L’ennesimo DPCM quello del 25 ottobre – meglio precisare perché ormai ce ne cade addosso uno a settimana, spesso contraddittorio con quello precedente – conferma lo stato confusionale del governo, peraltro ben spiegabile con la Caporetto sanitaria del paese di fronte alla seconda ondata.
Un decreto che è esito dei compromessi seguiti alle risse e polemiche tra ministri e tra i ministri e le regioni, ma soprattutto tra i diversi “portatori di interessi” economici, che conferma tuttavia una realtà ben chiara: il governo non ha fatto nulla per fronteggiare la seconda ondata e continuerà a non fare nulla.
Tutte le misure di prevenzione sono affidate ai singoli cittadini, che devono seguire una lunga serie di prescrizioni riguardanti soprattutto le loro attività non lavorative. Nessun aumento dell’impegno è previsto da parte dello Stato.
Nella sua irruzione radiotelevisiva nelle case degli italiani, all’ora di pranzo, Conte ha ribadito che “l’Italia non può permettersi un altro confinamento generalizzato”. Ci chiediamo di quale Italia parli Conte e troviamo una sola risposta: è la Confindustria che non può permetterselo per non mettere a repentaglio i profitti dei padroni.
Luoghi di lavoro mai ispezionati, trasporti pubblici sporchi e sovraffollati, ospedali nel caos, a tutto questo il governo non darà risposte. L’esatta ripetizione di quanto portò alla strage nella bergamasca che rischia di espandersi su scala nazionale.
I cittadini invece dovranno limitare la loro vita sociale, arrivando persino a non ricevere in casa persone non conviventi. Ma, soprattutto, saranno annullate le attività culturali e associative. Che la cultura in Italia sia considerata un orpello “improduttivo”, che i lavoratori del teatro e della musica non siano valutati come dei professionisti è una storia vecchia.
Tuttavia, il problema sta diventando enorme e insostenibile, a fronte della chiusura totale di cinema, teatri e sale da concerto. Chiunque abbia partecipato a un concerto o a una rappresentazione teatrale negli ultimi mesi, e io sono tra questi, ha verificato la cura che gli organizzatori hanno avuto nel rispetto stretto delle misure di sicurezza.
Fatica buttata al vento, visto il disprezzo che questo governo dimostra per la cultura, che è sempre il primo settore a essere colpito. In questo modo, si gettano sul lastrico le gestioni dei teatri, dei festival, delle stagioni concertistiche e le migliaia di attori, musicisti e tecnici che li animano.
Ciò che interessa è la “produzione”, intesa come industriale (con i suoi annessi finanziari), l’unica considerata da Conte e soci. Che anche il teatro, il cinema, la musica siano produzione, ma di idee, di cultura, di socialità, di progettualità, e non di beni materiali, questo non interessa.Anzi, forse preoccupa…
Purtroppo, il settore dei lavoratori dello spettacolo è tra l’altro caratterizzato da una situazione contrattuale particolarmente difficile, dove sono molto frequenti contratti a prestazione, stagionali, temporanei. Si tratta quindi di una fascia di lavoratori che subiranno in modo drammatico le conseguenze di un altro fermo. Inoltre, molte sale e rassegne rischiano la chiusura.
Insomma, che con la cultura non si mangia – come sfuggì di dire a un altro ministro dell’economia di nome Tremonti – rischia di diventare tristemente vero. Sarà un grave danno per tutti che pagheremo nei decenni a venire con un sensibile impoverimento della vita culturale.
Mi sia anche consentito citare la chiusura dei centri sociali, culturali e ricreativi. Forse al governo non è nota l’importanza che questi luoghi associativi hanno avuto e hanno per la creazione di reti di socialità, di educazione dei minori e degli adulti, di solidarietà e di mutualismo, anche in situazione d’emergenza e in sostituzione, a volte, di funzioni che dovrebbero essere assolte dagli enti pubblici. La grande maggioranza di questi centri si erano peraltro perfettamente attrezzati per il rispetto delle norme sanitarie.
Nell’ambito dello sport, ciò che viene salvato dal governo sono i settori dove più forti sono gli interessi economici. Gli impianti sciistici sono, in linea di principio, chiusi, ma saranno possibili delle deroghe e viene salvaguardato solo il settore dell’attività professionistica, cioè quello dove girano soldi e i cittadini sono spettatori.
Tra questi, l’immarcescibile “Serie A” e i suoi diritti televisivi. Il CT della nazionale di calcio, Roberto Mancini, ha scritto che lo sport è un diritto come la scuola. Probabilmente ha ragione, ma solo se si fa riferimento al diritto di praticare uno sport, come cultura della salute e della natura, non a quello di guardare milionari in calzoncini stando seduti sul divano con la famosa frittatona alle cipolle e la Peroni familiare.
Quello non è un diritto, è abbrutimento.
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