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Vita e capitalismo. Ora l’incompatibilità si vede

Nessuno vorrebbe stare al governo in queste condizioni… Però, se ci stai, qualcosa dovresti pur decidere.

E’ sconfortante vedere le “scelte” elaborate per la Fase 2, che da lunedì coincide più o meno con un “fate un po’ come cavolo vi pare”. Consigli, più che regole; richiesta di “responsabilità” avanzata genericamente a tutti, quindi in realtà – o sul serio – a nessuno.

Ma non è il destino cinico e baro ad aver determinato questa situazione. E’ invece l’impossibilità – fin dall’inizio della pandemia – di determinare scelte dando priorità alla salute dei cittadini anziché al business. Su questo siamo stati chiari fin dall’inizio e non ci ripeteremo. Anche perché le nostre peggiori previsioni si sono avverate da un pezzo…

Fin dall’inizio, insomma, si è scelta la linea suicida del “convivere con il virus”, che in realtà significa semplicemente “chi deve morire muoia, ma noi andiamo avanti come se niente fosse”.

E’ evidente – dai numeri di morti e contagiati della Fase 1 – che il contenimento del contagio è stato disastroso soprattutto là dove si è preferito tenere aperto tutto il più possibile, contrastando ogni dichiarazione di “zona rossa”, come nel bergamasco, nel bresciano, in varie altre aree del nord industriale.

Ora che “si riapre tutto”, con il virus esattamente nelle stesse condizioni di tre mesi fa – il vaccino ancora non c’è, le terapie sono un po’ più efficaci, ma non sempre risolutive -, è altamente prevedibile una “seconda ondata”. Che potrà essere affrontata inizialmente meglio perché, grazie al prolungato lockdown (e a oltre 31.000 morti!), si è provveduto a svuotare gli ospedali e le terapie intensive. Nella speranza, ovviamente, che la quantità dei nuovi malati non superi la disponibilità. Anche perché poco o nulla è stato fatto – dal governo e ancor meno dalle Regioni – sul fronte della prevenzione, ossia nel potenziamento della medicina territoriale e dei medici di base.

Tutto previsto, da virologi e infettivologi, anche quelli più sensibili alle ragioni del mondo produttivo.

Questa pandemia sta però dimostrando a nostro avviso qualcosa di più importante. Per molti versi decisivo e “strutturale”.

Prendiamo le dichiarazioni di un qualsiasi imprenditore, piccolo o grande che sia. Un barista o ristoratore vi spiegheranno nei dettagli che rispettare le distanze indicate dall’Inail e dagli scienziati è materialmente impossibile. O comunque economicamente inutile. Chi ha fondato il suo business su 100 clienti l’ora, insomma, non può sopravvivere con un afflusso di soli 10.

E’ vero, non c’è dubbio. Non si può negarlo…

Persino i gestori degli stabilimenti balneari possono dimostrare – e lo vanno ripetendo ad ogni giornalista che incontrano – che il distanziamento tra un ombrellone e l’altro, o tra lettini, non può essere quello indicato. Altrimenti tanto vale non aprire affatto, i costi supererebbero i ricavi…

E’ vero, anche se un po’ meno…

E così per tutti gli esercizi commerciali di piccole e media dimensioni, dai parrucchieri alle palestre.

Gli industriali di un certo livello, che hanno schemi e strumenti più sofisticati, stanno attaccando l’Inail perché considera “incidente sul lavoro” il contagio dei dipendenti, anche se dopo un’accurata istruttoria. Come peraltro è sempre stato. I loro giornali (Repubblica, La Stampa, Corriere, Il Fatto, tutta la galassia berlusconiana, tra carta stampata e tv, le reti Rai, ecc) strillano a tutte le ore in difesa dei lro padroni…

C’è insomma un tratto comune che vien fuori da aziende di ogni livello, anche mononucleari: rispettare le regole anti-contagio impedisce lo sviluppo degli affari.

E’ vero. Non c’è dubbio.

Certa “compagneria” pensa di cavarsela negando la verità di questa contraddizione solare tra tutela della salute e salute del profitto. E invece è una contraddizione, verissima nella sua crudezza.

Ammettere che salute e profitto sono contrapposti significa infatti comprendere che modo di produzione capitalistico e sopravvivenza dell’umanità sono in contrasto. Anzi, si negano a vicenda. E sono entrambi veri.

Possiamo spostare lo sguardo dalla pandemia al cambiamento climatico, il risultato non cambia.

Tutela dell’ambiente (riduzione delle emissioni e dell’inquinamento, ecc) e capitalismo non sono più compatibili.

Non possono insomma più convivere insieme.

L’hanno fatto per tre secoli circa, con grandissimi risultati in termini di produttività del lavoro umano, sviluppo tecnologico, quantità di merci a disposizione, sviluppo scientifico, crescita numerica della popolazione mondiale, ecc. L’inquinamento che accompagna il processo era tutto sommato limitato territorialmente e quantitativamente; insomma, era ecologicamente “sostenibile”, specie a fronte di quegli immensi vantaggi.

Ora quel che era un “apporto positivo” del capitalismo alla storia umana è arrivato al punto da essere totalmente negativo.  I suoi “effetti collaterali” non sono più “sostenibili”…

E si vede fisicamente!

Non è più insomma il risultato di un’analisi complessa che sfornava previsioni sul futuro, scientificamente ben fondate ma ancora invisibili empiricamente.

Ora è proprio davanti agli occhi. Lo sviluppo capitalistico ha fatto progredire in modo straordinario le scienze mediche. Sono state sconfitte malattie ataviche, infezioni ignote per millenni, fino a ricostruire nel modo migliore addirittura parti del corpo (le protesi), allungando a dismisura le “aspettative di vita” di ogni essere umano (o perlomeno di quelli che dispongono di cibo e acqua a sufficienza).

Tutto finito. Ora, o ci prendiamo tutti il virus oppure si ferma l’economia. O si finisce di distruggere il pianeta (restano pochi anni per impedirlo invertendo la tendenza) oppure si distrugge il capitalismo così come lo abbiamo conosciuto (libertà assoluta dell’impresa privata).

Vita e capitalismo sono incompatibili. Qui e ora. Bisogna scegliere.

Non dovrebbe essere difficile rispondere alla domanda. Più difficile, certo, convincere i manager del capitale a togliersi dai piedi.

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