L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, il 23 marzo ha inviato al premier Mario Draghi le sue “Proposte di riforma concorrenziale, ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021”. In tema di “Tutela della salute e concorrenza” vi è scritto: “L’Autorità suggerisce l’adozione di misure che garantiscano una maggiore apertura all’accesso delle strutture private all’esercizio di attività sanitarie non convenzionate con il SSN (servizio sanitario nazionale)”.
Questo, secondo l’Autorità Garante, dovrebbe “consentire di soddisfare meglio la crescente richiesta di assistenza e protezione dei cittadini, senza tagli alla spesa sanitaria.” Tradotto in soldoni: in sanità si farà solo ciò che serve a guadagnare e non ciò che serve alla nostra salute.
Da una parte i meno abbienti non avranno accesso alle cure migliori, ma dall’altra le cure dei privati saranno orientate a guadagnare di più e fare esami, interventi, e terapie, spesso di non dimostrata efficacia ma di grande ritorno economico.
Secondo noi, i cittadini non hanno bisogno di essere lanciati sul mercato a cercare “il medico più bravo”, “l’Ospedale migliore”, “l’ultimo ritrovato di cura che farai solo se trovi il medico bravo che te la propone”.
I cittadini devono pretendere che i servizi sanitari vengano valutati da un’autorità indipendente, e priva di interessi economici – lo Stato – in modo che adempiano ai loro compiti. Il loro fine non può essere produrre profitti da dividere fra gli azionisti, ma il miglioramento della salute delle persone attraverso le migliori cure disponibili.
La “concorrenza” in sanità è dannosa per la salute. Prendiamo ad esempio il caso della chirurgia per il carcinoma dello stomaco, tumore non frequente, che ottiene risultati migliori nelle strutture che effettuano almeno 20 interventi all’anno: permettendo a più servizi sanitari (pubblico e privato) di svolgere questo tipo di intervento, nessuno riesce a raggiungere la soglia dei 20 interventi e valutando la qualità del risultato ottenuto si evidenziano una bassa qualità e un incremento della mortalità. Questa situazione è già in essere nelle regioni con maggior presenza di sanità privata.
Le attività complesse, le grandi chirurgie, le attività diagnostiche, necessitano di grandi numeri, di aggiornamenti, di macchinari, e di controllo continuo sull’adeguatezza del lavoro svolto. Come potremo mai accettare che si passi al ‘si salvi chi può’ per la valutazione dell’efficacia delle cure?
Le cure più moderne e migliori da un punto di vista tecnologico, sono spesso insostenibili per la medicina privata, e solo la sanità pubblica può garantirle a tutti.
Alcune attività al contrario, sono semplici, non convenienti per il privato, poco remunerative e quindi esposte a una corsa al ribasso dei prezzi pericolosa anch’essa: ricordiamo che in Irlanda, a furia di acquistare al prezzo più basso la lettura dei pap test, la scarsa accuratezza della lettura ha causato delle morti evitabili.
La concorrenza, e quindi la legge del profitto, in sanità fa morti e feriti, aggrava il precariato, sposta gli interessi su ciò che genera profitto e non su ciò che è necessario, danneggiando i non abbienti, che riceveranno cure da discount, e alla lunga anche i ricchi, che saranno inseriti, come già succede negli Stati Uniti, in progetti che non migliorano gli esiti delle malattie ma le casse di chi domina il mercato.
Coloro che si arricchiscono non sono i medici, né il personale sanitario, ma gli azionisti più potenti, proprio come se fossero società petrolifere.
Siamo arrivati al punto che la valutazione dell’efficacia viene fatta da chi pensa al profitto e non da chi pensa alla salute. Il piano pandemico, che ci avrebbe protetto dal coronavirus, non era aggiornato e quindi non efficace, anche perché la prevenzione è una parte della sanità non remunerativa.
La qualità dell’aria, dell’acqua, la sicurezza dei luoghi di lavoro, che contribuiscono alla salute, sono di fatto parte della medicina preventiva, ma certo non sono di interesse per chi deve fare profitto.
D’altro canto le prestazioni più remunerative, e prescritte proprio per questo, risultano essere spesso inutili e talvolta addirittura dannose: nel sistema assicurativo degli Stati Uniti si calcola che il 30% delle prestazioni sia fatto solo per guadagno e che non sia di nessuna utilità per le persone, interventi chirurgici compresi.
In Italia l’esempio è dato dal welfare aziendale sotto forma di assicurazioni sanitarie con, cui vengono garantiti ai lavoratori dei pacchetti standard di prestazioni sanitarie in modo “gratuito” (in realtà grazie ad una trattenuta mensile sul salario). Tali prestazioni spesso non servono a migliorare la salute del lavoratore (che però si ritiene in questo modo maggiormente tutelato), ma risultano remunerative sia per le assicurazioni che per le strutture sanitarie a cui esse sono convenzionate e che erogano le prestazioni.
Ma “anche i ricchi piangono”, poiché vengono turlupinati da ospedali privati che li sottopongono ad esami diagnostici o, peggio, ad interventi chirurgici inutili, vedendo nelle assicurazioni sanitarie private una grande fonte di denaro.
In quest’ottica le lunghe liste d’attesa diventano solo uno dei tanti problemi a cui dare risposte riguardo al sistema sanitario, perché, se per diminuire le liste d’attesa contiamo sul privato convenzionato, senza porre mano a cosa serve quando serve, alimentiamo questo mercato della salute e sottraiamo risorse economiche alla sanità pubblica, condannandola a non poter aggiornare e migliorare le proprie prestazioni.
La Sanità non necessita di maggiore concorrenza, anzi, al contrario; ha bisogno che le cure siano estranee al concetto di profitto e che vengano garantite a tutte e tutti, non solo per equità, ma anche perché la sanità che si occupa della popolazione è migliore di quella che si occupa della singola persona, spesso intrappolata in una sequenza di incertezze in cui l’unica sicurezza sono i guadagni di chi la tratta.
Noi chiediamo che la sanità sia pubblica, che il privato sia residuale, che il controllo sull’efficacia e sull’efficienza sia dello Stato e del popolo, di chi ne usufruisce e non di chi ci lucra.
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