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Milano-Cortina 2026, un’”opportunità imperdibile”. Le Olimpiadi come ipoteca

Lunedì mattina il consiglio comunale di Calgary si è espresso unanimemente per formalizzare il ritiro della candidatura della città canadese ad ospitare le Olimpiadi invernali del 2026. La decisione è maturata in seguito ad un referendum non vincolante che lo scorso 13 novembre ha visto oltre 300 mila cittadini recarsi alle urne per esprimersi sulla questione. Il 56% dei votanti ha bocciato la proposta, e il sindaco stesso della città, convinto promotore del sì, si è trovato costretto ad ammettere come di fronte a un’affluenza tanto alta e ad un voto tanto chiaro non avesse più senso proseguire il discorso olimpico né per il 2026 né per l’edizione ventura del 2030.

Il comitato per il no ha costruito una campagna estremamente semplice, ma efficace, evidenziando quanto dal punto di vista mediatico e politico le Olimpiadi avrebbero distratto la municipalità dall’affrontare i veri problemi dei cittadini, in particolare modo aggravando la questione ambientale e quella abitativa, e divergendo risorse necessarie al sistema sanitario e alla lotta alla povertà crescente.

Nelle previsioni del comune inoltre l’impresa olimpica sarebbe stata in buona parte finanziata da un rialzo di 25 dollari annui delle imposte a carico di ogni famiglia per i seguenti 25 anni. Il comitato per il no da questo punto di vista si è limitato ad evidenziare come questo rincaro potesse divenire ben maggiore, benché già deprecabile, considerando che, soltanto nella fase di valutazione dell’opportunità o meno di presentare la candidatura, i costi avevano sforato il budget per questa fase iniziale del 600%.

Non è certo la prima volta che negli ultimi 5 anni una città si esprime con decisione contro le Olimpiadi, già Innsbruck, Amburgo, Budapest, Cracovia, Monaco e infine Sion, soltanto quest’estate, hanno con forza dato la stessa risposta al Comitato Olimpico Internazionale: NO.

Che le Olimpiadi siano oggi un problema per le comunità locali non è più una sorpresa, dal 1968 a oggi nessuna città ha rispettato in termini di costi il budget previsionale, Tokyo ha rivisto al rialzo il proprio budget per i giochi del 2020 dai 7,3 miliardi iniziali ai 30 miliardi di dollari attuali, Sochi nel 2018 superò il proprio budget del 280%, e procedendo a ritroso di storie virtuose non se ne trovano. La corruzione e la speculazione, così come la devastazione sociale e ambientale di cui le olimpiadi si accompagnano sono ormai temi riconosciuti dall’opinione pubblica internazionale, tanto che il Guardian e il New York Times trovano quasi comiche le analisi costi-benefici (sempre favorevoli e sempre smentite) prodotte per le varie città da compagnie di consulenza private fortemente interessate all’organizzazione dell’evento, e parlano della corsa alle olimpiadi come della competizione che nessuno vuole vincere.

Quali notizie dall’Italia?

Tra tutti i quotidiani che commentano i risultati di Calgary è impossibile trovare un’analisi del risultato, tutto ciò che si può leggere è l’unanime riconoscimento dell’opportunità che le nostre città si trovano nelle mani in seguito alla grande ondata di defezioni.

Zaia, Fontana, Salvini e Sala esultano in silenzio del ritiro dell’ennesimo concorrente, e invitano a non abbassare la guardia perché la partita non è ancora vinta, sorprendentemente – possiamo dire – resta ancora un avversario, e possiamo solo immaginare come i nostri rappresentanti si sfreghino le mani di fronte ai recenti tentennamenti di Stoccolma, ultima alternativa a Milano-Cortina per i prossimi  giochi del 2026.

La nostra “classe dirigente” invece che interrogarsi sull’organizzazione di quello che dovrebbe essere un preventivo imprescindibile passaggio popolare, di fronte a un’impresa che inciderà così pesantemente e negativamente sulla vita di tanti cittadini, mette in ghiaccio lo champagne per festeggiare una vittoria in una competizione senza avversari.

Ma in che modo l’organizzazione di un ennesimo grande evento è un’opportunità per il nostro paese?

Sono ancora freschi nella memoria dei cittadini romani gli incalcolabili costi che la città ha dovuto sopportare per ospitare i mondiali di nuoto 2009, la ormai celeberrima Vela di Calatrava, ancora incompiuta, costata al comune oltre 660 milioni di euro a fronte di un budget iniziale di 60, resta un monumento allo spreco. Di certo più virtuosa non è stata Torino nella valorizzazione degli impianti costruiti in occasione delle olimpiadi del 2006. Le strutture, vendute a pezzi quando non semplicemente dimenticate, offrono oggi dimora a degrado e criminalità come ci ricordano i membri del comitato NoTav. Le piste di Cesana Pariol (78 milioni), Pragelato (54 milioni) e di San Sicario (25 milioni) hanno imposto il disboscamento e la cementificazione di intere montagne e sono oggi abbandonate così come i resti del villaggio olimpico (145 milioni), il Jumping Hotel e tanti altri impianti.

Non è certo un caso che il Movimento 5 stelle proprio facendosi paladino della guerra alle grandi opere abbia ottenuto storiche vittorie nei comuni di Roma e Torino, dove, in particolare modo, il movimento NoTav è riuscito a racchiudere attorno a sé una vera e propria campagna di resistenza culturale a questo tipo di politiche capitalistiche così dannose per le comunità locali.

I 5 stelle tanto opportunisticamente hanno saputo intestarsi politicamente queste lotte popolari da movimento anti-sistema quanto oggi, altrettanto opportunisticamente da forza di governo, sono pronti a voltar loro le spalle per piegare la testa di fronte alle lusinghe o ai diktat del capitale.

Un caso emblematico di questa rinuncia è quello della capitale dove il presidente dell’A.S. Roma Pallotta,  forte delle proprie promesse di investimenti in uno stadio sportivo e nella riqualificazione di una zona alluvionata, può permettersi di minacciare i tifosi e ricattare il comune per ottenere l’autorizzazione a edificare 1 milione di metri cubi di torri alte fin oltre i 100 metri (per lo più terziario-direzionali o residenze di lusso). Le battaglie NoTap e NoTav ricordano purtroppo da troppo vicino la questione dello stadio romano, prima fieramente osteggiato poi accettato come investimento improvvisamente imprescindibile, e poco importa dei danni ambientali, dei costi sociali o della corruzione che queste imprese portano con sé, una volta al potere i 5s hanno preferito piegarsi piuttosto che andare a rottura con i poteri forti.

Milano città vetrina, più opaca che pulita

A Milano una consultazione popolare è ritenuta tanto superflua da non essere presa nemmeno in considerazione. Sì perché a Milano va tutto bene, l’economia gira, questo ci viene ripetuto fino allo sfinimento e, se per Milano consideriamo solo la città patinata e imbellettata a cui guarda il capitalismo milanese, il discorso ha senz’altro un senso. Per la nostra classe dirigente le olimpiadi sono solo un espediente funzionale perché la nostra smart city si possa prendere una rivincita sul palcoscenico internazionale dopo che a gennaio ha subito lo smacco del mancato assegnamento da parte dell’UE dell’agenzia europea del farmaco. Sì perché la Milano che i nostri dirigenti vedono non è altro che un prodotto in vetrina, è la città di Citylife e Porta Nuova – fotografate da riviste di moda e tendenza e utilizzate come sfondo per i telegiornali -, è la meta privilegiata dei giovani americani e tedeschi che vengono a fare il master in Bocconi, è la città del bosco verticale e degli archilover, è un centro d’elezione per le week dedicate a moda, design, libri e musica dove finalmente l’arte e la cultura sono opportunità di investimento per i grandi sponsor.

Per una città in vetrina un grande evento non è altro che un’ottima occasione per ripulire e rafforzare i poteri dell’amministrazione, non ci ricordiamo come a Como per il Natale 2017 il sindaco emise un’ordinanza perché i barboni fossero portati fuori dal centro per i 45 giorni del periodo natalizio o come per Expo 2015 il comune abbia avuto occasione di sdoganare tutto e di più? Dal lavoro gratuito al cemento autostradale, dalle deroghe al codice degli appalti alla convivenza con la corruzione, dall’uso dei poteri commissariali alla legalizzazione delle marchette stampa, fino alla più grande schedatura di massa di lavoratori mai vista – in centinaia furono tenuti fuori da Expo sulla base di controlli di polizia richiesti dal Governo -. A Expo tutto era giustificato perché per quei sei mesi il mondo ci guardava e non si poteva che ringraziare i magistrati che sapevano dimostrare “sensibilità istituzionale” non indagando durante il grande evento. La corsa e gli affanni che precedono l’organizzazione di un grande evento giustificano ogni nefandezza e abuso, i problemi divengono spazzatura da nascondere sotto i mobili, ma tutto resta sempre legittimo, perché comunque vada, deve essere un successo.

Quando tutto sarà finito l’Olimpiade ci lascerà la solita montagna di sprechi che richiederanno l’intervento del capitale privato per ripianare le perdite, tutto come sempre a scapito dei cittadini, va forse diversamente ora che la riqualificazione dell’area di Expo impone la necessità di trasferire le facoltà scientifiche della Statale fuori dalla città solo per rendere più appetibili quei terreni per i grandi capitali? In ogni caso questa è un’operazione che costerà allo stato 130 milioni di fondi europei e che va contro gli interessi degli studenti, che si vedranno ridurre gli spazi a loro disposizione dai 220.000 metri quadri attuali di Città Studi a 150.000. Ma come rinunciare alla socializzazione delle spese di un grande evento pur di attrarre qualche nuovo speculatore?

Un’olimpiade per una città in vetrina vuol dire rafforzamento dei poteri di polizia dell’amministrazione, più ordine, più controlli, più perquisizioni, più sgomberi, più sfratti, offre un grande assist all’edilizia in-sostenibile e alla speculazione – che già oggi assecondata dal turismo da grandi eventi e dal fenomeno AirBnB apprezza gli appartamenti del centro fin oltre i 10’000 euro al metro quadro, e spinge allo sviluppo e alla crescita di veri e propri quartieri-dormitorio nelle periferie -. Significa pulizia del centro dai non presentabili, marginalizzazione e esclusione dei meno abbienti nelle periferie, ghettizzazione dei soggetti potenzialmente disturbatori – tutto questo al cuore di una regione già saldamente in mano alla lega nord, che sull’odio razziale e sociale costruisce i suoi successo.

Milano è il modello di sviluppo per questo paese? Retorica troppo spesso assecondata, anche a “sinistra”, per noi da combattere quotidianamente, condizione necessaria per chi vuole rimettere al centro gli interessi di chi subisce le conseguenze di questo modello di sfruttamento.

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