Intervista a Non Una Di Meno Genova
Abbiamo intervistato Non Una Di Meno – Genova riguardo ad un ampio spettro di nodi su cui questa esperienza – sempre più radicata e consolidata nel panorama politico cittadino – sta portando avanti un prezioso lavoro di intervento. Le domande di questa intervista collettiva riguardano la difesa dei consultori pubblici, il significato che assume quest’anno il “Pride” del 16 giugno nel capoluogo ligure, l’attacco alla Legge 194, i tagli al welfare che colpiscono in dose maggiore le fasce più deboli della popolazione femminile, l’attività con le donne migranti a Ventimiglia e la manifestazione che si terrà in questo comune ”di confine” il 14 luglio. Qui l’intervista precedente: “Di nuovo Marea. L’8 marzo di Non Una Di Meno a Genova” https://contropiano.org/news/politica-news/2018/03/08/di-nuovo-marea-l8-marzo-di-non-una-di-meno-a-genova-0101606
Una delle attività su cui si sta concentrando Nudm a Genova è la lotta in difesa dei Consultori Pubblici che la Regione vorrebbe radicalmente trasformare. Le iniziative che state conducendo sono situate su differenti piani, e cercano di coinvolgere chi vive i Consultori e chi ci lavora. Potete fare una panoramica delle iniziative svolte e come si inserisce lo sciopero del 20/6?
La difesa dei Consultori è un tema centrale per Nudm: la legge 405 istitutiva dei consultori è nata dalle lotte femministe sull’autodeterminazione e dalla esperienza dei consultori autogestiti. Il femminismo ha saputo incidere sulle scelte di politica sanitaria e sociale, affermando che le donne non sono l’oggetto passivo dell’azione medica: siamo state soggetti politicamente attivi e abbiamo interrogato la scienza e il potere sulle loro responsabilità mettendo in questione la loro presunta neutralità.
Genova è stata una delle prime città italiane ad applicare la legge 405: negli anni ’70, il Comune in collaborazione con la Provincia e l’Università, istituisce i Consultori Pubblici, che rappresentano da subito un servizio assolutamente innovativo i cui capisaldi sono accesso libero, prevenzione e gratuità e il cui compito prioritario è quello di occuparsi della donna come soggetto, nella sua globalità di persona. Da qui la necessità di dotarsi di équipe realmente multidisciplinari dove operatori e operatrici di ginecologia, pediatria, neuropsichiatria infantile, psicologia hanno potuto elaborare una peculiare cultura consultoriale basata sul lavoro in équipe e sulla condivisione delle diverse competenze, finalizzata alla promozione della salute della persona e perciò capace di rispondere ai bisogni in continuo cambiamento dell’utenza.
Negli ultimi anni il servizio consultoriale è stato progressivamente svuotato e impoverito, privilegiando scelte politiche orientate a una visione sanitaria “ospedalocentrica”, che ha tolto risorse ai servizi territoriali. Al blocco del turnover, alla presenza non continuativa delle diverse figure professionali nei diversi presìdi territoriali, agli accorpamenti dei medesimi, oggi la Regione ha aggiunto il declassamento dei consultori da struttura complessa a struttura semplice: una operazione che, presentata come riorganizzazione e razionalizzazione delle risorse, promuove lo smantellamento di una esperienza unica in tutto il panorama sanitario italiano e la trasformazione di fatto dei Consultori genovesi da servizio capace di andare verso il territorio e costruirsi in rapporto ad esso ad erogatore di singole prestazioni ambulatoriali.
Nudm Genova ha risposto a questo attacco contrapponendo al concetto di salute come stato di benessere e assenza di malattia, l’idea di salute come benessere psichico, fisico, sessuale e sociale, come espressione della libertà di autodeterminazione.
Se i consultori pubblici devono essere ripensati, in funzione dei cambiamenti della società, va valorizzata la loro storia di luoghi delle donne per le donne; i consultori devono poter garantire l’accesso alla contraccezione gratuita, svolgere l’educazione sessuale e l’educazione all’affettività nelle scuole di ogni ordine e grado, promuovere una condivisione di saperi anche in relazione alle pratiche non riproduttive, garantire il rispetto della L.194, prevedere il ricorso all’aborto farmacologico, contrastare discriminazioni etero-normate e violenza di genere.
Lo scorso marzo abbiamo promosso una assemblea cittadina al teatro degli Zingari, che ha visto la partecipazione di numerosi genovesi, operatrici e operatori dei Consultori ASL, associazioni di volontariato, sindacati di base, ordini professionali; abbiamo condiviso i nostri contenuti in un partecipato dibattito e da più parti sono state espresse le richieste di riqualificazione, potenziamento e rifinanziamento del servizio che ne garantiscano, con il rispetto del rapporto tra numero di consultori e numero di abitanti sul territorio urbano ed extraurbano, l’accessibilità, la gratuità, la multidisciplinarietà. A partire da questa iniziativa abbiamo raccolto e pubblicato sui social testimonianze di donne che in fasi diverse della loro vita hanno usato e usano gli spazi consultoriali, condividendo con altre riflessioni e saperi e costruendo reti di solidarietà, di welfare e partecipazione; abbiamo organizzato davanti ai consultori presidi informativi che hanno preparato e poi proseguito la manifestazione di aprile Consultori in piazza, informando e raccogliendo moltissime firme di cittadine e cittadini contrari alla riorganizzazione imposta da A.li.sa.
Parallelamente abbiamo richiesto e ottenuto di essere audite dalla Commissione salute della Regione, coinvolgendo in questa iniziativa numerose realtà associative genovesi, i sindacati e gli ordini professionali. La partecipazione di tante realtà diverse che, tutte, hanno chiesto la sospensione del provvedimento della Regione, ha reso evidente l’esigenza di ripensarne il contenuto mettendone in discussione obiettivi e metodi. Se questo non avverrà nelle sedi istituzionali, il 20 giugno saremo accanto alle lavoratrici e ai lavoratori in sciopero e continueremo la mobilitazione, promuovendo la discussione nelle piazze, nelle scuole e nei luoghi di lavoro per ribadire la volontà comune di non disperdere il patrimonio di multidisciplinarietà, di promozione della salute e del benessere, di accoglienza e prossimità rappresentato ancora oggi dai consultori pubblici.
Il sindaco Bucci ha tolto il patrocinio del comune al “Pride” che si svolgerà per le strade di Genova sabato 16 giugno. Che rilevanza ha per voi questa manifestazione alla luce del sempre più smaccato posizionamento dell’amministrazione comunale genovese in materia di diritti individuali e di autodeterminazione della donna?
Una delle peculiarità del Liguria Pride è di essere nato con la collaborazione di una parte di femministe genovesi che nel 2014 sono state tra le fondatrici e i fondatori del Coordinamento Liguria Rainbow, soggetto che organizza il Pride a Genova. Fin dai suoi inizi è stato posto al centro del confronto politico l’intreccio tra sessismo e omofobia, un dibattito ma anche un reciproco conoscersi, e riconoscere così ciascuno/a i propri limiti e stereotipi o rigidità politiche. Abbiamo lavorato sul linguaggio, sapendo che è alle parole che si appendono i pensieri, che quindi le parole costruiscono una visione del mondo al di là della nostra piena consapevolezza e controllo. Una sorta di formazione e autoformazione per il superamento del sessismo della lingua italiana, utile e applicabile anche per una comunicazione non omofoba. E’ diventato sempre più evidente il parallelismo tra le due forme di oppressione, o meglio la radice della cultura misogina e la conseguente discriminazione delle persone lgbti, un mondo non esente da misoginia e sessismo, come del resto è nota la capacità femminile di riprodurre la cultura patriarcale, forme diverse di complicità che rendono il pensiero dominante così difficile da sradicare.
In questo percorso l’attacco forte delle destre alla libertà femminile ha prodotto un terreno di resistenza comune, un’alleanza politica che ha permesso di prendere parola fuori dal minoritarismo della comunità lgbti. È così che Stefano ed Ilaria di Famiglie Arcobaleno hanno avuto titolo per parlare durante la manifestazione organizzata da Nudm per la 194 e contro il manifesto di Provita; è così che molti componenti del Coordinamento sono stati presenti alle iniziative contro la violenza maschile; che è stata costruita con Scosse la giornata sulla formazione Che genere di scuola; che tutte le associazioni del Coordinamento nel 2016 sono intervenute contro il progetto regionale di legge per la famiglia; è così che alcune di noi, pur essendo etero, possono parlare, a nome del Coordinamento, di diritti lgbti. Sappiamo che c’è bisogno del sostegno reciproco, di buone pratiche, di una visione ampia e più articolata per prospettare il cambiamento, il superamento di paure e pregiudizi cioè, in sintesi, il superamento del patriarcato. Un patriarcato che erroneamente avevamo dato per morente ma che adesso ritorna più aggressivo che mai. E a farne le spese oltre alla comunità lgbti c’è la metà femminile della popolazione, insieme non siamo minoranza.
La critica di Nudm alla ideologia illiberale e familista sostenuta da Bucci e da Toti trova rispondenza nei temi del Pride: il patrocinio del resto è stato negato anche perché le istanze lgbti “non rientrano nelle politiche sociali della Regione”.
Nudm Genova ha tra le proprie fila alcune di quelle compagne impegnate nel Coordinamento Liguria Rainbow, esiste perciò non solo un ponte di scambio di informazioni, ma la possibilità di contaminazione e azione comune. Questo anno non a caso il 16 giugno faremo un carro insieme alle compagne di Lesboeventi. Sarà occasione di incontro tra modalità differenti di visibilità e di espressione, non banalmente facile e scontato solo perché i nostri corpi sono simili. Un banco di prova per riportare nella concretezza delle relazioni, della vicinanza dei corpi e delle voci, della libertà di essere libere ciascuna con la propria identità, quanto è scritto nel Piano Femminista. Una sorellanza dichiarata a parole, che deve farsi corpo al di là dei richiami ideologici; una solidarietà che deve superare reciproche diffidenze, dal momento che nella comunità lesbica parole come donna, femminista, lesbica non si coniugano senza inciampi, anzi a volte non si coniugano affatto; una solidarietà che è stata messa in crisi da un pezzo di femminismo e una parte di movimento lesbico che sul tema della gpa hanno costruito muri e rotture, tema sul quale non abbiamo ancora avuto modo di confrontarci con profondità.
Mentre in Irlanda, uno storico referendum ha di fatto introdotto il diritto all’interruzione di gravidanza, la legge 194 in Italia è nuovamente sotto attacco e l’ipotetico orientamento del nuovo governo sembrano non fare pensare ad un cambiamento di rotta. Come si continuerà a muovere NUdM su questo terreno centrale, alla luce del sempre più aperto sdoganamento di forze “anti-abortiste”?
Nel nostro paese quarant’anni dopo la 194/1978 che disciplina l’interruzione volontaria di gravidanza, vediamo ancora tradito il suo senso, snaturata la sua applicazione e temiamo per il suo futuro. Il nuovo ministro della famiglia si esibisce con proposte o posizioni contro l’aborto, ha già dichiarato che per lui la vita comincia dal concepimento e che il concepito dovrà essere riconosciuto come persona sin dal primo istante. Se ne guardano bene dal proporre limitazioni alla 194, ma indubbiamente l’attacco in atto vuole produrre nella opinione pubblica una ‘sanzione morale’ contro le donne che scelgono di interrompere la gravidanza, che anche nei più giovani trova terreno per radicare l’idea della madre cattiva, della donna egoista e assassina. L’aborto come olocausto, prima causa di femminicidio: ipocrisia suprema che reitera una rappresentazione terroristica che persegue l’autocolpevolizzazione delle donne per il controllo dei corpi e delle coscienze. Dobbiamo fare i conti con una “stagione politica e culturale ” che vuole spostare indietro le lancette della storia attaccando la libertà delle donne, le persone lgbti, le/i migranti, i diritti, la laicità dello stato.
Abbiamo lottato per il diritto all’autodeterminazione, per l’interruzione volontaria di gravidanza perché fosse libera e assistita. Ogni giorno proviamo a scegliere nella quotidianità come vivere la nostra libertà, decidendo del nostro corpo, della sessualità e della nostra capacità di generare. La Legge 194, assieme alla 405 istitutiva dei consultori, tutelano la nostra libertà, difendono la salute, mettono a disposizione i metodi più vantaggiosi ed aggiornati per l’ivg, per la contraccezione e le prevenzione. E’ nell’interesse di tutte che i consultori vengano conosciuti proprio per il loro ruolo nella applicazione della 194, è questo che stiamo cercando di fare pur nella difficoltà che questi discorsi trovano all’esterno ad essere recepiti in particolare dalle più giovani, poco interessate al tema della salute e della procreazione proprio perché riguardano fasi della vita percepite come distanti.
Tutto sembra scontato e invariabile, invece l’interruzione volontaria di gravidanza chirurgica in ambiente ospedaliero continua a essere scaricata su pochi ginecologi/ghe che rischiano il burn-out nel corso della loro carriera, assente nel percorso formativo delle/i studenti di medicina e del personale sanitario, sempre più messa a rischio dal crescente numero di obiettori negli ospedali come negli studi privati e pubblici.
Siamo la città con il primato degli aborti con RU486 e anche nella regione Liguria esiste una buona applicazione della 194 attraverso un’organizzazione del lavoro che non riconosce ai medici obiettori di negarsi nel percorso della ivg farmacologica; abbiamo finora goduto della presenza di un osservatorio privilegiato sulla 194 da parte dell’AIED; come abbiamo goduto finora di donne mediche femministe che hanno dato una importante impronta nei servizi e nei reparti dove hanno esercitato ed esercitano la professione (la Casa del Parto, il Centro Fisiopatologia della Riproduzione Umana, i consultori della ASL 3, la Struttura Complessa di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale di Villa Scassi,..). E’ una eredità che dobbiamo continuare a monitorare, perché stanno cambiando non solo i decisori politici – amministrazioni di destra sempre più votate alla privatizzazione della sanità – ma anche le persone e la cultura che in questi anni hanno contribuito a creare.
Siamo determinate a difendere questa eredità e i diritti acquisiti con le lotte degli anni ’70, pensiamo vi siano giovani donne e giovani uomini cittadine/i del mondo e non disponibili a tornare nel medioevo, a destini prestabiliti da modelli rigidi, religiosi, retrogradi. A loro ci rivolgiamo con la campagna #prochoice, per dire che “sul mio corpo decido io”.
Sulla obiezione abbiamo sempre nel cassetto il progetto di smascherarne l’ipocrisia, svelare i nomi degli obiettori, esortare le donne ad essere più informate sui medici a cui affidano una parte così delicata della propria vita, quella sessuale e riproduttiva. Un progetto che già esiste con una piattaforma web per raccogliere notizie e dati (obiezionerespinta.info), ma che richiede un grande sforzo di pubblicizzazione e quindi grosse risorse perché diventi virale.
Nel Piano Femminista abbiamo elencato criticità e desiderata.
La piena applicazione della 194 in tutti gli ospedali
La deospedalizzazione dell’aborto attraverso i consultori pubblici e la RU486
La prescrizione e la vendita gratuita di tutti i dispositivi per la contraccezione
Il rafforzamento dei consultori pubblici
L’educazione alla salute, alla sessualità e all’affettività in tutte le scuole
Un percorso formativo adeguato rivolto alle future mediche/i che preveda l’aggiornamento sulle tecniche abortive, aspetto centrale per la salute e l’autodeterminazione delle donne.
Pur sapendo che con l’attuale governo non ci sono le condizioni per migliorare la legge 194, anzi rischieremmo di vederla massacrata, crediamo che parlare di ciò che vogliamo sia anche una opportunità per conoscere meglio i nostri diritti e la situazione reale nei servizi, nelle scuole, negli ospedali, nei territori; per stimolare il protagonismo politico delle associazioni e delle singole per non subire le scelte delle amministrazioni o del governo; per creare occasioni di ascolto e di presa di coscienza sui propri percorsi di vita, perché le nostre scelte non siano eterodirette, suggerite da modelli dominanti legati agli interessi del mercato, o da pressioni ideologiche della famiglia o dell’ambiente. Non è giusto diventare madri per dare un nipotino ai nonni, né posporre la maternità perché l’azienda lo chiede, come non è giusto rimandare o rinunciare alla maternità perché siamo precarie, sfruttate e mal pagate e perché ancora il lavoro di cura ricade prevalentemente su di noi. Non è giusto non ricorrere alla contraccezione perché Lui non vuole, come è inaccettabile fare sesso senza desiderio e consenso.
Oggi in molti paesi del mondo come Argentina, Cile, Messico, Polonia e Irlanda, le donne reagiscono insieme per rendere visibile la propria indignazione e lottare per scegliere di diventare o non diventare madri, vivere liberamente la propria sessualità e il proprio orientamento sessuale, dare spazio ai propri desideri e progetti di vita; moltissime giovani in prima fila, con i corpi colorati, nudi, vigili e uniti, gioiosi nel ritrovarsi insieme in cori e danze. Il femminismo trova con loro una nuova stagione per germogliare e gettare nuovi semi.
Sembra paradossale, ma le forze che si narrano “per la difesa della famiglia”, sembrano inclini a favorire il welfare privato che azzera le garanzie minime per una serie di servizi essenziali già limitati e costosi come per esempio gli “asili nido”. Come riuscire a sensibilizzare ed intercettare quelle fasce coinvolte da questi tagli, che di fatto vanno a incidere pesantemente soprattutto nelle sacche più deboli della popolazione femminile?
La mobiltazione per la difesa dei Consultori ha dimostrato la capacità di NUDM di creare convergenze su obiettivi comuni. Ha attivato una rete costituita da lavoratori/trici, associazioni, singoli cittadini/e, organizzazioni politiche, sindacati di base. Nel perseguimento dell’obiettivo comune ci siamo mosse da prospettive variegate e raggiunto sensibilità diverse, coniugando le tematiche su cui il femminismo ha prodotto cambiamenti epocali con i bisogni scolastici e riabilitativi di bambini/e e famiglie.
E’ recente la notizia che 7 milioni di Italiani si sono indebitati per pagare le cure mediche.
La lotta per la salvaguardia dei Consultori si colloca nella prospettiva più ampia della lotta politica contro un modello di Sanità che si è andato concretizzando progressivamente negli anni. Una sanità incentrata sul welfare privato e l’esternalizzazione dei servizi, che non si fonda sulla qualità delle prestazioni, ma su un rapporto di convenienza a fini speculativi che ne mercifica le finalità. Se il profitto diventa l’orizzonte entro il quale si muove la Sanità, logica conseguenza sono i tagli di prestazioni e la riduzione dei costi del lavoro. E’ ormai evidente che nei processi di privatizzazione le/i lavoratrici/tori non sono garantiti e vanno incontro a maggior precarietà, ricattabilità e ad una riduzione delle retribuzioni con la sola eccezione delle figure apicali. Questa involuzione è perfettamente rispondente ad un modello sociale e politico neoliberista a cui NUDM non può che opporsi.
Nonostante la profonda frammentazione sociale e la difficoltà a connettere le lotte che si sviluppano nell’ambito di diverse forme di povertà e sfruttamento, le pratiche impiegate che hanno previsto la presenza costante sul territorio e la capacità di costruire un dialogo con soggetti molto diversi tra loro, si sono dimostrate positive.
Si può affermare che volantinaggi e raccolta firme hanno raggiunto un discreto numero di persone, che hanno firmato e dimostrato indignazione, ma per essere incisivi è fondamentale allargare la base di coinvolgimento. Sulla necessità concreta di avere consultori accoglienti, gratuiti e pubblici bisogna costruire solidarietà e partecipazione, a partire dalla riappropriazione dello spazio pubblico con iniziative di piazza e presidi. E da qui occorre partire per essere pronte ad affrontare una fase caratterizzata dall’accentuazione di politiche reazionarie, classiste e discriminatorie per donne, migranti, persone LGBTQI e per tutte le fasce più deboli della popolazione. Unire le forze è indispensabile anche per arrivare a parlare con sempre più persone: nei quartieri, nelle scuole, nei luoghi di lavoro. Ora più che mai la reazione può venire solo da un fronte ampio in grado di contrastare pericolose derive. Un fronte che va costruito, individuando con i diversi soggetti interessati obiettivi comuni. Un fronte che parte dai Consultori e che va oltre per rivendicare un welfare pubblico e gratuito che garantisca alle donne e alle persone LGBTQI i servizi indispensabili per la realizzazione di una reale parità di genere.
Tutto questo è ben evidenziato dal Piano Femminista Antiviolenza, nella parte che riguarda la violenza economica e il welfare, perché in un quadro di questo tipo le donne continueranno a pagare il prezzo più caro.
Di fonte ad una politica di destra di stampo fascista, xenofoba e sessista, il fronte di opposizione deve essere il più ampio possibile, antifascista, anticapitalista, femminista.
Una ultima domanda concerne la condizione delle donne migranti che vivono una situazione di estrema precarietà al confine tra l’Italia e la Francia, su cui state intervenendo. Come si inserisce la manifestazione del 14 luglio a Ventimiglia all’interno del vostro percorso?
Le donne che migrano vivono spesso doppiamente la violenza del confine: in quanto migranti e in quanto donne. Dal loro paese di origine, alla Libia, all’Italia la violenza patriarcale è una costante del loro viaggio. Le donne vanno via dai loro paesi per sottrarsi a imposizioni violente, le affrontano nel corso del viaggio e ci fanno i conti in Europa. A Ventimiglia, ma non solo, le donne in transito non hanno accesso alla prevenzione delle gravidanze indesiderate e delle malattie sessualmente trasmissibili, non possono richiedere in tempi utili un’interruzione volontaria di gravidanza; le condizioni in cui vengono “accolte” sono insicure e non le tutelano dal rischio di diventare “merce di scambio”, entrando nella rete della tratta che nutre il mercato della prostituzione.
Siamo presenti a Ventimiglia dall’agosto 2017 e da qualche mese stiamo portando avanti all’interno dell’infopoint Eufemia uno spazio dedicato alle donne e alle/ai bambine/i. E’ un luogo di incontro e relax, ma anche uno strumento per sostenere e promuovere l’autodeterminazione rispetto al viaggio e alla propria vita. Cerchiamo di facilitare l’accesso ai servizi del territorio (consultorio in primis) lavorando insieme alle altre realtà di solidali presenti a Ventimiglia e pensiamo insieme alle donne in transito delle attività che possono essere utili in base a quello che sono le loro prospettive e decisioni.
L’incontro tra donne, siano esse autoctone o migranti, è di fatto la pratica che ci guida in questa attività come nelle altre: riconosciamo nelle scelte delle donne migranti il risultato di processi di autodeterminazione (sottrarsi alla violenza economica, ambientale, sessista) che mettono in discussione l’ordine patriarcale. Siamo inoltre consapevoli che la libertà di migrare e la lotta al razzismo istituzionale e sociale riguardano la vita di tutte le soggettività: le straniere, le povere, le lesbiche, le transessuali, le dissidenti…
Abbiamo lavorato fin dall’inizio del 2018, insieme a progetto 20k, per una mobilitazione a Ventimiglia: essa è per noi un modo, non più rimandabile, per rivendicare la libertà di movimento per tutte e tutti reclamando un permesso di soggiorno europeo; per affermare l’esistenza e la determinazione delle istanze solidali femministe antirazziste e antiliberiste che ancora esistono nel nostro paese; per mettere in luce quali siano le reali condizioni in cui le donne migrano e quanto le forze dell’ordine e le istituzioni siano corresponsabli e conniventi con le violenze che subiscono; per riprenderci per un giorno lo spazio cittadino in un luogo nel quale le persone, migranti e solidali, sono percepite come “feccia” da allontanare.
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