Due giorni fa, in Commissione Bilancio della Camera, si è verificata, ancora sul tema della scuola, una nuova spaccatura nella maggioranza di governo, che segue quella del mese scorso a proposito del concorso riservato ai precari.
Di fronte alle pressioni delle scuole paritarie e in particolare del mondo cattolico, che vi detiene interessi importanti, il PD e Italia Viva hanno votato a fianco dell’opposizione il raddoppio del sostegno economico a tali istituti previsto nell’ambito del Decreto Rilancio, in contrasto al M5S che vi si opponeva.
Con quel voto, si sono concessi altri 150 milioni alle scuole paritarie, portando così il contributo elargito a 300 milioni, che andranno a coprire il danno dovuto all’emergenza Covid, costituito soprattutto da rette non versate.
La motivazione con cui Graziano Delrio ha giustificato la scelta dei deputati PD è stata che “C’eravamo impegnati ad accogliere le preoccupazioni delle famiglie per le paritarie. La scuola pubblica statale e paritaria è un bene prezioso, i nostri bambini sono tutti importanti. Gli istituti parificati sono parte rilevante del sistema scolastico nazionale, una scelta di libertà educativa e spesso anche l’unica presenza in molte realtà difficili del Paese“.
La frase di Del Rio può essere variamente commentata, ma certo non manca di coerenza storica da parte di un rappresentante del PD. Infatti, senza scordare il danno causato alla scuola e all’università dai governi di centro-destra, soprattutto in tagli di bilancio, non si deve dimenticare che se in Italia oggi ci troviamo ad avere un “sistema nazionale d’istruzione” in cui coesistono scuole pubbliche e private, lo si deve proprio ai provvedimenti dei governi di centro-sinistra di Prodi e D’Alema che, tra il 1997 e il 2000, istituirono la mostruosità delle scuole “paritarie” massicciamente finanziate dallo Stato, in totale spregio dell’art. 33 della Costituzione.
Al tempo, fu un gradito regalo al Partito Popolare di Franco Marini, che sosteneva la coalizione di centro-sinistra e senza del quale il governo avrebbe perso la maggioranza. In pratica, Prodi e D’Alema rinunciarono a un principio costituzionale e stabilirono il principio della “parità scolastica” per rimanere qualche mese in più al governo.
Tuttavia, sarebbe riduttivo pensare che si fosse trattato solo di uno scambio di favori di convenienza, poiché la strada della creazione di un “sistema nazionale d’istruzione” in cui convivessero pubblico e privato, era già stata sperimentata nella sanità con la legge De Lorenzo del 1992. L’idea di gestire servizi pubblici essenziali attraverso la commistione di pubblico e privato ha sempre fatto parte, negli ultimi trent’anni, delle coalizioni di centro-sinistra (come di quelle di centrodestra, del resto…).
A riprova di ciò, anche le recenti Linee guida per la riapertura delle scuole emanate dalla ministra Azzolina, il cui principio ispiratore è quello della sussidiarietà pubblico-privato e della creazione di Conferenze dei servizi in cui siedano le scuole, gli enti locali e i privati nella figura di aziende ed enti di volontariato e del terzo settore.
Ciò anche se Azzolina fa parte del Movimento 5 Stelle. che pure in commissione bilancio si è opposto a questo ennesimo regalo alle scuole paritarie. Queste contraddizioni dei 5 Stelle non devono stupire poiché tale movimento ha sempre avuto una linea molto confusa sulla scuola e non certo limpida nella difesa di un sistema unico nazionale e statale.
Basti pensare che alle elezioni politiche del 2013 il Movimento si presentò con un programma che proponeva l’abolizione del valore legale dei titoli di studio. Nel 2018 invece chiese voti per abolire la “buona scuola” renziana, salvo dimenticarsene completamente una volta al governo e, di fatto, sostenerla, soprattutto dal momento della nomina a ministro di Lucia Azzolina.
Mentre la Commissione Bilancio della Camera fa regali alla scuola privata, non è altrettanto gentile con i docenti e gli ATA. Infatti la stessa commissione, senza indicare limiti di spesa né numero di docenti e ATA che sarebbero coinvolti nell’operazione, propone che i dirigenti degli Uffici Scolastici Regionali possano “attivare ulteriori posti di incarichi temporanei di personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) a tempo determinato dalla data di inizio delle lezioni o dalla presa di servizio fino al termine delle lezioni, non disponibili per le assegnazioni e le utilizzazioni di durata temporanea. In caso di sospensione dell’attività in presenza, i relativi contratti di lavoro si intendono risolti per giusta causa, senza diritto ad alcun indennizzo”.
In pratica, personale “usa e getta”, che può essere utile se si dovranno aumentare le classi, ma lasciato a casa se si tornerà alla Didattica a distanza. Non vogliamo immaginare cosa succederà nel caso, possibile, che possano verificarsi delle interruzioni nelle attività in presenza e che poi la si riprenda secondo le esigenze sanitarie: si avrebbe un personale assunto e retribuito a singhiozzo.
Quanto poi alla realtà della Didattica a distanza, dopo tante discussioni di tipo pedagogico e didattico, qualche nuova informazione, seccamente numerica, è venuta dal rapporto 2020 dell’ISTAT, pubblicato il 3 luglio, che affronta la questione in termini ovviamente statistici, offrendo tuttavia dati che fanno riflettere.
Secondo il rapporto ISTAT, nel 2019 internet è stato utilizzato regolarmente, in Italia, dal 74% degli individui tra i 16 e i 74 anni, con un aumento di 5 punti percentuali negli ultimi tre anni. Nell’insieme dei 28 paesi Ue, invece, tra il 2017 e il 2019 gli utenti sono saliti dal 81% al 85%.
Il ritardo dell’Italia è confermato anche dalla quota di non utenti pari al 20% contro 11% della media europea e dalla percentuale degli utenti di 16-74 anni residenti con competenze digitali elevate che si attesta nel nostro paese al 22 % contro il 33% della media dei 28 paesi della UE.
Discutendo l’aumentata necessità di disporre di internet in ragione dell’emergenza sanitaria, l’ISTAT rileva che il 24,2 % delle famiglie italiane si è trovato completamente sprovvisto di connessione, percentuale però che si avvicina al 30% nel sud e nelle isole.
Inoltre, l’accesso internet costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente per un valido utilizzo della rete, poiché in molte famiglie non esiste nemmeno una persona con buone competenze digitali. In pratica, solo nel 40% delle famiglie è presente un “internauta” con elevate competenze digitali.
Quasi scontato che il divario digitale tra le famiglie è riconducibile al grado d’istruzione, alla classe sociale, al luogo di residenza, come anche a tali parametri è collegato il tasso di affollamento delle abitazioni, più alto in Italia rispetto alla media UE, che incide negativamente sulla Didattica a distanza come sul telelavoro a domicilio dei genitori.
La lettura del rapporto ISTAT 2020 conferma dunque l’aumento del divario tra studenti nella fruizione del diritto allo studio provocata dalla Didattica a distanza e anche il suo potenziale discriminatorio. Tuttavia, il Ministero sembra accontentarsi di ripetere che si è provveduto a dotare a pioggia migliaia di studenti – quanti veramente non è dato sapere – di dispositivi digitali, senza chiedersi se e in quali condizioni essi possano essere effettivamente utilizzati (connessioni rapide, competenze tecnologiche, condizioni abitative ecc.).
Inoltre il Ministero continua a consigliare l’utilizzo di piattaforme di proprietà delle grandi multinazionali dell’informatica, senza preoccuparsi della privacy di alunni e studenti e favorendo comunque i profitti di tali imprese.
Non è nemmeno allo studio, per quanto se ne sa, la possibilità di apertura di una piattaforma pubblica a cui le scuole possano fare riferimento. In queste condizioni, la possibilità di dover tornare per periodi più o meno brevi alla Didattica a distanza appare più un incubo che non un malaugurato ma tollerabile disagio.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
Franca
Aggiungo che con Berlusconi, se non erro, nella Primaria, si sono tolte 2 ore di Storia a favore della materia Religione insegnata da insegnanti scelti dalla Curia e pagati da Ministero. Prima si studiava la religione delle civiltà che si affrontavano in Storia e l’insegnamento era affidato agli insegnanti della Primaria.. Con questo patto, è stato diminuito l”organico della Primaria in tutta Italia, a favore di cattedre assegnate direttamente dalla Curia.