Quando l’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani interviene sull’Italia per dichiarare che quello alla casa è un diritto inalienabile e lo sfratto senza alternative è illegale, viene da chiedersi come sia stato possibile arrivare a questo punto.
Questa mattina gli attivisti che stanno preparando la manifestazione nazionale a Roma di sabato 26 giugno al ministero dell Infrastrutture (l’appuntamento alle ore 15.00 a piazza Indipendenza), sono andati a portare il documento dell’Onu al Tribunale Civile di Roma per bloccare uno sfratto e denunciare la situazione in una conferenza stampa.
La dichiarazione dell’Onu ribadisce quello che abbiamo sostenuto sistematicamente in questi quasi cinquanta anni in cui la lotta per la casa è stata una costante nei movimenti sociali metropolitani, ma anche dello stesso movimento operaio, che nei primi anni Settanta visse addirittura uno sciopero generale sul problema della casa.
Da allora nel nostro paese l’emergenza abitativa si è riproposta continuamente e sistematicamente in tutte le realtà urbane: dai baraccati agli sfrattati, dalle coabitazioni forzate all’impossibilità di pagare un affitto esoso perché lasciato al libero mercato, dalle case popolari che non vengono costruite da decenni a quelle esistenti che si vorrebbe privatizzare e mettere in vendita.
Nel promuovere la manifestazione di domani (sabato per chi legge) le organizzazioni promotrici (Asia Usb, Movimento per il Diritto all’Abitare, Cambiare Rotta, campagna Sciopero dell’affitto ed altri), denunciano quanto sia contundente ed evidente che nel Piano di Ripresa e Resilienza Nazionale non ci siano passaggi degni di nota capaci di affrontare la questione abitativa. Decisamente le richieste crescenti di casa e dignità di abitanti in difficoltà e generazioni sempre più precarie e impoverite le cui condizioni materiali sono state messe ancora più a dura prova dalla pandemia, non vengono recepite.
Si utilizza il termine social housing per mascherare un abbandono sistematico del ruolo dello Stato e degli enti locali nella gestione dell’abitare, consegnando di fatto nuovamente nelle mani della rendita e del mercato le soluzioni da mettere in campo. In questo modo si rinuncia al ripristino del controllo pubblico sui canoni di locazione e la pianificazione urbanistica orientata alla cura della città pubblica.
Evidentemente, è troppo profonda la distanza tra chi pensa che occuparsi di politiche abitative significhi fare greenwashing e avviare nuovi cantieri per opere inutili e dannose. Iniziative giustificate con la necessità di far ripartire il comparto delle costruzioni, senza però puntare con decisione sul riuso dell’esistente pubblico e privato finalizzandolo ad una nuova stagione di edilizia residenziale pubblica.
Anzi: ancora una volta, come esemplificato dal capitolo Caput Mundi del PNRR, si ritiene che la ricetta per la ripresa sia alimentare quella monocoltura turistica che sottrae alloggi, saccheggia e svuota i territori, e fa da moltiplicatore alla gentrification e ai processi espulsivi dei residenti che non riescono ad essere ‘resilienti’ rispetto alle sempre crescenti pretese della rendita.
Emblematico è anche l’approccio alla questione dell’edilizia scolastica e degli studentati, dove invece di allestire strumenti in grado di calmierare il mercato privato che sfrutta impunemente giovani precari, il ministro Giovannini ha ben pensato di offrire ulteriore spazio agli investimenti privati, ammorbidendo ulteriormente i criteri di abitabilità.
Per non parlare, infine, delle orecchie da mercante fatte alla richiesta di abolire immediatamente gli escludenti articoli 3 e 5 del “Piano Casa” Renzi-Lupi del 2014 che, combinando la negazione della residenza agli abitanti ritenuti senza titolo, e la massiccia vendita delle case popolari, hanno prodotto una negazione sostanziale dei diritti sociali e civili, che ben poco ha da invidiare alle leggi sull’urbanesimo, agli sventramenti e le deportazioni di mussoliniana memoria.
“Nonostante l’interlocuzione interrotta, la nostra capacità di intrecciare il ragionamento e il conflitto non si è mai interrotta” scrivono gli organizzatori della manifestazione di sabato. “Ragionando insieme a partire dalle linee dei picchetti antisfratto, dalle piazze, dai cortei, dalla costruzione delle barricate per opporci agli sgomberi delle occupazioni abitative, abbiamo continuato ad aggiungere tasselli a quella proposta popolare di Legge sull’Abitare che abbiamo evocato dal 27 marzo con la petizione ‘Senza Casa Non C’è Salute!’ (www.change.org/LeggeAbitare2021), poi nel corso del Convegno nazionale svolto nell’occupazione abitativa di Metropoliz a maggio 2021, e che oggi sentiamo come più che mai imprescindibile.
Oggi ancor di più di quel 19 ottobre di alcuni anni fa, non possiamo che affermare che la lotta, l’organizzazione, la riappropriazione diretta di reddito indiretto attraverso la casa siano l’unico terreno di riscatto possibile per tutte quelle persone che sono state rese precarie, sfruttate e abbandonate persino dopo la pandemia da istituzioni che pensano che il problema della casa sia una questione di rendita, di profitto del terzo settore, o peggio ancora una questione di ordine pubblico”.
Le organizzazioni e i movimenti per il diritto all’abitare hanno dunque deciso di gettare il cuore oltre l’ostacolo e chiamare a raccolta sabato 26 giugno a Roma tutte le realtà nazionali impegnate sul terreno dell’emergenza abitativa. Appuntamento alle ore 15 da Piazza Indipendenza per confluire a Porta Pia sotto le finestre del Ministero Infrastrutture e Trasporti per riprendere un confronto prima che la situazione diventi più drammatica.
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