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Torino scopre le proprie banlieues. 36 arresti e accuse che poi cadono

Martedi scorso più di duecento agenti hanno dato vita ad una vasta operazione di polizia nelle periferie torinesi contro i giovani e giovanissimi accusati di aver devastato e saccheggiato la sera del 26 ottobre scorso i negozi di lusso nel centro di Torino. E’ rimasta famosa la vetrina infranta di Gucci che suscitò tante recriminazioni.

Sono stati individuati 37 ragazzi, di cui 24 maggiorenni e 13 minorenni, molti dei quali immigrati di seconda generazione, qualcuno con precedenti di polizia per svariate tipologie di reato. Tutti sono finiti in carcere tranne un minorenne che è stato collocato in comunità. Un altro ragazzo si trovava già in carcere per altri episodi. L’accusa per tutti, pesantissima, è quella di devastazione e saccheggio.

La sera del 26 ottobre , una quarantina di attività commerciali di lusso finirono nel mirino di gruppi di giovani che, in occasione di una manifestazione spontanea contro le restrizioni anti-Covid  imposte dal governo, avevano inscenato una vera e propria ‘guerriglia urbana’. In quel contesto a finire nel mirino numerosi negozi del centro di Torino che vennero saccheggiati.

Molti dei giovani, sia durante che dopo il saccheggio dei negozi, condivisero poi le proprie imprese con foto e video sui social network; fesseria che ha reso facile la loro individuazione da parte della polizia. Una forte dose di ingenuità e di esibizionismo che rivela però l’assenza di pianificazione delle azioni e la totale vulnerabilità al totem della società della merce.

Gran parte dei ragazzi arrestati sono di origini magrebine, due sono romeni e quattro italiani.

A ottobre, gruppi di ragazzi e ragazzini delle periferie con il passaparola sui social si diedero appuntamento in centro – la vetrina ricca della città –  “per fare casino”. Questo è quanto afferma l’indagine della polizia su quanto accadde a Torino la sera del 26 ottobre in occasione di una protesta contro le misure anti Covid prese dal governo.

Secondo le indagini dalla polizia, dai tram della linea 4, quella delle periferie che unisce la città da nord a sud, partendo dalla Falchera, Barriera Milano, Porta Palazzo, fino a Mirafiori, erano arrivati alla spicciolata i banlieusards torinesi.

Infatti più di qualcuno, a cominciare dal quotidiano torinese La Stampa – che gli operai Fiat hanno sempre definito come la busiarda – evoca lo spettro delle banlieue francesi, ma stavolta nel cortile di casa, e nella metropoli italiana più “francese” d’Italia, cioè Torino.

Alla manifestazione di protesta del 26 ottobre contro le restrizioni anti-contagio, con due concentramenti, uno in piazza Castello e uno in piazza Vittorio, avevano partecipato centinaia di persone. “Tra i partecipanti la Digos aveva individuato gruppetti di ultrà della Juve e del Toro. Poi però la deriva di violenza era stata determinata dall’arrivo delle gang delle banlieue torinesi”, scrive La Stampa.

Lo stesso spettro viene evocato dal Questore e dalla procuratrice Patrizia Caputo. L’accusa è devastazione e saccheggio, con commenti ed argomentazioni che dicono molto sugli accusatori, la loro “cultura”, l’odio esplicito per “i meserabili” delle periferie..

“Quelle del 26 ottobre – afferma il  Questore De Matteis – non furono ragazzate, ma espressioni di una violenza che definirei quasi animalesca. E’ vero che le nostre periferie non possono essere chiamate ‘banlieue’, ma non per questo il fenomeno deve essere sottovalutato”.

E’ necessario riflettere – secondo il procuratore aggiunto Patrizia Caputo – perché qui all’istinto predatorio si affianca un disagio evidente. E la risposta giudiziaria, in questo caso, da sola non basta”. Questo episodio ha colpito la nostra città proprio come i fatti di piazza San Carlo – ha detto il procuratore aggiunto – si tratta di ragazzi che hanno quasi mostrato un atteggiamento di sfida, molti abitano nelle periferie della città e hanno precedenti penali“.

Ovviamente sugli arresti ci sono valutazioni molto diverse. “Questa operazione, orchestrata ad arte contro ragazzi e ragazze giovanissimi è il coronamento della strategia politica di gestione del malcontento popolare dentro la pandemia: punire chi osa sfidare il potere e la sua gestione criminale” commenta il sito Infoaut, voce storica della sinistra antagonista torinese.

Sui giornali viene messo l’accento sul fatto che siano figli di migranti, con il mal celato tentativo, razzista e subdolo, è di classificarli socialmente come disagiati incapaci di protestare con coscienza e volontariamente.  Come se il problema delle periferie fossero le seconde generazioni e non la povertà a cui sono costretti tutti quelli che ci abitano.. A loro va tutta la nostra solidarietà e la nostra vicinanzascrive Infoaut.

I paragoni si sa sono spesso impropri, ma colpisce il fatto che sul piano sociale, ancora una volta sia Torino ad anticipare le nuove dinamiche. Lo era stata con l’esplosione della massiccia immigrazione dal Sud e l’avvento operaio-massa che produsse gli incidenti di Piazza Statuto già nel 1962. Lo è adesso, in evidente crisi industriale e in assenza di attività economiche sostitutive, segnalando in anticipo, rispetto alle altre aree metropolitane l’avvento della dimensione delle banlieues. Che per caratteristiche di composizione sociale sono qualcosa di più e di diverso dalle periferie classicamente intese.

Sono anni che l’area metropolitana di Torino mostra l’acutizzazione delle sue ferite sociali. Prima la de-industralizzazione avviata dalla Fiat, poi la spoliazione di risorse da parte del “magnete milanese”,  poi ancora l’aumento della povertà registrato da molti osservatori soprattutto nella cintura delle periferie, infine la sindemia del Covid (perché alla luce di quanto accaduto di questo si tratta, ndr), hanno prodotto un cortocircuito sociale che prima o poi  non poteva che manifestarsi.

Il modello sabaudo/bonapartista degli apparati istituzionali torinesi – dalle amministrazioni alla Procura – ha in mente un modello storicamente coercitivo per gestire questa contraddizione. All’opposto, sarebbe decisivo coglierne tutti gli aspetti sociali e politici per fare di Torino, anche in questa occasione, il laboratorio del conflitto e della nuova composizione sociale da rovesciare contro il sistema dominante.

P.s.

Il giorno 11 marzo, sono cadute davanti al tribunale di Torino le accuse di devastazione e saccheggio a carico dei maggiorenni arrestati per l’assalto alle vetrine dei negozi del centro. Il giudice Agostino Pasquariello non ha convalidato gli arresti, differenziato le posizioni degli indagati: per sette ha disposto la custodia in carcere, per otto i domiciliari e per gli altri l’obbligo di dimora.

Interessanti le motivazioni.

Secondo il giudice il fermo non può essere convalidato perché “eseguito a oltre quattro mesi di distanza dai fatti“, un lasso di tempo che “rende difficile ipotizzare l’attualità di un pericolo di fuga“.

Per quanto riguarda invece la richiesta del reato di “saccheggio e devastazione”, riqualificata da Pasquariello, “non si condivide la qualificazione giuridica dei fatti operati dal pubblico ministero. E’ fatto notorio che il 26 ottobre si siano verificati episodi di violenza e di scontro con le forze dell’ordine ad opera di una frazione di partecipanti. Trattasi di singoli episodi di aggressione perpetuati da singoli individui in danno di singoli negozi. Nessun altro fatto è allegato e investigato dagli inquirenti“.

In pratica: l'”indagine” si è limitata all’identificazione dei ragazzi ripresi nel video e ad elevare contro di loro una fattispecie di reato più grave rispetto ai fatti. Nella evidente convinzione che contro di loro, privi di qualsiasi “copertura” sociale o politica, si possa far di tutto.

Una convinzione che dice molto sugli “inquirenti”, la loro “cultura”, ecc. 

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