Se la responsabilità giuridica è in relazione ad un dovere giuridico ed ha come riferimento una specifica norma giuridica, non è ancora dato sapere sulla base di quale assunto giuridico e normativo sia ancora possibile, nel 2021, condannare un compagno o chicchessia sulla base di un accusa di “responsabilità morale“.
La responsabilità morale chiama in causa un dovere morale o etico ed ha come punto di riferimento una “norma morale”.
Ma qui siamo allora di fronte a ciò che si definire uno “Stato Etico”, ovvero, quella forma istituzionale, teorizzata, ad esempio, da filosofi come Hobbes, in cui è l’istituzione statale il fine ultimo a cui devono tendere le azioni dei singoli individui, nonché la realizzazione concreta del “bene universale” .
Ora noi sappiamo che la teoria dello “Stato etico” fu poi ripresa nel Novecento. Essendo in antitesi proprio con la teoria liberale dello Stato di diritto, è stata usata a fondamento della concezione dello Stato fascista di Benito Mussolini. E fu, in particolare, il filosofo neoidealista Giovanni Gentile che la riprese e la rielaborò nei Fondamenti della filosofia del diritto (1916).
Ma anche in tutta la “legislazione dall’emergenza”, tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, si abusò di questa astrusa ed infame categoria per intentare centinaia di processi politici in tribunali politici che camminarono migliaia di condanne, anche durissime, sempre per motivi politici nei confronti di migliaia di compagni che avevano come unica responsabilità quella di essere stati degli appassionati attivisti politici ed avere animato uno storico ciclo di lotte, nel contesto di un conflitto sociale e politico abbastanza lungo e generalizzato.
Il provvedimento di condanna che ha colpito oggi il compagno Giovanni Ceraolo si basa su questa assurda ed anacronistica accusa di “responsabilità morale” (ovvero, non ha commesso alcun reato dimostrabile con prove, ma avrebbe “ispirato” dei moti di piazza).
Si tratta, in tutta evidenza, di una condanna politica che colpisce duramente un compagno noto nella città di Livorno (e non solo ) unicamente per essere stato, da diversi anni, un appassionato ed indomabile attivista sociale e sindacale, sempre al fianco degli ultimi, dei lavoratori precari, dei disoccupati e dei senza casa.
E più recentemente Giovanni si era reso molto attivo nella creazione di una rete sindacale – un vero “fronte del porto” – che ha messo insieme i lavoratori dei maggiori porti italiani e che ha messo in atto robuste iniziative di lotta contro il traffico di armi verso paesi belligeranti ed aggressori, tra cui l’Arabia Saudita che da anni sta martoriando il popolo yemenita caduto in una gravissima crisi umanitaria a causa dei bombardamenti indiscriminati ed incessanti sui civili.
Tutto questo impegno era imperdonabile, “immorale” per la loro “etica” borghese e filopadronale. Pertanto andava sanzionato.
Ed ecco che a distanza di quasi dieci anni dai fatti incriminati la cui sola “responsabilità morale” viene ascritta a Giovanni, arriva la condanna a 2 anni e sei mesi.
Solidarietà totale ed incondizionata a Giovanni per questa condanna ingiusta e di chiaro segno politico che va a colpire uno dei compagni più validi e combattivi della nostra regione.
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LIVORNO NON SI PIEGA
Sono passati quasi 9 anni da quando il 30 novembre, 1 e 2 dicembre 2012 la città di Livorno visse tre giorni di vera e propria “follia”.
Tre giorni di provocazioni e violente cariche da parte della Polizia in assetto antisommossa con diversi feriti.
Tutto iniziò da una semplice contestazione pacifica durante un comizio del Partito Democratico alla stazione marittima il 30 novembre. In quell’occasione ci furono diverse cariche a freddo contro i manifestanti.
Il giorno successivo, 1 dicembre, manifestando con un presidio itinerante nel centro della città, varie realtà politiche sociali e sindacali denunciarono le cariche della sera prima, con interventi al megafono.
Al termine del presidio, proprio mentre al megafono veniva annunciata la conclusione della manifestazione, i funzionari della questura fecero schierare polizia e carabinieri in assetto antisommossa.
Dopo aver minacciato i manifestanti venne ordinata senza alcun preavviso una carica illegittima e indiscriminata che attraversò metà piazza, colpendo ripetutamente anche con le radio tutte le persone che si trovavano là, una violenza in cui si trovarono coinvolte anche passanti e persone che si erano fermate ad ascoltare gli interventi.
Questa grave prepotenza della polizia, in una delle principali piazza del centro, nel pieno del passeggio del sabato, provocò fin da subito una grande indignazione in città. E molte persone già dopo la carica si fermarono per esprimere il proprio sostegno ai manifestanti.
Per il giorno successivo, domenica 2 dicembre fu immediatamente convocato un altro appuntamento in Piazza Cavour. Un presidio che si trasformò presto in una grande manifestazione di massa. La risposta della città per impedire il susseguirsi di altre violenze.
Una manifestazione che dimostrò, ancora una volta, come questa città non sia disposta ad accettare le prepotenze di chi vuole impedire con la violenza la libertà di espressione e di manifestazione, di chi in quella occasione fece di tutto per provocare disordini così come durante il cosiddetto “assalto alla Prefettura”
Per quei fatti oltre 20 attivisti e attiviste andarono a processo. Individuati “chirurgicamente” tra gli appartenenti a strutture politiche e sindacali e accusati anche di responsabilità morale.
A distanza di 9 anni si sono conclusi i tre gradi di giudizio e le condanne sono diventate definitive. La stessa giustizia che assolve gli assassini della strage di Viareggio così come i responsabili di centinaia di omicidi sul lavoro ma che non ha scrupoli a colpire attivisti*e sindacalist* da anni impegnati in lotte sociali a fianco di migliaia di cittadini e lavoratori in difficoltà. Alcuni di loro giovanissimi all’epoca dei fatti.
Le condanne comminate sono molto pesanti. La Cassazione, confermando una prassi ormai consolidata in questi e in altri casi, ha deciso il 24 giugno scorso di considerare inammissibile in ricorso presentato dagli avvocati.
Tutto ciò nonostante vi fossero gravi irregolarità procedurali nella sentenza di appello. 5 attivisti rischiano materialmente il carcere nei prossimi mesi. Tra risarcimenti e ammende in 20 dovranno pagare quasi centomila euro. Ad uno degli imputati è già stato notificato il pignoramento della prima casa.
Consideriamo questa sentenza un fatto gravissimo. Una sentenza politica per punire chi ha affermato la libertà di manifestazione. Una vendetta inutile, che non è riuscita a bloccare le lotte sociali e il radicamento nel tessuto cittadino di chi con la propria attività ha costruito e continua a costruire una reale opposizione sociale, a fianco di tutte le lavoratrici, i lavoratori, i soggetti in difficoltà, contro la marginalizzazione e lo sfruttamento, contro il saccheggio del territorio.
Proprio per sostenere questo impegno costante, che non si è mai fermato né con la repressione ne’ con la pandemia, c’è bisogno di solidarietà. Per questo chiediamo di sostenere anche economicamente, oltre che politicamente, le compagne e i compagni colpiti dalla repressione attraverso un contributo di sostegno alle ingenti spese legali.
Perché ora come allora: Livorno non si piega!
Potete farlo a questo link https://www.gofundme.com/f/effetto-refugio?utm_campaign=p_cp_url&utm_medium=os&utm_source=customer
Oppure tramite bonifico: IBAN- IT67J0308301610000000018331
N.Conto-00018331
Intestatario- CANESSA GABRIELE
Banca- UBI Banca Private Investment
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Gisella Rossi
Gravissimo è dire poco… solidarietà a Giovanni!!!