nella zona di Coccorino. Un omicidio più che un incidente. Quando venne trovato il cadavere di Antonio Romeo, l’uomo risultava svestito ma con la maglia che gli copriva la testa. Secondo il rapporto della Guardia di Finanza che indagava sui rifiuti tossici nella fornace, sarebbe il segnale usato dalle ‘ndrine per punire chi “ha visto troppo e non doveva vedere”.
Dopo la morte di Antonio Romeo l’azienda era passata nelle mani di Giuseppe Romeo e del figlio Stefano. Il primo venne tratto in arresto nel novembre 2009 perché, secondo gli inquirenti, aveva attestato falsamente, insieme con altre persone, il recupero mai avvenuto dei rifiuti pericolosi che, di volta in volta, venivano inviati a San Calogero a ridosso di coltivazioni ad agrumi dove venivano interrati. Le indagini hanno consentito di individuare specifiche responsabilità dei membri dell’associazione a delinquere dedita al traffico e allo smaltimento di rifiuti tossici accertando il contestuale coinvolgimento di varie società, calabresi e pugliesi, che si erano aggiudicate contratti per il trasporto, il recupero e lo smaltimento di fanghi “altamente inquinanti e pericolosi”, di derivazione industriale (risultati essere composti da alte percentuali di nichel–vanadio) per importi di svariati milioni di euro, stipulati con una società nazionale leader nella produzione di energia elettrica, ossia l’Enel.
Sembra che Antonio Pontoriero, l’accusato dell’omicidio di Soumayla Sacko, nutrisse l’aspirazione a ridiventare proprietario della fornace sequestrata dal 2011 nel quadro dell’operazione “Poison” (veleno) delle procure di Vibo Valentia e di Brindisi. Soprattutto contando sulla prescrizione in cui stanno andando i reati che riguardano il traffico di rifiuti tossici intorno alla Fornace Tranquilla. Un posto che, al di là del nome, sembra essere uno di quei luoghi “proibiti” in cui non bisogna mettere il naso, neanche per recuperare un po’ di materiale di scarto.
Ma questi “non luoghi” da rendere invisibili, sono anche le baraccopoli in cui sono costretti a vivere i braccianti, in gran parte migranti, e le loro condizioni di lavoro che rasentano la schiavitù. Tutti sanno ma nessuno sa, tutti vedono ma nessuno interviene. Solo il sindacato, in questo caso l’Usb, si è posto il problema di organizzare e dare dignità e visibilità ai dannati della terra che sono alla base dello sfruttamento nella filiera della grande distribuzione che arriva poi sulla nostre tavole come nelle nostre case (vedi l’inchiesta sullo sfruttamento dei lavoratori nelle cooperative della logistica per la Leroy Merlin, anche loro immigrati). Impossibile dimenticare che questo affrontamento aperto contro sfruttamento e neoschiavismo sul lavoro, in particolare dei lavoratori immigrati, ha già visto un altro sindacalista ucciso e proprio nel settore della logistica, del tutto speculare e connesso alla filiera della grande distribuzione: Abd el Salam, insegnante ma operaio immigrato dall’Egitto e delegato sindacale dell’Usb.
E’ questa realtà nascosta, omessa, strumentalizzata, agevolata, voluta che va portata alla luce in tutta la sua pienezza. “Prima gli sfruttati!”, è questo il grido di verità e giustizia che verrà portato in piazza a Roma il 16 giugno e nelle campagne calabresi il 22 giugno.
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