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Gli Stati Popolari e il controverso appello di Aboubakar

In Piazza San Giovanni il colpo d’occhio non è quello delle grandi manifestazioni. Ma erano almeno tra le tre e le quattromila le persone che hanno sfidato la canicola di un pomeriggio di luglio per essere in prima persona agli Stati Popolari convocati da Aboubakar Soumahoro – sindacalista dell’Usb – dopo essersi incatenato davanti agli Stati Generali convocati dal governo tre settimane fa.

Ed anche il tono e i contenuti di molti interventi che si sono susseguiti era assai diverso da quello che in quella stessa piazza, quella volta decisamente gremita, avevamo sentito nelle manifestazione delle Sardine. A chi pensava ad una replica di quella piazza è stato dunque smentito sia nei numeri che nei contenuti.

Certo, il riccioluto e sempre sorridente Sartori si aggirava dietro al palco, ma il clima era piuttosto diverso. In mezzo ci sono stati i mesi della quarantena, dell’emergenza sanitaria Covid-19 ed ora le loro pesantissime conseguenze sociali che spostano l’asticella dei problemi e li rendono più drammatici.

Stavolta è ben più visibile sia in piazza che negli interventi dal palco la presenza di migranti, braccianti, rifugiati.

I braccianti, arrivati numerosi dalle campagne del foggiano e della Calabria, depositano cassette di frutta e verdura sul palco a ricordare visibilmente a tutte e tutti che molti degli alimenti che acquistiamo e mangiamo – magari cercando quelli a minor prezzo – sono sempre più  il prodotto del bestiale sfruttamento e del lavoro sottopagato di migliaia di persone nelle campagne.

Sul palco si alternano gli invisibili, cioè i portatori di quell’ormai insopportabile condizione che attanaglia lavoratori, lavoratrici, abitanti.

E’ toccato a Francesco Rizzo (delegato Usb all’Ilva di Taranto) ribadire che occorre mettere fine alla contrapposizione tra lavoro e salute, che a Taranto produce morte e malattia sia tra chi lavora all’Ilva sia tra chi abita in quella città avvelenata dalla fabbrica.

E prima e dopo di lui parlano l’operaio della Whirlpool e l’operatrice del call center, precari dello spettacolo, riders, insegnanti precari, giornalisti precari, diversamente abili e ragazze di Friday for Future. Ed ancora braccianti, rifugiati, migranti e lavoratori senza permesso di soggiorno e cittadini nati e cresciuti qui in Italia, ma ai quali si nega ancora cittadinanza, esponenti del mondo Lgbt, attivisti del sindacato e del movimento per il diritto alla casa.

Scuote la piazza Mariema Faye, giovane donna del movimento migranti e rifugiati (e che sarà anche candidata di Potere al Popolo in Campania, ndr), mentre Ascanio Celestini e Cosmo danno voce a chi vive di spettacolo in un momento in cui gli spettacoli non si fanno più.

Nel retropalco dispensano invece dichiarazioni personalità e personaggi che guardano a questo universo di invisibili con intenzione non del tutto nitide e con la coscienza non del tutto a posto. Prevedibili il direttore de L’Espresso, Marco Damilano, e il conduttore Diego Bianchi, che da tempo sponsorizzano e hanno dato visibilità ad Aboubakar (dimenticando, ogni volta che è possibile, di dire che è sì un sindacalista, ma dell’Usb, cioè di un sindacato fuori dal “consorzio” consociativo e ostacolato con ogni mezzo).

Su quel retro, a caccia di giornalisti disponibili a raccoglierne la voce, si agitano anche personaggi politici a nostro avviso decisamente fuori luogo, come la vicepresidente dell’Emilia Romagna Eli Schlein e la presidente del Pd Valentina Cuppi.

Ma l’attesa più grande era evidentemente per le conclusioni di Aboubakar Soumahoro. Abou, come lo conosciamo da anni, esordisce mettendo in guardia dall’individualismo e dall’egocentrismo sui quale si basa l’egemonia di chi rende invisibili le figure sociali chiamate in piazza dagli Stati Popolari. Chiama ad una riscossa dell’anima e invoca anche il tema della felicità. Invita a non chiudersi dentro i social network, che sono anche utili, ma poi servono le persone in carne ed ossa.

Abou spiega anche che da questa piazza si è voluti tenere fuori la politica (in realtà circoscritta al diniego di intervenire alle organizzazioni politiche e dal portare bandiere) perché la politica ancora non è adeguata a cogliere le istanze nè dà risposte al grido degli invisibili.

Ha presentato poi un manifesto su cinque proposte largamente condivisibili: un piano di emergenza per il lavoro, un piano per l’emergenza abitativa con la richiesta di rilanciare l’edilizia sociale, un organismo per affrontare sia l’emigrazione italiana all’estero che l’immigrazione in Italia, mettere mano contro lo sfruttamento nella filiera alimentare, l’abrogazione dei decreti sicurezza, un piano per l’accoglienza e un piano per l’ambiente con una declinazione importante: non c’è giustizia ambientale senza giustizia sociale.

Ma da questo punto in poi sono emerse aspettative e intenzioni che qualche perplessità non possono che suscitarla. Abou ha insistito molto nell’affermare che “questa è la piazza della proposta e non della protesta, che non è la piazza dei No ma quella dei Si”, in sostanza che gli Stati Popolari hanno una visione per l’azione (citando Nelson Mandela) e che se il Palazzo non aprirà le porte si porteranno queste proposte dentro il Palazzo.

Come ce le porteranno non è indifferente. Qualcuno ancora immagina, e lo preferisce, che questo “ingresso” possa avvenire sulla spinta di una mobilitazione popolare che diventa potere decisionale e priorità delle scelte; qualcun altro, più banalmente, può immaginarlo con  la messa a disposizione di una candidatura in Parlamento o al governo, magari con una aggregazione “di sinistra” che, come sempre, tiri per la giacca il Pd.

E’ un po’ la solita idea di entrare lì dove si suppone ci siano le leve di comando per guidare la barca verso l’armonia e non lo scontro. E’ evidente che non si tratti delle stesse opzioni, anzi.

Sull’Espresso, nel suo editoriale domenicale, Abou ha concluso con due paragrafi che non hanno convinto molto chi scrive questo articolo. A suo avviso l’unione degli invisibili sarà longeva se riuscirà a:

“1) perseguire la coerenza dei valori (perché la coerenza è la valuta della fiducia) e non inseguire la convenienza dell’opportunismo;
2) perseguire l’egemonia culturale e non inseguire la contrapposizione sociale. Riusciremo a superare quest’ultima, se sapremo domare le nostre disarmoniche discordie per creare armoniose sinfonie d’unione”.

Sulla coerenza dei valori ci siamo, ma occorre sempre rammentare che è il loro diventare contenuti che fa la differenza. Chi è contrario alla pace o alla giustizia o alla difesa dell’ecologia? Pochi o nessuno. Ma se si declinano le scelte per mantenere la pace, affermare la giustizia, riconvertire ecologicamente un modello produttivo, difficilmente i semplici valori potranno creare comunità di interessi lì dove essi divengono materialmente contrapposti.

E da qui quel “non inseguire la contrapposizione,” ma la “creazione di armoniose sinfonie di unione”, diventano materia difficile da digerire.

Chi è stato in piazza San Giovanni ha fatto bene ad esserci, sotto molti aspetti è stato un momento di rappresentazione di contraddizioni e conflitti veri. La traiettoria sindacale di Abou in questi anni ha dato indubbiamente ai braccianti e ai migranti una visibilità politica che non avrebbero mai avuto.

Ma la sfida è ancora aperta sul come costruire il blocco sociale, anzi il blocco storico, capace di sintetizzare un mondo e portarlo sulla strada dell’emancipazione collettiva in uno scenario di conflitto di classe dall’alto sempre più cinico e spietato (come ci ha dimostrato la gestione dell’emergenza coronavirus).

Idealizzare una comunità di valori “di per sè” contiene elementi di misticismo che, sulla base della loro forza oggettiva, dovrebbero tenere insieme un sindaco manager come Sala e il riders che si sfianca sulla bicicletta o il bracciante sottopagato nelle campagne. L’evocazione del sogno, molto americana come quella della felicità, ci porta obiettivamente sul terreno di una sorta di predicazione e di profezia. E questo è un terreno che maneggiano meglio i guru che le istanze collettive.

Per quanto abbiamo provato a mettere alla prova la nostra duttilità, è uno scenario che non riusciamo a vedere come praticabile. Soprattutto in una situazione sociale che si annuncia pesantissima già dai prossimi mesi e da una determinazione di chi detiene materialmente privilegi, ricchezze e apparati di potere a non voler cedere nulla, anzi a voler utilizzare lo shock dell’emergenza coronavirus per spingere ancora più a fondo i settori popolari e gli invisibili.

Se vuoi delle soluzioni devi diventare un problema.

Siamo sicuri che, come avvenuto anche in altre occasioni, questa nostra lettura in controluce non farà piacere a tante e tanti. Ma qualcuno che si assuma la responsabilità di farlo è bene che ci sia.

(Le foto sono di Patrizia Cortellessa)

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

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13 Commenti


  • giancarlo staffolani

    “senza contraddizione non c’è vita”, “senza conflitto nessuna armonia”. “Bisogna distinguere le contraddizioni in seno al popolo dalle contraddizioni tra noi e il nemico”..


  • carmen silipo

    Purtroppo, non sono riuscita ad essere agli Stati Popolari, tuttavia

    I “vizi” che io vedo – per quel poco che vedo – nel percorso di Aboubakar, più che nel misticismo dell’armonia universale, stanno nell’individualismo che Abou avverte essere un pericolo … per gli altri
    Quanto a falchi e falchetti dietro il palco, era stato riservato loro il posto, nella piena consapevolezza di chi sono. Evidentemente, se ne è valutata l’utilità alla causa degli invisibili (anche se non sono esattamente utili all’USB)

    L’altra nota, che mi viene da fare è nello stabilire un prima ed un dopo fra giustizia ecologica e sociale.
    Valga il caso del diritto all’abitare: non si può pensare di risolvere il problema con nuova edilizia popolare, con nuovo consumo di suolo. Il diritto all’abitare deve anche essere il diritto ad un abitare sano, ecosostenibile, perchè l’ambiente in cui viviamo è L’Ambiente più in generale (come dimostra il Covid). Se creiamo squilibri a pagarli sono soprattutto i più fragili
    Serve, quindi, una diversa gestione, socialmente orientata, del già costruito
    E questo, molto probabilmente, rende la questione dell’abitare meno suscettibile di creare armonia fra i vari interessi …

    L’armonia… qui non condivido quanto dice l’autore dell’intervento
    Io credo che la composizione di quella piazza debba indurre ad una profonda riflessione.
    Siano, realmente, oltre l’esperienza del ‘900
    Il “misticismo” che può sembrare sinonimo di anti-materialismo poco concludente, appartiene ad immaginari diversi; quelli di coloro che stanno acquisendo consapevolezza della loro identità collettiva, spesso a partire da una posizione da stranieri. ma non solo. Appartiene ad una ricerca dell’equilibrio uomo-natura, che si pone oltre il piano dell’utilità; alla necessità di trovare parole adeguate ad esprimere i bisogni dell’umanità in quanto tale
    Penso che ci si riconosca e ci si unisca, guardando al desiderio che si vuole realizzare. Quel desiderio è di armonia.
    Se questo soggetto prenderà forza, saprà attraversare le disarmoniche contraddizioni, come ha attraversato il deserto o il mare.


  • Patrick Boylan

    Bravo, condivisibile al 100%. Questo tuo articolo disturberà qualcuno? Mah! Come scrivi, bisogna pure accettare di essere un problema, se vuoi una soluzione.


  • luisa stendardi

    Credo che Abou abbia il merito indiscusso di aver incarnato l’invisibile: stranieri,neri,rifugiati,braccianti. senza casa, disoccupati, sfruttati. Mi lasciano perplessa i personaggi ,dietro il palco così come mi lascia perplessa l’azione complessiva del sindacato USB che parla di conflittualità necessaria ma non sa indicare il come e con chi. Mi sembra che quella piazza esprima l’esistenza di un blocco sociale potenzialmente molto più ampio, e questo è il punto. Come uscire da questo recinto coinvolgendo anche i gruppi sociali che per ora non si sentono addosso lo stigma dell’esclusione anche se inrealtà già appartengono alla classe emarginata. Certo con i giornalisti che tirano la giacca al PD e con le sardine che giocano o meglio giocavano il ruolo della piazza che i partiti non possono aggregare, il rischio di ritrovarsi invischiati nel terreno scivoloso della competizione elettorale , è grande, Forse bisognerebbe essere capaci di usare la tattica senza cedere sul piano strategico. E la strategia prevede un passaggio conflittuale inevitabile in chiave moderna senza novecentismi. Ardua impresa


  • Nico

    Sono d’accordo con le considerazioni di Sergio. Soprattutto se questa posizione di Aboubakar, al netto delle “armonie” e della “felicità”, va verso il solito frontismo che mette insieme tutti e tutto… e il loro contrario. Alla fine in questo modo l’egemonia ce l’hanno i soliti generali senza esercito che campano di rendita tra le pieghe di un centrosinistra morto e stramorto e completamente supino ai dettami del neoliberismo. Ciò che si è fatto, tutti questi anni di lotte sociali, per il lavoro e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori non può essere consegnato (o anche solo condiviso) a una “sinistra” alla ricerca di spazio politico senza nulla cambiare. Non è settarismo, ma consapevolezza che stiamo andando incontro a uno scontro sociale che può essere declinato anche da destra e queste tendenze frontiste (che verranno fuori inevitabilmente) rischiano di depotenziare quelle spinte alla rivolta sociale che è necessaria. Non ci possono essere punti di contatto con i cespugli del PD, con le Schlein tanto per intenderci.


  • Filippo Matrisciano

    “Per quanto abbiamo provato a mettere alla prova la nostra duttilità”.. Ma chi sei, il Santo Padre?

    Puntare sulla costruzione dell’egemonia significa rannodare con pazienza tutti i pezzi che sono stati perduti, ricomporre nuovamente con grande fatica una classe ‘per sé’, insieme a tutte le sue diramazioni; parallelamente, vuol dire staccare pezzi dal blocco del tuo avversario, che al momento ti sovrasta: pertanto la cosa più sciocca che potresti fare è andarci apertamente allo scontro cercando la battaglia campale. Questo vuole dire Aboubakar, nient’altro.

    Abbiate l’umiltà di apprezzare il nucleo fecondo di questo messaggio, disponetevi a lavorare per unire ciò che è disperso, costruendo nuova coerenza di pensiero e di azione. Si comincia stando al fianco di chi soffre, si lotta e si struttura un discorso che sparigli la pretesa assenza di alternative. E lo si fa misurandosi con le maggiori fonti del discorso egemonico oggi. La lotta sta lì, finché si è deboli; sta lì l’unica lotta che rafforza.

    Pigliatevi una quindicina d’anni di libertà dalle vostre puntualizzazioni speciose e inconsciamente settarie, e lavorate all’unità delle forze (oggi) extraparlamentari.


    • Redazione Contropiano

      Evidenziare anche le contraddizioni che si presentano è un modo genuino ed onesto di lavorare alla ricomposizione delle forze. Altrimenti diventano atti di fede, e in questo caso potremmo rovesciare il tuo incipit: hai necessità di un santo padre?


  • Mariangela Costa

    Che noia. Tanta noia e pure un forte senso di sfiducia, nel leggere parole come quelle di questo articolo.
    E niente, non ce la faremo nemmeno staviltat.


  • Franco Russo

    ho assistito agli Stati popolari domenica scorsa: una piazza con presenze sociali variegate – da lavoratori/trici dell’industria ai riders ai braccianti, a chi lavora nei call centers. Una rappresentanza delle diverse forze del lavoroe del non-lavoro era presente in piazza. Ho saputo leggendo l’articolo di Sergio che dietro il palco c’erano esponenti politici della galassia PD: una bella contraddizione! Sergio fa una critica puntuale e molto chiara, inoltre rivolge molti interrogativi ad Abou. Domande che io condivido perché non si può credere che il potere, questo potere a mezzadria tra 5stelle e PD, potrà mai raccogliere le proteste e le proposte di quella piazza. La via del superamento della crisi è, e sarà segnata, dell’UE, che si porpone di far emergere più forte le imprese UE e di salvaguardare il mercato unico e le filiere transnazionali del valore. Ciò richiederà subordinaznione e collaborazione deile classi lavoratrici e popolari ( e CGIL-CISL_UIL sono già all’opera!). Abou ritiene forse che la sua ‘forza mediatica’ possa sostituire la mobilitazione collettiva, o meglio che questa serva a dare ad essa ulteriore energia. Io penso che sbagli, perché non si costruisce demolendo quanto di organizzato c’è, ma portando quantodi organizzato esiste – come l’USB e i movimenti sociali – a svolgere un più ampio ruolo di riferimento politico e culturale alla rabbia, e alle mobilitazioni sociali in risposta al modo in cui il potere ha reagito alla pandemia COVID-19: ha messo al primo posto le esigenze della competizione delle aziende rispetto alla salute e alla sicurezza. Indebolire quanto si è costruito è una pessima abitudine della sinistra radicale, e spero che Abou non compia questa scelta, così come le scorciatoie istituzionali portano alla distruzione dei movimenti sociali. Tuttavia l’idea di Abou degli’Stati popolari’ può essere molto utile se perde i suoi connotati ‘politicisti”, e sta dunque a noi tutti/e di proporre un cammino per l’autunno in cui forze signiificative come l’USB si facciano promotori di assemblee popolari, in cui ognuno/a possa partecipare all”elaborazione di una ‘piattafroma di lotta e di proposte’, che si concluda con un’assemlea pubblica a San Giovanni e a una prima grande manifestazione contro il progetto di restaurazione che le classi dirigenti stanno perseguendo. Che si chiamino tutti i movimenti, le associazioni, i comitati a queste assemblee e poi si concluda questo percorso con la presentazione di questa piattaforma, che unisca nativi e non nativi, braccianti e riders, che lavora nel pubblico impeigoe o nell’ industria o nei servizi , e da qui far partire le mobilitazioni e i conflitti, dentro e fuoi i posti di lavoro. L’USB ha le risorse per essere al centro di questo processo, e spero che che lo renda possibile. Franco Russo


  • Adele

    Prima osservazione:
    impressionante per un avvenimento e fenomeno così importante, che abbia trovato in rete solo tre articoli significativi E non integrati nella predominante pandemia conformista cosiddetta democratica. Questo di Contropiano, un altro del Partito Comunista dei lavoratori, ed un terzo, forse il più interessante, in Sinistrainrete dal titolo “Dimensione operaia degli Stati Popolari, Sardine, ecologismo, antirazzismo, antipatriarcato”.
    Seconda:
    Trovo semplicemente scandalosa l’assenza de il Manifesto, prima e dopo il 5 luglio, a parte un paio di stelloncini. Ma ormai sappiamo, con tanta pubblicità bancaria, come stia chiudendo il suo “comunismo”. Da ormai già troppo tempo, basti vedere la sottomissione totale al discorso ‘infopandemico’ dominante.
    Terza:
    Se parliamo di movimenti, associazioni, ecc. e contraddizioni “interne al popolo” con tutto ciò che rivelano gli Stati Popolari del 5 luglio, mi pare che dovremmo avviarci, per capirci bene e per poter avanzare nel lavoro politico, dai fondamenti marxiani dell’analisi del capitalismo. Qui ci troviamo di fronte ad una composizione proletaria grandissima e che include direttamente o meno, anche settori di cosiddetti lavoratori garantiti, per cominciare. Cioè un universo che Raveli chiama dimensione operaia, dove le contraddizioni interne devono servire per sviluppare maggiore potenza, capacità di mobilitazione e pressione generale. Prima di perdersi sulle espressioni di protagonisti – come Sumahoro, che rispetto moltissimo – forse congiunturali o perlomeno occasionali, ma che non riescono ancor ad esprimere tutti i magnifici potenziali di questa nuova fase di lotta sociale in Italia. E in Europa?



  • I. Oliveri

    Si, forse ci siamo avviluppati in un dibattito un po’ da cruciverba, grazie ai dubbi qui sollevati sugli Stati Popolari del 5 scorso. Ma scandagliando nella questione di alcune contraddizioni segnalate nell’articolo di Carar, per esempio parlando di
    “emerse aspettative e intenzioni che qualche perplessità non possono che suscitarla”,
    oppure a proposito della “sfida ancora aperta sul come costruire il blocco sociale, anzi il blocco storico, capace di sintetizzare un mondo e portarlo sulla strada dell’emancipazione collettiva in uno scenario di conflitto di classe dall’alto sempre più cinico e spietato”
    ci tengo a far notare come uno dei nodi di fondo sia proprio – come dice Raveli nell’articolo sopra indicato – la messa in discussione dell’episteme ormai sempre più assunto dalle cosiddette sinistre sulla ‘lotta di classe’ e più in generale sui movimenti sociali. Cioè appunto quel lavorismo che riduce i rapporti Capitale-lavoro a questioni di garanzie dell’impiego, del salario, e poi via via il biasimo delle precarietà, dell’intermittenza, ecc.
    Un episteme che comprende l’insieme dell’attuale approccio dominante, ma che pure caratterizza i critici del “sistema”, sulla base di valori e teorie politiche e sociali accettate come ‘scienza’ e ‘conoscenza’. Quindi compresi coloro che si pongono ‘moralmente’ in modo dissenziente di fronte al dominio capitalista e al potere economico e politico dei cosiddetti capitalisti. Moralmente ma non eticamente, dovremmo pur dire. Cioè secondo una epistemologia, proprio come propone K. Raveli, i cui fondamenti ‘comunisti’ smascherano ciò che sta alla base e nell’essenza del capitalismo: l’alienazione proprietaria privata dei beni comuni, della natura e della vita. Pertanto la profonda sostanza determinativa dell’Antropocene o Capitalocene, comprese oltretutto le derive globali più recenti e subordinate come la presunta pandemia virale.
    Conclusione: quando parliamo di contraddizioni sociali o “interne al popolo”, cara Adele, dovremmo manifestare in modo chiaro quali ne sono i rispettivi e principali valori di riferimento.


  • G. Esposito

    Si, chiarissimo il cuore o centro di quello che affermi, o afferma K. Raveli:
    ciò che sta alla base e nell’essenza del capitalismo (è) l’alienazione proprietaria privata dei beni comuni,
    che ci sta portando in modo sempre più evidente verso la catastrofe.
    Quella climatica per cominciare, ma che poi accelererà tutte le altre.
    Mentre tutte le schiere di lavoristi, marxisti o meno, continuano a predicare e praticare le loro litanie riformiste del capitalismo.
    Terribile.

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