La visita di Stato di Mattarella in Francia, dopo il vertice bilaterale di Napoli tra Conte e Macron nel 2020, ha segnato un passaggio decisivo per la firma di un trattato di cooperazione bilaterale, il cosiddetto Trattato del Quirinale.
Le relazioni tra Italia e Francia erano decisamente tese e in ribasso su temi come quelli del controllo delle migrazioni, l’acquisizione dei cantieri Stx di St. Nazaire da parte di Fincantieri e l’instabilità in Libia, dove gli interessi di Roma e Parigi sono stati divaricanti e opposti sin dal colpo di stato contro Gheddafi nel 2011.
Occorre rammentare che nel febbraio 2019 veniva richiamato a Parigi l’ambasciatore francese in Italia Christian Masset per protesta a seguito dell’incontro dell’allora vicepremier Luigi Di Maio con una delegazione di Jilet Jaunes.
All’obiettivo di un Trattato bilaterale tra Italia e Francia, le diplomazie dei due paesi stavano lavorando sin dall’inizio del 2018 stabilendo una commissione mista italo-francese, Poi erano insorti problemi con l’esecutivo Conte 1. Ma con il governo Conte 2, i rapporti bilaterali hanno ripreso una forma di normalità, con il summit di Napoli del febbraio 2020 che sancì un vero e proprio rilancio e una ripresa di una comunicazione a livello ministeriale che rilanciò il trattato bilaterale.
L’insediamento del governo Draghi ha poi impresso una ulteriore svolta. Un esempio malvagio di questa, è chiaramente leggibile nel blitz contro i rifugiati politici italiani in Francia di due mesi fa, esplicitamente richiesto dalle autorità italiane.
Non solo. C’è anche stato il recente invio di truppe italiane in Mali, e prima ancora in Niger, richiesto dalla Francia in difficoltà nel suo controllo coloniale in Africa.
In questo contesto si inserisce il viaggio di Mattarella a Parigi con un invito a chiudere i lavori del trattato entro la fine dell’anno.
Al momento ci sono due testi diversi, con una Francia che insiste su un impianto di istituzionalizzazione del rapporto per beneficiare di meccanismi paragonabili a quelli franco-tedeschi previsti dal Trattato di Aquisgrana, mentre l’Italia sembra esprimere riluttanza per l’approccio francese a causa della subalternità verso Germania e Stati Uniti e quindi del tentativo di non sbilanciarsi.
Secondo il sito Affari Interazionali, un rapporto bilaterale concepito come leva nel contesto europeo rappresenta “una vera e propria novità per l’Italia, che probabilmente disturba una certa visione diplomatica abituata al multilateralismo o a forme di bilateralismo “non integrate”, ad esempio con gli Usa”.
Sulla impegnativa firma del Trattato del Quirinale tra Italia e Francia pesano però alcune incognite e diversi dossier rognosi.
Le incognite riguardano inevitabilmente il rapporto con la Germania. Per l’Italia la filiera politica spinge indubbiamente per una più forte convergenza con la Francia, ma la filiera economico/produttiva ha palesato da anni una più forte integrazione – anche se subalterna – con la Germania. L’ambizione dell’Italia di entrare a far parte di quello che Limes definisce come il “Triangolo di comando” nell’Unione Europea – adesso che la Gran Bretagna si è messa fuori con la Brexit – implica scelte impegnative non più gestibili con il solito cerchiobottismo.
In secondo luogo sul piano delle leve di comando, in questi anni le multinazionali francesi hanno fatto shopping a buon mercato in Italia. E non nascondono l’ambizione di sottrarre il gioiello di famiglia – Leonardo – all’influenza anglostatunitense per portarlo dentro la costruzione e concentrazione intorno ai campioni industriali europei. Ovviamente gli usa non gradiscono e la Germania è riluttante a gettarsi nella mischia in terreni come quelli dell’industria e della politica militare in cui la Francia ha più carte da giocare.
C’è un punto però dove il “Triangolo” sembra convergere pienamente: la fine del voto per unanimità nelle decisioni a livello di Unione Europea e la fine del diritto di veto al singolo paese.
La competizione globale pretende poteri e gerarchie decisionali rapide e definite. Il fatto che Malta o la Lituania o l’Ungheria possano ancora fermare processi decisionali della Ue è uno scenario destinato a sparire. Anzi forse sarà proprio l’Ungheria sulla vicenda delle regole sui diritti delle persone LGBTQ a fungere da esperimento per la nuova gerarchizzazione decisionale nell’Unione Europea.
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