In caso di un referendum in Italia come quello sulla Brexit, solo il 44% degli italiani voterebbe per rimanere nella Ue, contro una media europea del 66%. Nel 2005, in un analogo sondaggio, per rimanere nella Ue erano il 54%, si tratta di ben dieci punti in meno. Quello italiano è il dato peggiore dei 28 paesi aderenti all’Unione Europea, anche a paragone dei britannici dove, due anni dopo la Brexit, oggi il 53% si esprime per il ‘remain’. A rivelarlo è un sondaggio Eurobarometro in base al quale la percentuale degli indecisi sul fatto che l’Unione Europea sia positiva o negativa in Italia è salita al 32%, la più alta nella Ue.
Da questi dati si capisce il senso, la credibilità e l’importanza della campagna in corso per una proposta di legge che consenta un referendum sull’adesione o meno dell’Italia ai Trattati dell’Unione Europea promossa dalla Piattaforma Eurostop. Un ampio dibattito pubblico e un pronunciamento democratico della società, fino ad oggi impedito in Italia e in pochi altri paesi europei dove è consentita solo la ratifica parlamentare, avrebbe un fortissimo significato politico, spuntando le unghie agli euroliberisti “di destra e di sinistra” ma anche agli euronazionalisti di destra, entrambi subalterni ad un assetto strategico sull’Europa funzionale solo alle banche e alle multinazionali. Ci sarebbero cioè le condizioni per far emergere una posizione di classe e indipendente contro la gabbia dell’Unione Europea e rimettere in campo una ipotesi di cambiamento dell’esistente, una ipotesi confinata da troppo tempo nel passato remoto, anche e soprattutto dalla “sinistra”.
A preoccupare la popolazione italiana non sembra essere tanto l’euro. La moneta unica, vede la maggioranza degli italiani (il 65%) ancora favorevole all’euro. Ciò che è in crisi in questo momento è l’appartenenza “politica” ed economica all’Unione europea. Ancora presto per parlare di spinta impetuosa all’ Italexit, perché la percentuale di indecisi è molto alta, ovvero il 32%, ma il segnale di una crisi evidente nell’incantesimo raccontatoci sui benefici dell’Unione Europea si è ormai rotto, perché gli italiani – a differenza di un passato di euroentusiasmo – sono i meno convinti che il proprio Paese abbia tratto benefici dall’appartenenza alla Ue.
Nel 2017, un analogo sondaggio dell’Eurobarometro rilevava che in Italia i dati erano particolarmente sconfortanti proprio sul piano dei benefici percepiti dall’adesione alla Ue per l’economia. Solo il 19% degli italiani riteneva che questa contribuisca alla crescita economica contro una media europea del 36%. Solo il 12% degli italiani – secondo Eurobarometro – sosteneva che l’Ue abbia migliorato gli standard di vita contro il 19% della media europea. Gli italiani che ritenevano che la propria voce “abbia un peso” nell’Ue erano appena il 28% contro il 47% della media europea.
Se andiamo ancora più indietro, nel 2005, un sondaggio Eurobarometro indicava il 56% del campione italiano riteneva allora che per l’Italia far parte dell’Ue fosse un bene (con una media Ue che si attestava al 54%). Solo il 16% del campione italiano pensava che fosse un male (media Ue 15%), mentre per il 24% degli intervistati italiani l’Unione Europea non era né un bene né un male.
Rispetto ai dati registrati nell’autunno del 2004, Eurobarometro registrava però un’ulteriore diminuzione, anche se meno marcata, della percentuale di intervistati che valutava positivamente l’appartenenza all’Unione europea, che nella precedente edizione era al 57%. Gli indecisi, per i quali far parte dell’Ue non è né negativo né positivo, erano passati dal 26% al 24%, oggi sono il 32%
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