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Quando contro il carovita si mobilitava il paese

La guerra tra salari, prezzi e profitti attraversa tutta la storia del movimento operaio, anche nel nostro paese, basta pensare alla rivolta popolare contro la tassa sul macinato e le cannonate sulla folla del gen. Bava Beccaris. Ed oggi la contraddizione si ripropone con forza davanti al pesantissimo aumento delle tariffe di gas, luce, carburanti e di tutta la conseguente catena dei prezzi.

Negli anni Settanta e fino a metà degli anni Ottanta la questione è stata al centro di un durissimo scontro politico e sociale. La parola “carovita” entrò nel linguaggio comune – più come sintesi di una dannazione che come categoria politica – nella prima metà degli anni Settanta.

Lo shock petrolifero dell’autunno 1973, dovuto alla ritorsione dei paesi arabi nell’Opec per il sostegno statunitense ed europeo ad Israele nella guerra dello Yom Kippur con Siria ed Egitto, portò al raddoppio – e in alcuni momenti ancora di più – del prezzo del petrolio. Inevitabili le conseguenze anche sulle economie capitaliste occidentali.

In Italia l’allora governo Rumor vara la politica dell’austerità (oggi declinata, anglicizzzata e conosciuta come “austerity” soprattutto dopo la crisi del 2007/2008). Oltre agli episodi ricordati come note di colore – le domeniche a piedi e senza circolazione delle automobili – ci fu una brusca impennata dei prezzi dei beni alimentari e delle tariffe delle bollette e un clima pesante a partire dall’inverno 1974. L’inflazione galoppava a doppia cifra.

Ma cominciarono anche mobilitazioni in risposta a quello che veniva definito come “carovita”.

Autoriduzione delle bollette, spese proletarie, mercatini rossi

A Milano, il 19 novembre 1974 gruppi di operai e militanti della sinistra antagonista realizzarono due “spese proletarie” in due supermercati nelle zone proletarie della città. Uno a Quarto Oggiaro, l’altro a via Padova. Riempiti i carrelli della spesa, alle casse fu pagato metà dell’importo, perché a quel punto era una spesa “proletaria” decisamente diversa da quella di tutte le settimane.

Contemporaneamente, anche in ambiti sindacali (allora c’era la Flm come federazione unitaria dei metalmeccanici) oltre che attraverso le organizzazioni della sinistra extraparlamentare, nei quartieri popolari di Milano e Torino partì l’autoriduzione delle bollette dell’elettricità. Gli importi venivano pagati al 50% attraverso i conti correnti compilati dai comitati invece che le normali bollette.

L’autoriduzione si estese rapidamente anche nei quartieri popolari di Roma, ma qui era organizzata soprattutto dall’Organizzazione Proletaria Romana, dai Comitati Autonomi Operai e da Lotta Continua. E il discorso si fece diverso: “Paghiamo 8 lire al Kw come i padroni”. La ragione era che le utenze domestiche avevano tariffe di consumo più alte rispetto a quelle delle imprese.

L’autoriduzione ben presto dilaga in decine di quartieri popolari, e dalle assemblee con i proletari e la compilazione dei conti correnti con importi ridotti rispetto a quelli inviati da Enel o Acea, si passa anche alla resistenza.

Cominciarono così i picchetti e le ronde popolari contro i distacchi della luce. Quando arrivava voce che i tecnici di Enel o Acea sarebbero venuti per staccare l’elettricità alle famiglie, nei quartieri sorgevano picchetti, presidi e ronde che li intercettavano e gli impedivano fisicamente di farlo. Decisivi furono i compagni e gli operai del Comitato Politico Enel che avvisavano per tempo e partecipavano alle assemblee popolari spiegando il loro sostegno a questa forma di resistenza popolare contro il carovita.

L’autoriduzione è andata avanti fino ai primi anni Ottanta quando si contrattò una sorta di moratoria sugli arretrati non pagati negli anni precedenti.

Contemporaneamente, parlando di Roma, si era sviluppata anche l’iniziativa sui prezzi dei generi alimentari con manifestazioni popolari davanti al Centro Carni in via Togliatti con richiesta di messa in vendita di carne a prezzo politico, cioè più basso di quello del mercato.

Inoltre si faceva pressione sul Comune affinché i banchi dell’ECC (Ente Comunale di Consumo) presenti in ogni mercato rionale, svolgessero effettivamente la loro funzione di calmierazione sui prezzi della carne.

In molti quartieri popolari, animati dai gruppi della sinistra extraparlamentare come Lotta Continua e Avanguardia Operaia, prendevano  corpo i “mercatini rossi”. Si acquistavano prodotti ortofrutticoli e il pane direttamente dai fornitori – saltando così l’intermediazione – e si vendevano a prezzo politico nelle piazze dei quartieri.

Ci furono diversi interventi ed anche tafferugli con i vigili urbani o la polizia che intendevano impedire i mercatini rossi in quanto illegali, ma erano interventi decisamente “impopolari” perché la gente dei quartieri sosteneva apertamente i militanti della sinistra.

Nel maggio del1976 ci fu poi un episodio clamoroso. Un grossista di carni, Giuseppe Ambrosio, viene sequestrato da una organizzazione clandestina definitasi “Unità Combattenti Comuniste”. Il riscatto che viene chiesto è la distribuzione di carne a 1.500 lire al chilo in 71 macellerie nei quartieri popolari di Roma. La cosa in qualche modo funzionò –anche se si cercò di tenere la notizia molto riservata e di non diffonderla per evitare effetti emulazione – e Ambrosio venne liberato dopo qualche giorno.

La “Scala mobile” a difesa dei salari

Ma se sul piano sociale la lotta contro il carovita si articolava soprattutto nei quartieri, sul piano sindacale nel 1975 venne strappata una delle più importanti conquiste del movimento operaio: Il Punto unico di contingenza più conosciuto come “Scala mobile” valido per tutti i lavoratori.

Si trattava di un meccanismo che adeguava automaticamente i salari all’andamento dei prezzi basato su un paniere di beni ritenuti di prima necessità per la vita delle famiglie dei lavoratori (tra questi l’unica concessione ai beni “voluttuari” erano le sigarette “Nazionali” senza filtro).

La Scala mobile esisteva già dal dopoguerra ma era riservato solo ad alcune qualifiche e fasce d’età, in sostanza ai lavoratori con famiglia. Dal 1975 invece la Scala mobile avrebbe adeguato i salari di tutti i lavoratori all’aumento dei prezzi registrato. Fino alla sua abolizione, spesso la Scala mobile superava la stessa paga base.

Negli anni Ottanta dell’ultraliberismo emergente della Thatcher e di Reagan nel mondo capitalista, a farsi interprete di questa ondata restauratrice e antioperaia fu un governo guidato dal leader del Partito Socialista Bettino Craxi. Il governo, in nome della lotta all’inflazione, nel febbraio 1984 decide di tagliare per decreto quattro punti di Scala mobile dai salari.

La reazione operaia fu vastissima in tutto il paese, ma il nemico marciava alla sua testa. Non solo la componente socialista della Cgil “intelligeva con il nemico” ma anche settori dirigenti del Pci (quelli che diventeranno i miglioristi filo Psi) erano sostanzialmente d’accordo con la decisione del governo. Lo stesso segretario del Pci, Berlinguer, si era ritrovato spesso isolato nella segreteria del partito per la sua posizione di difesa della Scala mobile, tanto che morì durante un comizio a Padova a giugno 1984 convocata proprio su questo tema.

Nel paese vengono rapidamente raccolte le firme necessarie per un referendum che abroghi il Decreto Craxi – chiamato Decreto di San Valentino – e nel 1985 si arriva alla consultazione popolare che vide però prevalere il mantenimento del decreto che tagliava la Scala mobile con il 54% contro il 46% che invece ne difendeva la validità come difesa dei salari.

Il referendum fu preceduto e accompagnato da una campagna ossessiva e martellante – nella quale si confermò la natura antioperaia e anticomunista di un giornale come La Repubblica – con tutti i Tg di stato accodati alla tesi che la Scala mobile era causa dell’inflazione (allora a doppia cifra) e che invece la sua riduzione ne avrebbe prodotto la diminuzione. Inoltre l’intelligenza con il nemico da parte di settori della Cgil e del Pci fu clamorosa, e in qualche modo portò alla luce quella crisi già latente del Pci che sfociò cinque anni dopo nella svolta della Bolognina e lo scioglimento del partito.

Inutile dire che l’inflazione non diminuì affatto ma cominciò a diminuire solo il potere d’acquisto dei salari, estendendo a livello generale quella restaurazione padronale già avviata con i licenziamenti alla Fiat del 1980.

La Scala mobile fu abolita del tutto durante i governi di Maastricht (Amato, Ciampi) nel 1992 e 1993, dando vita a quella politica dei redditi e alla concertazione tra CgilCislUil-Confindustria-Governo e che ha visto i salari di lavoratori e lavoratrici italiani perdere pesantemente e sistematicamente potere d’acquisto proprio a partire dai primi anni Novanta, in nome ovviamente della lotta all’inflazione… e per la riduzione del debito pubblico. 

L’operazione fu fatta con la piena complicità di CgilCislUil (e nelle piazze volarono i bulloni contro i dirigenti sindacali) e con un parametro del tutto farlocco come l’inflazione programmata alla quale dovevano adeguarsi i salari. Inutile dire che questa era fortemente inferiore all’inflazione reale e agli aumenti dei prezzi.

La battaglia sul reddito e la “Quarta settimana”

Una nuova, ma breve fase, di mobilitazione contro il carovita si ebbe intorno al 2004, quando intersecandosi con la mobilitazione per la rivendicazione del reddito (declinato in modi diversi ma posto al centro delle iniziative), venne riposta la questione del rapporto ormai saltato tra il potere d’acquisto dei salari (indietreggiato a livelli inaccettabili), la diffusione dei bassi salari tramite le leggi che avevano introdotto ed enormemente diffuso la precarietà del lavoro (Treu, Biagi) e l’andamento dei prezzi.

Hand pushing a shopping cart through the aisles of a supermarket, holding a list with groceries, with the daily necessities in handwriting on a slip of paper

A fine stipendio avanza troppo mese” era lo slogan di una campagna popolare sulla “Quarta settimana”, nel senso che il potere d’acquisto dei salari in rapporto ai prezzi di fatto si esauriva alla terza settimana del mese, mentre non rimaneva più salario spendibile per le esigenze della quarta settimana.

Ci furono di nuovi anche episodi di “spesa proletaria” come al supermercato Panorama a Roma, o in alcuni supermercati nell’area metropolitana di Napoli ma – diversamente che negli anni Settanta – nessuna iniziativa simile nelle città del Nord.

Adesso il carovita, o se volete l’eterna lotta tra salari, prezzi e profitti, è tornata al centro dell’agenda politica e sindacale, anzi occorre agire per tenercela ben piazzata, anche perchè sia l’Unione Europea che il governo Draghi torneranno alla carica contro i salari in nome del pericolo della ripresa del’inflazione.

Il boom delle tariffe di luce e gas, l’aumento dei prezzi dei beni alimentari e di prima necessità dovuti all’aumento del prezzo dell’energia, non sono materie da class action di consumatori (anche se questo terreno andrebbe comunque usato ed esplorato), ma sono snodi centrali e strategici del conflitto di classe.

(relazione al dibattito sul No al Carovita alla Casa del Popolo Roma Est)

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