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Giovani, pandemia e questione settentrionale: intervista a Noi Restiamo

Nell’ambito dell’inziativa promossa dalla Rete dei Comunisti di mercoledì prossimo a Milano, che metterà sul piano della discussione il tema dello sviluppo diseguale del nostro Paese e di una “questione settentrionale“, pubblichiamo un’intervista a Viola negro, giovane studentessa impegnata da anni nell’ambito della rete giovanile Noi Restiamo, dentro e fuori l’Università.

Possiamo dire che negli ultimi mesi sono emerse prepotentemente alcune delle questioni che da anni portate avanti, nell’ambito della scuola e più nello specifico nell’ambito universitario. Abbiamo visto in questi mesi le città svuotarsi di gran parte degli studenti che non potendo più permettersi di pagare l’affitto senza lavorare hanno abbandonato le città.

Anche da questo dato di fatto ricordiamo la campagna per il blocco dell’affitto che avete condotto negli ultimi mesi come Noi Restiamo. Con l’epidemia è emerso con ancora più forza l’evidenza di un sistema universitario non accessibile a tutti. Quale scenario si prefigurerà nel prossimo futuro?

Con la diffusione del covid19 e soprattutto con la gestione della pandemia che il nostro governo e l’Unione Europea hanno fatto sono venute alla luce le contraddizioni e i fallimenti presenti in tutto il mondo della formazione. Nel prossimo futuro le tensioni emerse durante la pandemia non potranno che acuirsi giungendo a mostrare definitivamente come il sistema scolastico e universitario sia fondato sulla riproduzione delle disuguaglianze sociali e sull’esclusione sociale.

In questa crisi sanitaria, economia e sociale, come sappiamo, il governo ha concesso soltanto briciole per le fasce della popolazione più in difficoltà: tra queste, ci siamo anche noi giovani che, anche questa volta, come nel 2008, continuiamo a pagare le crisi privi di tutele e aiuti. Infatti, se prima vivevamo di lavoretti precari e aiuti dalle nostre famiglie che ci permettevano a stento di pagare l’università, l’affitto e le spese di sussistenza, con il lockdown abbiamo perso questi lavori e adesso sarà difficilissimo trovarne altri.

Dal governo per noi non è stato stanziato nessun aiuto economico: siamo stati tagliati fuori da tutte le pochissime tutele date agli altri lavoratori, abbiamo dovuto continuare a pagare l’affitto e le tasse universitarie.

Adesso e nel prossimo futuro la situazione può solo continuare a peggiorare mostrando gli effetti disastrosi di un sistema universitario non fondato sul diritto allo studio ma fondato su una costante elitarizzazione ed esclusione delle fasce più deboli dall’alta formazione.Tutto questo taglierà fuori dell’accesso all’istruzione moltissimi studenti.

Inoltre, come dalle ultime confuse dichiarazioni del ministro dell’istruzione, in alcuni atenei la didattica a distanza potrebbe continuare oppure potrebbero esserci forme miste tra didattica in presenza e a distanza. È chiaro che chi potrà permettersi di continuare a pagare un affitto per avere una casa nella città in cui studia potrà usufruire dellla didattica in presenza e chi non potrà metterselo dovrà seguire l’università a distanza: questo provocherà enormi disuguaglianze di status sociale.

L’esclusione sociale poi sarà aumentata anche dall’enorme problema delle residenze universitarie che, per il distanziamento sociale, potranno ospitare meno studenti, soprattutto fuorisede, che quindi non potranno studiare. Il governo al posto di fare reali investimenti pubblici nel diritto all’istruzione e nell’edilizia universitaria per rendere davvero l’università accessibile a tutti continua a produrre un modello di università per i soli ricchi, tagliando fuori tutti gli altri.

Come Noi Restiamo, continuiamo a denunciare e ad opporci a questo sistema universitario voluto in primis dell’Unione Europea: come abbiamo fatto durante il lockdown continueremo ad organizzarci in moltissime regioni d’Italia per strappare al governo quello che ci spetta, dato che ormai, abbiamo la prova che nessuno ci concederà nulla.

Qualche giorno fa l’Ateneo di Torino ha deciso di abbassare le tasse universitarie per agevolare gli studenti, ma sappiamo che non tutti gli Atenei possono permettersi di optare per scelte di gestione di questo tipo. Come si inserisce la questione Atenei di Serie A e Atenei di Serie B nell’epoca del post-covid?

Innanzitutto, ci tengo a dire che in questo momento più che mai stiamo vedendo come le tasse universitarie siano un enorme ostacolo al diritto allo studio e che andrebbero del tutto abolite se davvero l’università italiana volesse essere inclusiva, come il ministro Manfredi continua a ripetere. Poi, guardiamo davvero che costa sta facendo Unito.

Nel regolamento tasse non si parla infatti di abolizione delle tasse universitarie, ma solo di una misera riduzione per gli studenti part-time e per quelli nella fascia ISEE tra i 20.000 e i 24.000euro, da cui quindi vengono esclusi ancora tantissimi studenti in gravi difficoltà economiche, anche a causa dello strumento ISEE che non è in grado di dare la reale fotografia della condizione economica in cui ci ritroviamo. Di nuovo soltanto briciole e misure tampone.

D’altra parte, è vero che moltissimi atenei, soprattutto quelli del sud che non hanno un avanzo di bilancio e soffrono forti definanziamenti, neanche una riduzione di questo tipo potranno permettersi. Il sistema universitario, come diciamo da anni, si fonda su una competizione sfrenata tra atenei in cui c’è chi perde e chi vince: quelli di serie A che hanno un tessuto produttivo privato a cui potersi svendere e che riescono così ad avere un avanzo di bilancio che gli copre la notax area, e gli atenei di serie B, come quelli situati nelle regioni del sud, che invece non lo hanno e sono totalmente abbandonati a sé stessi, a causa dei tagli e delle politiche di privatizzazione dell’istruzione portati avanti da più di trent’anni sia dai partiti di destra che di centrosinistra.

Inoltre, l’ampliamento della notax area – tanto sbandierato come vittoria da certe rappresentanze studentesche che promuovono così quelle stesse politiche di autonomia d’ateneo e di aziendalizzazione delle università che sono la causa dei nostri problemi – va solo ad aumentare le disuguaglianze tra atenei: soltanto gli atenei di serie A con un avanzo di bilancio potranno permettersi di esentare alcuni studenti con ISEE molto bassi dal pagamento delle tasse, gli atenei di serie B dovranno continuare a far pagare tasse altissime a tutti escludendo milioni di studenti e procedendo verso lo smantellamento completo.

L’ampliamento della notax area al posto dell’abolizione delle tasse e gli investimenti privati dentro le università al posto di finanziamenti pubblici che permettano davvero l’accesso all’istruzione confermano e accelerano verso un mondo della formazione sul modello ultra liberista americano con pochi grandi “hub” qualificati per i pochi che se li possono permettere atti a diventare la nuova classe dirigente e tutti gli altri atenei università-parcheggio dequalificate che sfornano futuri precari e disoccupati. La misura davvero “coraggiosa” sarebbe abolire del tutto le tasse universitarie su tutto il territorio nazionale.

Avete più volte affermato che nell’epoca del COVID non è solo il modello universitario ad essere messo in crisi, ma l’intero mondo della formazione. Come riassumeresti questo concetto, in un nord sviluppato rispetto al sud del Paese e da dove nasce questa crisi?

Come dicevo anche prima la diffusione del covid19 ha mostrato le tensioni e i fallimenti di tutto il mondo della formazione fondato sullo smantellamento del pubblico, sulla privatizzazione, sulla competizione tra atenei e sulla progressiva elitarizzazione.

La diffusione del covid19 in un sistema formativo di questo tipo ha esasperato una delle principali tendenze ossia la disuguaglianza tra atenei di serie a e atenei di serie b che, già negli ultimi anni era stata fortemente aumentata. Infatti, soprattutto a seguito della crisi economica del 2008 e della riforma Gelmini, oltre alla decurtazione dei finanziamenti pubblici alle università, è aumentato l’indirizzo premiale dei fondi statali attraverso agenzie come l’ANVUR.

In questo modo, le università migliori vengono premiate con più finanziamenti, quelle peggiori non vengono finanziate rischiando sempre di più verso lo smantellamento; ovviamente migliori o peggiori in base ai criteri che l’ANVUR usa che sono in primis l’internazionalizzazione, gli investimenti privati e l’aumento degli iscritti. Come abbiamo già detto, a causa di un modello di sviluppo fondato sulla dicotomia tra centro e periferia, gli atenei di serie a si trovano quasi tutti al Nord, territorio con un tessuto produttivo forte, quelli di serie b tutti al Sud.

Tuttavia, non è così semplice: esistono molte differenze anche all’interno dello stesso nord e il covid19 ha mostrato come anche dove gli atenei sono più ricchi questo modello di università sia diametralmente opposto agli interessi degli studenti. Infatti, atenei del Nord come Torino o Bologna non hanno portato avanti misure strutturali per tutelare il diritto allo studio (l’abolizione delle tasse o agevolazioni vere per seguire la didattica a distanza nei mesi di lockdown per esempio), ma hanno preferito continuare a utilizzare l’avanzo di bilancio per stipulare accordi con aziende private. Faccio soltanto un esempio: mentre a Torino milioni di studenti sono stati costretti a lasciare l’università per le tasse altissime, Unito, continuava a spendere fondi per realizzare una residenza privata all’interno dei locali universitari nella Palazzina Aldo Moro.

Questo ci mostra come il problema principale non siano solo i tagli ai finanziamenti pubblici, ma le decisioni politiche dei governi che ci stanno dietro che neanche in un momento di crisi come questo hanno tutelato gli interessi degli studenti che vengono tagliati fuori dall’alta formazione. Con l’autonomia differenziata le disuguaglianze tra Nord e Sud, tra scuole del centro delle città e delle periferie verranno soltanto aumentate.

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