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Terzo Settore. L’ipoteca delle Fondazioni sul “No profit”/3

Terza puntata dell’inchiesta di Contropiano su natura e business del Terzo Settore.

Le Fondazioni di origine bancaria traggono origine negli anni ‘90, artefice il ministro dell’economia Guido Carli, braccio parlamentare Giuliano Amato, regista Nino Andreatta.

L’obiettivo era quello di determinare nel sistema bancario nazionale, con la trasformazione in S.pA. delle banche, le condizioni di approdo alle dinamiche di mercato. Presupposto fondamentale per la girandola di capitali da concentrare nella sequela di liberalizzazioni e privatizzazioni del sistema pubblico di aziende e servizi.

Il ruolo centrale assunto dal soggetto Fondazioni negli equilibri economico finanziari nazionali a cavallo del primo decennio del nuovo secolo, ne ha fatto un terminale obbligato delle tendenze che maturavano sul piano economico e politico e al contempo di incubazione di contraddizioni.

Da un lato, la necessità di rendere il sistema bancario funzionale alla libera circolazione dei capitali ha prodotto interventi normativi volti a ridimensionare l’incidenza delle Fondazioni nel controllo delle banche di riferimento; dall’altro, la funzione crescente di erogazione nei territori di flussi di finanziamento nei settori della sanità, cultura, sociale, ecc, ne rafforzavano il radicamento, la richiesta di intervento e la rilevanza economica.

Il versante interno delle Fondazioni, quello territoriale e “sociale”, in cui istituzionalmente si realizza la loro funzione, attraverso erogazioni nei settori della ricerca scientifica, sanità, arte, cultura, sociale, ecc, è l’altra faccia, quella socialmente più pervasiva del ruolo assunto dalle Fondazioni e del sistema di interessi ad esse collegato.

Ancora una volta il riferimento è l’assunzione delle direttive della U.E., quelle relative alle politiche di bilancio, ai  vincoli di spesa e alla gestione del debito pubblico. L’inverarsi delle condizioni poste nei vari trattati stipulati in ambito U.E. a governo delle politiche di spesa, fino a conseguire con la sua modifica legittimità costituzionale,  diviene l’architrave delle politiche economiche dell’ultimo ventennio.

La ritirata del sistema pubblico dalla proprietà, dal finanziamento, dalla gestione di beni e servizi collettivi ne costituisce la ben nota cornice. Inoltre, il drastico ridimensionamento dei trasferimenti agli enti territoriali, che con un’altra modifica costituzionale sono diventati centri di spesa e gestione di una gamma vastissima di servizi, apre squarci drammatici sulla condizione finanziaria  del welfare e della capacità del sistema di garantire la coesione sociale.

In questo spazio economico e sociale si inserisce l’intervento delle Fondazioni che con erogazioni corpose – anche nella fase di declino del loro ascendente nel sistema bancario,  sono riuscite comunque a garantire  flussi di denaro quantificati  in 22 miliardi di euro nel periodo 2010-2018  si confermano nel ruolo di supporto alle economie dei territori in cui sono prevalentemente insediate.

Un ruolo che travalica evidentemente gli ambiti sociali e filantropici: le erogazioni delle Fondazioni divengono elemento strutturale nella tenuta delle economie locali, alimentando il mercato interno che nei trasferimenti pubblici non trova più l’adeguato sostegno. Intorno alle Fondazioni si agglutinano interessi territoriali e professionali,  con cui di fatto condividono la discrezionalità nella scelta dei finanziamenti, discrezionalità che si estende alla gestione degli appalti e a tutto ciò che attiene le attività connesse.

I circuiti economici e sociali di riferimento prioritari sono quelle delle professioni, degli studi legali e immobiliari, degli studi di architetti e ingegneri, esperti di arte e restauro, centri di ricerca scientifico-sanitaria e di formazione, un mondo di borghesia professionalizzata di cui, almeno per la componente apicale, è difficile individuare le finalità benefiche proprie di organismi no-profit quali sono le Fondazioni.

Naturalmente lo sgocciolamento dei fondi può arrivare ad investire componenti socialmente fragili in cui piccole erogazioni, magari diffuse in più ambiti, dalla biblioteca di quartiere al circolo anziani, possono fare la differenza.

L’aspetto che si afferma con l’affievolirsi del legame delle Fondazioni con la loro origine bancaria, è una sostanziale autonomizzazione come organismi economici che nella  relazione con il settore sociale di riferimento, la borghesia professionalizzata appunto, consegue autoriproduzione e consolidamento sociale.

Nella ricerca di sempre maggiori spazi di intervento  prende corpo il fenomeno della clonazione delle Fondazioni: al pari di quanto si determina nel mondo economico con la costituzione di nuova società collegate ad una società madre, la fondazione di nuove Fondazioni, con specifici settori di intervento, con cui non solo ci si affranca completamente dall’originario rapporto bancario, ma si costituiscono di fatto soggetti economici autonomi.

Naturalmente questa mutazione delle Fondazioni nella realtà si realizza in modalità differenti in ragione dei diversi fattori, economici sociali e culturali dei territori, quello che interessa evidenziare è il connotato generale di una trasformazione che porta alla definizione di un modello economico e gestionale.

E’ un modello con delle caratteristiche che può essere utile riassumere:

  1. a) organismi di diritto privato al di fuori di controllo di merito da parte di organi esterni, ministero delle finanze, autorità di controllo, prefetture;

  2. b) sono dotate di un patrimonio di origine collettiva alla cui valorizzazione per finalità benefiche sono istituzionalmente preposte;

  3. c) c’è totale discrezionalità nell’individuazione dei settori di intervento purché abbiano un riferimento di tipo sociale; assoluta autonomia nella definizione di criteri di assegnazione e affidamento di lavori e attività.

La vicende della Fondazione Roma è emblematica, non solo perché tra le maggiori con un patrimonio di oltre due miliardi, ma soprattutto perché chiarisce in concreto il significato del modello economico proprio delle Fondazioni.

La Fondazione Roma ha realizzato nel corso degli anni una gamma di interventi notevole, costituendo una vera e propria holding  della “filantropia” nel 2013 si contano ben 5 Fondazioni di settore collegate alla Fondazione Madre: Fondazione Roma – Terzo Settore; Fondazione Roma-Mediterraneo;  Fondazione Roma- Arte Musei; Gestione Cliniche Spa; Fondazione Roma- Scienza e Ricerca; Fondazione con il Sud.

La mole di progetti realizzata è imponente, tanto quanto gli spazi abbandonati dall’intervento pubblico, pare non esista evento sociale, assistenziale, culturale, in effetti è difficile trovarne, che non veda partecipe la Fondazione, con una proiezione ben oltre i confini della metropoli.

Si tratta di una concentrazione di interessi privati e una rete di relazioni sociali formidabili al di fuori di qualsiasi apparente mediazione politica, intendendo progetti organici ad una visione di città ed ai suoi bisogni, in cui il terminale è la Fondazione stessa.

Ma quella di Fondazione Roma è un progetto in evoluzione, Roma forse comincia ad essere angusta per gli interessi dei “mecenati e benefattori” interni al mondo della Fondazione ed ecco nel 2014 una nuova mutazione: le fondazioni Roma Terzo Settore e  Roma Mediterraneo si fondono, costituendone un’altra Fondazione Terzo Pilastro- Italia e Mediterraneo che nel 2016 assorbe anche Roma Arte e Musei, un agglomerato da 40 milioni di euro con contributi dalla Fondazione madre nel periodo 2014-2017 di oltre 65 milioni di euro con sedi di rappresentanza in sette città Catania, Madrid, Rabat, Palermo, Cosenza, Valencia e Napoli…** E obiettivamente difficile considerarla alla stregua delle organizzazioni No-Profit.

Quello che si vuole evidenziare non sono le vicende, comunque significative, quanto il  “Modello Fondazione”, una dimensione economica sovrana e parallela, ormai in larghissima parte lontano dalla sua origine, che apre varchi nelle politiche di privatizzazione e gestione del patrimonio pubblico. Un modello che comincia a trovare i suoi replicanti, per restare con gli esempi nella metropoli romana, con la Fondazione MAXXI  costituita da Ministero dei Beni Culturali, con la Fondazione Bioparco costituita dal comune di Roma.

Il mondo del cosiddetto Terzo Settore ha conosciuto una crescita smisurata facendo confluire al suo interno interessi non sempre riconducibili a finalità sociali, trasformando i bisogni collettivi ed il patrimonio pubblico in territori di conquista per interessi privati. Cooperative Sociali, Onlus e Fondazioni  spesso in modo palese sono strumenti nelle mani di chi persegue l’appropriazione privatistica delle risorse pubbliche: i nemici da sconfiggere.

* I dati sono ripresi dal libro/inchiesta “I Signori delle città” di Nunzio, Gandolfo, casa editrice Ponte delle Grazie. Testo di cui si    consiglia la lettura

** Ibidem

Vedi le altre puntate dell’inchiesta

Terzo Settore: una invasione dei campo nei servizi pubblici/1

Terzo Settore: il business della benevolenza/2

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