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Il peso delle tasse? Su lavoratori e pensionati, ma chi strilla sono solo i ricchi

Mentre si deposita la polvere sull’ultima starnazzata dei ricchi contro l’aumento della tassa di successione sui grandi patrimoni, si conferma con assai meno clamore del dovuto che il peso fiscale è sbilanciato sui redditi medi e concentrato sul lavoro dipendente e sulle pensioni.

A ribadire una verità ormai acclarata e consolidata questa volta è la Corte dei Conti che ha invitato a spostare il prelievo dall’Irpef all’Iva, a sfoltire e semplificare la giungla di agevolazioni fiscali che sottraggono 53 miliardi alle casse dello Stato e a rivedere profondamente il sistema della riscossione.

Il prelievo fiscale, sottolinea la Corte nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2021, “é concentrato sui redditi da lavoro dipendente e pensione, piuttosto sbilanciato sui redditi medi e con andamenti irregolari e distorsivi delle aliquote marginali effettive”. Per la magistratura contabile, “il declino del peso dei redditi da lavoro sul Pil, la persistente e significativa evasione e il proliferare di trattamenti tributari differenziati contribuiscono a mettere in dubbio che si possa ancora parlare di prelievo ‘generale’ sui redditi”.

“I prossimi anni richiederanno un considerevole sforzo fiscale per far fronte ai costi della pandemia – osserva la Corte – sarà dunque necessario guardare all’efficienza e all’equità del sistema tributario nel suo complesso, ipotizzando varie forme di ricomposizione del contributo dei prelievi diretti e indiretti alla copertura del bilancio, tra le quali adeguata attenzione potrebbe essere riservata ad un parziale spostamento del prelievo dall’Irpef all’Iva”.

Certo, un ragionamento anche sulla tassazione indiretta – in questo caso l’Iva – andrebbe circostanziato, perchè questa è decisamente una imposta uguale per tutti indipendentemente dalle possibilità di reddito e quindi aliena al principio della progressività. Ma finora è stato un argomento tabù.

Nel mirino dei magistrati contabili finiscono anche le tax expenditures, ovvero la giungla degli sconti e delle agevolazioni fiscali, che “ha significativamente contribuito a rendere complesso il prelievo” poiché  “nonostante siano stati assunti nel tempo continui impegni a limitarne l’uso, il loro numero ha continuato ad aumentare sensibilmente”.

Anche su questo il sistema fiscale ha prodotto un ginepraio, che però ha sempre limitato fortemente il ricorso ad agevolazioni per i redditi da lavoro e da pensione creando quindi una asimmetria crescente.

Per la Corte dei Conti, “si tratta di eccezioni alla regola generale riconducibili a circa 250 agevolazioni, che causano una significativa perdita di gettito (circa 53 miliardi nel 2021). Difficile, tuttavia, valutarne l’impatto complessivo, vista l’eterogeneità dei provvedimenti, per natura, scopo e quota dei contribuenti interessati”.

La Corte sottolinea inoltre “la necessità di una profonda revisione” del sistema della riscossione dei tributi segnalando che “particolare rilievo dovrebbe assumere la questione dello smaltimento dei carichi pregressi, in gran parte ritenuti non riscuotibili”.

Anche la Corte dei Conti però paga la cambiale della fedeltà al manovratore, decantando come il Recovery Plan rappresenti “un’opportunità unica per effettuare investimenti che aumentino il potenziale di crescita del Paese, ma – osservano i magistrati contabili – per raggiungere tale obiettivo sarà necessario che vengano attuate con rapidità quelle riforme da tempo sollecitate da tutti gli osservatori internazionali e che ne rappresentano una parte fondamentale. Solo creando un contesto più trasparente ed efficiente con le riforme su giustizia, pubblica amministrazione, ammortizzatori sociali e fisco sarà possibile rimettere in moto il Paese, attrarre imprese e capitali esteri, offrire occasioni ai giovani, sia a quelli che pur formati ad alto livello nelle nostre Università non riescono a trovare opportunità in Italia, che a quelli sempre in maggior numero che si allontanano dalla scuola senza riuscire ad inserirsi nel mondo del lavoro”.

Insomma in tre giorni la Corte dei Conti ha messo sulla graticola il carattere di classe dell’università e le disuguaglianze nel sistema fiscale. O i magistrati contabili si sono iscritti in segreto a Potere al Popolo piuttosto che in quella o questa loggia, oppure registrano i processi per come si presentano e li indicano come tali nelle loro relazioni.

Il problema è che in questi anni abbiamo verificato come alcune risoluzioni della Corte dei Conti vengono fatte applicare alla lettera dagli apparati di governo sia nazionale che locali – spesso con risultati più che discutibili –  altre hanno invece meno potere vigente. Una conferma in più che le leggi – anche quelle contabili – sono oggetto di lotta politica e sociale e che la loro attuazione o meno dipende molto dai rapporti di forza tra interessi materiali divergenti dentro una società. E’ al rovesciamento di questi che occorre dedicare tutte le energie disponibili e potenziali.

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